Scuola 2025/26: fra tradizione e rivoluzione

da | Ott 8, 2025 | IN CATTEDRA

L’inizio dell’anno scolastico 2025/2026 è stato scandito dalle polemiche per la riforma pensata dal Ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara, il tutto in un clima troppo ideologico e poco teso a valutare la reale portata delle proposte in atto.

Cerchiamo di riassumerle sommariamente.

Si propone di introdurre il latino negli ultimi due anni delle medie, come materia curricolare ma opzionale, un’ora in più alla settimana che le scuole decideranno come inserire nel calendario. Per il Ministro il latino è un elemento formativo indispensabile perché:

  1. È una palestra di logica e abitua al ragionamento;
  2. Come sosteneva Gramsci: «abitua a studiare»;
  3. Aiuta a capire la grammatica e la sintassi italiana e ad esprimersi meglio;
  4. È la testimonianza di una civiltà che ha profondamente condizionato la nostra.

Sul piano storico, in opposizione alla Geostoria incubata dalla Gelmini, il programma sarà maggiormente concentrato sull’Occidente: si contrarrà la parte dedicata alla preistoria e ai dinosauri, due anni delle elementari saranno imperniati sullo studio del mondo greco-romano e sull’impatto del cristianesimo sulla civiltà classica, mentre Sumeri, Egizi e Fenici verranno affrontati soltanto in terza elementare.

Maggiore risalto verrà dato alla Seconda guerra mondiale e alla seconda parte del Novecento, cercando di guidare i ragazzi fino alla fine della Prima Repubblica e al terremoto sociopolitico rappresentato da «Mani pulite».

La Bibbia, considerata da Valditara un testo fondamentale insieme all’Iliade e all’Odissea, verrà letta e commentata in classe dal docente e dai bambini; sull’introduzione al mondo del lavoro si ipotizza il modello 4+2, e cioè quattro anni di scuola più due di formazione professionale.

Il ministero di Viale Trastevere introduce poi due nuove figure professionali: il «docente orientatore», che dovrà capire e indirizzare le potenzialità del discente e il «docente per stranieri», incaricato di insegnare i rudimenti della lingua italiana fino almeno a livello A2.

Inasprite le pene per i reati contro il personale, e virata la sospensione in attività educative tese alla cittadinanza solidale, grandi polemiche ha destato il tema del voto in condotta: nella primaria si torna ai giudizi sintetici mentre per le secondarie, di primo e secondo grado, il voto sarà espresso in decimi e farà media per l’ammissione alle classi successive ma anche per gli esami finali del primo ciclo e per la maturità, anche se il dettaglio più dibattuto è stato quello della bocciatura in caso di insufficienza, e di compito aggiuntivo in educazione civica per chi prenda 6.

La carta del docente verrà estesa ai supplenti annuali, anche se verosimilmente per il 2025/26 l’importo sarà minore dei consueti 500 euro; si torneranno a studiare le poesie a memoria e si darà maggiore risalto alla musica e, per la prima volta, si studierà letteratura sin dalla prima elementare, tenendo ovviamente conto della tenera età dei lettori.

Infine, ma non in ordine d’importanza, sarà vietato l’uso del cellulare sia per i docenti che per i discenti, ed anche per il personale ATA (tranne significative eccezioni), non solo durante le ore di lezione, lasciando ai singoli istituti la regolamentazione delle sanzioni in caso d’infrazione.

Il Consiglio di Stato ha espresso notevoli riserve sulla riforma:

  1. Non c’è coerenza fra il nuovo testo e gli atti dell’UE;
  2. Le motivazioni per il rinnovo delle indicazioni nazionali, ferme al 2012, sono deboli;
  3. Le finalità del progetto, nella loro formulazione, sono «ambiziose ma vaghe e indefinite»;
  4. Si sollevano molti dubbi «sull’effettiva disponibilità di mezzi e risorse», nonostante il Ministro abbia parlato di neutralità e non onerosità della riforma;
  5. Ci sono ben tredici refusi nel testo e, inoltre, non tutti i docenti d’italiano sono anche qualificati in latino.

Valditara, a chi ha parlato di bocciatura leggendo le critiche del Consiglio di Stato, ha replicato definendole semplici integrazioni tecniche e specificazioni, ma è ovvio che l’inizio non sia stato fra i più incoraggianti.

Le critiche, per lo più provenienti dalle opposizioni e dai sindacati, hanno riguardato l’obsolescenza della ratio ispiratrice del progetto che sembra riportare la scuola agli anni Cinquanta, soprattutto per lo studio del latino, ma anche per le poesie mandate a memoria, ma si è molto discusso anche sull’eccessivo orientamento occidentalista e sull’approccio confessionale della nuova didattica, volti (per il legislatore) a rafforzare l’identità italiana contro le derive woke e che, al contrario, per i detrattori peccherebbero di sovranismo e chiusura al mondo.

Anche la stretta sul voto in condotta e il divieto dell’uso dei cellulari rifletterebbero una visione sanzionatoria ed eccessivamente garantista dell’istruzione, in linea con una politica più punitiva e repressiva che non preventiva o formativa.

In realtà molti intellettuali, alcuni dei quali decisamente non schierabili a destra, hanno rigettato tali critiche ritenendole infondate o ideologiche e, soprattutto, loro sì obsolete: le poesie a memoria sono state a lungo una vertebra della dorsale formativa italiana, allenando le facoltà mnemoniche ma anche sottolineando il valore della tradizione orale; la Bibbia dovrà essere letta in modo critico e laico, anche perché escludere il peso culturale del cattolicesimo dalle scuole sarebbe come defenestrare i quadri di ispirazione religiosa dai musei, e quindi svuotarli o chiuderli; per ciò che concerne la Storia, come ha giustamente sottolineato Della Loggia, è ovvio che si debba sempre operare una scelta di natura programmatica, anche perché è impensabile che degli adolescenti si dedichino a un accurato studio del mondo cinese o africano; sull’insegnamento del latino l’unico appunto realmente fondato è che non tutti i docenti di italiano conoscono necessariamente anche il latino.

Sul divieto dell’uso dello smartphone per ripristinare una maggiore attenzione in classe, ma anche per stimolare un confronto critico fra studenti e docenti, non si può che essere d’accordo visti i drammatici (e verificati) effetti dello scrolling sulla memoria, sull’attenzione e sulla fantasia, anche perché la decisione non si tradurrebbe in un diktat tecnologico assoluto, visto che pc e laptop restano a disposizione di tutti, soprattutto per accrescere le proprie competenze sull’inevitabile rivoluzione digitale rappresentata dall’intelligenza artificiale.

Come ha giustamente scritto Massimo Recalcati sulle colonne di Repubblica, le critiche alla stretta sui voti in condotta provengono da una sinistra legata a un’idea di scuola foucaultiana, repressiva, che ormai non solo non esiste più ma che ha rovesciato i propri termini: adesso sono i professori ad essere bullizzati da studenti e famiglie, e l’eccessivo margine di libertà lasciato ai ragazzi (con buona pace degli insegnamenti di Don Milani) rischia di consegnarli all’anomia e a una sorta d’improduttiva anarchia mentale.

Con tutti i suoi limiti, soprattutto su ciò che non prevede (o che ancora non prevede), la riforma Valditara cerca proprio di recuperare quell’umanesimo perduto di cui buona parte della migliore cultura italiana si lamenta da anni, e fa sorridere pensare che i cori di diniego si allineino proprio alle tre «i» di matrice berlusconiana di un tempo, e cioè «impresa, inglese e informatica».

Ridare valore all’insegnamento, recuperando una tradizione umanistica laica ma rispettosa dei valori del cattolicesimo, limitando lo scrolling ma implementando le nuove frontiere del digitale, potrebbe essere la strada giusta anche per responsabilizzare i ragazzi e ricordare loro che il merito, inteso come impegno e non solo come talento, non è foriero di disuguaglianze ma di stimoli e desideri, e che la messa in crisi di qualsiasi autorità deve avere dei fondamenti culturali meditati, altrimenti alimenta solo il tifo da stadio e le violenze di piazza.

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