Come ricordato nel precedente articolo, le recenti dichiarazioni del leader di Azione, Carlo Calenda, sull’energia atomica, hanno rilanciato un dibattito che se sul piano ideologico sembra più che immobile da un trentennio, sul piano tecnologico appare più vivo che mai: Calenda, sul finire del febbraio 2025, aveva infatti espresso forti riserve sugli Smr (Small Modular Reactors) dichiarando quanto fosse preferibile puntare invece sui reattori di terza generazione, sfruttando i siti nucleari già individuati (o utilizzati) in passato, ed evitando di costruire un programma su nuove tecnologie troppo dilazionato nel tempo.
Nel frattempo, va detto che il nucleare di quarta generazione (considerato fino a non molto tempo fa un semplice mito o un estremo cui tendere) è già operativo a Beloyark (Russia) con il BN800 da 789 MWe, il più grande reattore nucleare veloce autofertilizzante al mondo, e a Shidao-Bay (Cina), con l’HTR-Pm da 210 MWe, un reattore ad alta temperatura raffreddato a gas, realtà attaccate alla rete elettrica e quindi in grado di produrre commercialmente energia, per non parlare dei progetti su cui sta lavorando la TerraPower di Bill Gates o l’eccellenza italiana Newcleo.
Quest’ultima, fondata nel 2021 da Stefano Buono (ex ricercatore del Cern), con sede a Londra ma con attività sviluppate anche in Italia e Francia, oltre che nel Regno Unito, conta 1000 dipendenti altamente specializzati e una rete di oltre 90 partnership industriali e accademiche del calibro di Eni, Fincantieri o Edison, per citarne tre fra le maggiori, che ne fanno uno dei principali attori nel mondo della ricerca, dell’università e dell’industria, per ciò che concerne proprio il nucleare di quarta generazione.
Uno dei maggiori rischi per l’Italia, ma anche per l’Europa e per l’Occidente secondo gli analisti di settore, è proprio quello di perdere terreno rispetto a Cina e Russia, limitando il dibattito ai semplici confini nazionali invece di estenderlo a un’ottica internazionale: iniziative come la «European Smr Industrial Alliance» dovrebbero favorire proprio questo ampliamento di prospettiva.
In un’intervista rilasciata a «Industria Italiana» il 21 marzo scorso, il presidente di Ain (Associazione Italiana Nucleare), l’ingegner Monti, ha ribadito proprio l’impossibilità di un discorso autarchico in termini di programmazione nucleare, parlando di collaborazione internazionale, economie di scala, standard di sicurezza globali, e di una strategia industriale condivisa, quantomeno europea.
Sul piano strettamente nazionale, la recente approvazione governativa al decreto sul rilancio del nucleare (28 febbraio 2025), se verrà rapidamente approvata anche in Parlamento (coi decreti applicativi promulgati entro 12 mesi, come previsto dal ddl), porterà verosimilmente alla costruzione di reattori operativi entro 8/10 anni, ma tutto questo ha senso solo in una cornice che preveda un sistema regolatorio solido, un’autorità di sicurezza potenziata e una comunicazione scientifica ai cittadini impostata sulla più schietta neutralità ideologica.
Attualmente esistono tre categorie principali di reattori avanzati: 1) i «Current Advanced Reactors», e cioè i reattori di terza generazione, le tecnologie avanzate più sicure e provate disponibili al momento sul mercato; 2) i «Reattori Evolutivi» (Evolutionary Reactors), fra cui alcuni Smr, che derivano da reattori già collaudati e che, pur offrendo dei miglioramenti in termini sia di efficienza che di sicurezza, necessitano ancora di test ingegneristici per ottenere delle vere certificazioni commerciali; 3) i Reattori Innovativi (Innovative Reactors), o di quarta generazione, fra cui quelli veloci a metallo liquido o quelli a sali fini, che però richiedono ancora ulteriori investimenti in ricerca e sviluppo, e che per raggiungere un utilizzo commerciale diffuso potrebbero aver bisogno di almeno altri 15 anni.
Mentre Cina, Russia e India, posseggono già Smr evolutivi funzionanti, l’Occidente sembra in ritardo per scelte politiche troppo (o poco) lungimiranti, ma se la Germania e la Commissione Europea stanno riportando il nucleare fra le fonti energetiche strategiche, l’European Smr Industrial Alliance si è posta l’obiettivo di avere un primo Smr evolutivo operativo entro il 2030.
Ma non bisogna ridurre un quadro così complesso a una semplice scelta tecnologica: a) occorre un’autorità di sicurezza nucleare adeguata, laddove in Italia al momento abbiamo un semplice ispettorato senza pieni poteri di lincensing; b) servono finanziamenti adeguati, garanzie pubbliche sugli investimenti e schemi di finanziamento agevolati per le aziende che vogliono investire e partecipare alla filiera; c) l’industria va potenziata (dalle 70 aziende attualmente in grado di operare nel settore si potrebbe arrivare ad oltre 400 imprese coinvolte); d) serve una nuova generazione di ingegneri nucleari, ma anche fisici, chimici, operatori di impianto, esperti di sicurezza, security e salvaguardie, un meccanismo di formazione complesso e stratificato fondato su un’adeguata finanziabilità e su un doveroso cambio di mentalità; e) nulla di quanto elencato sarebbe però possibile senza l’accettabilità pubblica veicolata da una corretta comunicazione scientifica.
Il discorso sul nucleare non può esaurirsi sui suoi possibili usi commerciali, sarebbe miope e rischierebbe di inaugurare una narrazione (anti)retorica: sono trenta i paesi che stanno prendendo in considerazione l’ipotesi di costruire nuove centrali nucleari per scopi civili, ma per motivi militari molti altri pensano di rispolverare le testate accantonate nei decenni di distensione, e accanto ai richiami papali sulla fine dei conflitti e al Nobel per la pace 2024 alla giapponese Nihon Hidanko, l’associazione che raccoglie i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki, va ricordato il discorso di Putin sul possibile ricorso all’atomica anche in caso di aggressione da parte di uno Stato che ne sia sprovvisto.
L’Ucraina ha già installato centinaia di rivelatori di radiazioni attorno a città e centrali elettriche, oltre 200 ospedali sono stati equipaggiati come strutture di riferimento in caso di attacco atomico, col personale medico-sanitario adeguatamente formato su come trattare l’esposizione alle radiazioni; lo stesso tipo di allerta negli Usa, col «Tiger Team» incaricato sin dall’amministrazione Biden ad elaborare un nuovo manuale nucleare di piani di emergenza e di risposte.
La Russia possiede ben 2000 testate nucleari tattiche, alcune piccole come un proiettile, meno distruttive e progettate per colpire a breve distanza, l’equivalente bellico delle microdosi d’eroina, e mentre iniziano di nuovo a circolare milioni di compresse di ioduro di potassio, utili a proteggere la tiroide dal materiale radioattivo, il principio-base della corsa agli armamenti, e cioè «possedere una maggiore potenza di fuoco a scopo di deterrenza», sembra perdere forza ideologica.
La salvezza e la condanna si sovrappongono come cura e malattia, veleno e antidoto e, a fare la differenza sarà come sempre un concetto vecchio come l’umanità e antico come la religione: il libero arbitrio.