Overtourism: un problema «capitale»

da | Set 3, 2024 | IN PRIMO PIANO

Correva l’anno 2015 quando, in visita a Barcellona durante una torrida estate, m’imbattei in uno striscione su un palazzo del Barrio Gòtico che in un inglese esclamativo intimava ai turisti di rispettare il sonno e la tranquillità dei residenti; nove anni dopo, una ricerca sulla percezione del turismo effettuata dal Comune della Catalogna rivela come il 61,5% dei suoi abitanti ritenga la città arrivata al limite delle sue capacità, con 23 milioni di visitatori stranieri solo nel 2023.

La questione, globale nei suoi aspetti più eclatanti, presenta una tipicità «idrica» visto che la capitale blaugrana è affetta dalla «sequìa» (siccità) dal 2008, con alcune zone che non hanno visto pioggia per tre anni fino al giugno scorso e con fontane a secco, parchi pubblici non irrigati e la campagna municipale «l’acqua non cade dal cielo» culminante nei paradossali (per una ricca metropoli occidentale) avvisi di molti bar con su scritto: «tirare lo sciacquone solo se strettamente necessario».

Il problema, meteorologico e dovuto al cambiamento climatico, è anche il risultato di una malagestione politica perché i tagli idrici al settore agricolo, industriale e al consumo privato, non sono stati estesi al turismo, che ogni anno per l’Aca (Agenzia catalana per l’acqua) ne brucia 22 ettometri cubi, senza dimenticare l’approvazione per la costruzione del settimo terminal per le navi da crociera che consentirà l’arrivo di un milione in più di turisti l’anno: per chiudere il discorso relativo a Barcellona basta ricordare che la Catalogna consuma il 31% in più dell’acqua che ha a disposizione e che in media il fabbisogno di ogni turista è più del doppio di un abitante, col cortocircuito che le politiche varate finora sono di offerta d’acqua anziché di riduzione.

Se non si agirà seriamente e in modo trasversale in direzione di un turismo sostenibile l’Unep (il programma ambientale delle Nazioni Unite) calcola che l’annuale esodo di visitatori genererà fino al 2050 un aumento del 154 per cento nel consumo di energia, del 131 per cento nelle emissioni di gas serra, del 152 per cento nel consumo di acqua e del 251 per cento nello smaltimento di rifiuti solidi.

Il principale scoglio contro cui si infrange l’idea di un turismo (eco)sostenibile è quello delle locazioni turistiche brevi, che stanno trasformando le principali capitali italiane ed europee in dormitori ad uso e consumo dei visitatori: i centri storici si svuotano degli abituali residenti, scoraggiati dall’aumento di canoni e affitti ma anche dai servizi ridotti all’osso per incoraggiare le stagionali attività per chi arriva, col risultato che ad esempio a Firenze dal 2006 ad oggi il 50% dei residenti è stato rimpiazzato dai turisti e che a Napoli negli ultimi nove anni c’è stato un incremento del 700% delle locazioni brevi.

Il caso di Roma, che nel 2024 sta battendo il record di 50 milioni di presenze raggiunto nel 2023, diviene emblematico perché col Giubileo del 2025 sono attesi almeno 35 milioni di pellegrini che si sommeranno agli altri turisti entrando in un mercato degli affitti che è ormai solo a breve e a medio termine, e quindi precluso ai residenti, rendendo endemica la tendenza di geografia urbana ad incoraggiare la turistificazione dissennata a danno degli abitanti (basta pensare che negli ultimi anni nel centro storico capitolino i residenti sono calati del 38% circa).

Sempre a Roma, nel 2022, ci sono stati 6500 sfratti per l’impossibilità degli inquilini di pagare l’affitto e il dato va incrociato coi 22 000 senzatetto, i 150 000 appartamenti vuoti e le 4000 famiglie che occupano alloggi abusivamente: è ovvio che il quadro non si può ridurre alla questione ideologica degli sgomberi per ragioni di ordine pubblico e di tutela dei residenti, né si può pensare di etichettare come criminali tutti quei lavoratori con famiglia che non possono permettersi di pagare 1000 euro e più di affitto mensile, ma va denunciata l’azione di piattaforme come Booking o Airbnb che invogliano i proprietari alla locazione breve, in quanto più redditizia e meno rischiosa.

Venezia, attraverso la lista civica Terra e Acqua, lamenta la potenziale perdita di un’intera generazione che una volta finiti gli studi o il contratto di locazione sarà costretta a cercare posto fuori città, e se il ticket di 5 euro per i trenta giorni più affollati dell’anno sembra una misura demagogica, incentivare il turismo «su prenotazione» per rendere la Serenissima una meta «difficile» potrebbe essere la giusta via, insieme a riallocare gli slot degli aeroporti di Venezia e Treviso alle compagnie di bandiera, spostare la Biennale da ottobre ad aprile e ripensare il Carnevale in chiave intimista e più per i veneziani.

A Firenze si parla di politiche abitative, social housing e grandi opere, di ridare valore ai negozi storici e di prossimità, mentre nelle Cinque Terre si è messo a punto un «Piano triennale contro l’overtourism», con una card di accesso limitato a quattrocento persone l’ora, divise in gruppi da cento con partenze ogni quindici minuti per spalmare gli arrivi e destagionalizzare, il tutto con attività che dovranno avere il marchio del Parco e vendere prodotti autoctoni, per un’idea territoriale di museo diffuso.

Ogni anno 1,7 miliardi di persone superano i confini del proprio paese per godersi almeno una settimana di vacanza all’Estero e, secondo gli statistici, nel 2030 si salirà a 2 miliardi; si tratta, monetizzando, di 370 miliardi di euro, e cioè del 5% dell’intera attività economica della UE, una cifra che, se fosse uno Stato, secondo il New York Time, entrerebbe di diritto nel G20.

La parola «overtourism» è in cima alle ricerche nei dizionari aggiornati del 2024, insieme a fake-news e post-verità, e se è sembrata folcloristica la ribellione dei residenti di Barcellona che hanno annaffiato i turisti con pistole ad acqua fra i tavolini affollati di bar e ristoranti, hanno destato preoccupazione le trentamila persone che hanno sfilato per le strade di Palma De Maiorca protestando contro l’invasione dei tedeschi o i ventimila che hanno innalzato cartelli per rivendicare i diritti degli abitanti delle Canarie letteralmente invase dagli inglesi.

Le mura della cittadella inca di Machu Picchu si stanno sgretolando sotto il peso frequente dei visitatori e da quest’anno Santorini medita il numero chiuso mentre sull’isola di Paros gli abitanti, che si sono sentiti espulsi dalla propria isola, si sono inventati «lo sciopero degli asciugamani», per non parlare del Portogallo che grazie ai visti d’oro e alle basse aliquote fiscali per chiunque iniziasse un’attività sul posto, si è visto invaso da 30 milioni di turisti, col conseguente triplicarsi dei prezzi delle abitazioni e migliaia di residenti costretti a trasferirsi in alveari a schiera nelle periferie di Lisbona o Porto, anche se il record più allarmante lo detiene sempre la nostra Venezia, con un rapporto di 73,8 turisti per abitante.

Non possono essere gli interventi creativi ad hoc ad arginare la babelica marea dell’overtourism ma azioni coordinate e internazionali, supportate da norme nazionali, affinché il diritto a viaggiare non leda quello legittimo dei residenti a una qualità della vita più che dignitosa.

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