Jean Pormanove: live (or death) streaming?

da | Ago 27, 2025 | IN PRIMO PIANO

Torna a far parlare di sé la difficile dialettica fra violenza e web: al centro della vicenda c’è Raphael Graven, alias Jean Pormanove (o più semplicemente J.P.), streamer, comico ed ex militare francese di 46 anni, celebre per aver pubblicato una serie di video in cui subiva violenze e umiliazioni in diretta davanti a migliaia di followers, che ha perso la vita dopo un live ininterrotto di 298 ore sulla piattaforma social Kick.

La Procura di Nizza ha avviato un’inchiesta per svelare gli oscuri contorni dell’accaduto, interrogando due dei presunti «amici», «Naruto» e «Safine», che nel corso dei mesi antecedenti al decesso avrebbero sottoposto J.P. a prove estreme di sopravvivenza, torture e ingestione di prodotti tossici: sono stati proprio loro, i complici o torturatori, a porre fine alla diretta dopo che il corpo senza vita dell’uomo era rimasto esposto alla morbosità di migliaia di spettatori.

Come riportato anche da «Le Monde», la Procura, dopo aver disposto l’autopsia sul cadavere, ha sequestrato telecamere e attrezzature video, mentre la sede australiana della piattaforma ha fornito la piena collaborazione alle indagini, laddove la politica si è espressa attraverso la ministra francese per l’Intelligenza Artificiale e gli affari digitali, Clara Chappaz, che ha affermato quanto Graven sia stato «umiliato e maltrattato in diretta su Kick».

Jean Pormanove, personaggio da 582 000 abbonati su TikTok, puntava consensualmente a sfide sempre più estreme per intrattenere i suoi adepti, arrivando al punto di abbandonare Twitch che ha regole più stringenti, per esibirsi sulla più «libera» Kick ed evitare di essere bannato; nonostante i legali degli streamer coinvolti parlino di semplici finzioni o messinscena, erano in molti gli utenti preoccupati per l’ex militare, sottoposto a strangolamenti, improvvisi e violentissimi colpi sia al corpo che alla testa, e colate di vernice sul volto.

Gli investigatori si erano già allertati otto mesi fa per «atti violenti deliberati» contro «persone vulnerabili» trasmessi su internet e poi culminati nel decesso, avvenuto la notte fra il 17 e il 18 agosto a Contes, un comune vicino Nizza.

Inizialmente interessato al mondo dei videogames, Graven aveva raggiunto ben oltre i 500 000 followers complessivi insieme ai suoi due (finti?) aguzzini, Naruto e Safine, che attraverso live di violenza e resistenza fisica, guadagnavano ingenti somme di denaro, grazie alle libere donazioni del pubblico.

Nel dicembre 2024 la testata Mediapart aveva già pubblicato un’esaustiva inchiesta sul «business del maltrattamento on line», dove individuava un sistema organizzato di umiliazioni e violenze ai danni di persone vulnerabili (fra le quali anche in disabile conosciuto con lo pseudonimo di Coudoux), orchestrato principalmente sulla piattaforma Kick, in modalità diretta per generare donazioni, e culminante in fenomeni come «la Bataille de Cotoreps», con altri streamer di Nizza coinvolti.

La Procura della città descriveva nel fascicolo la «diffusione di registrazioni di immagini relative alla commissione di infrazioni di attentati volontari all’integrità della persona», arrivando al punto di arrestare nel gennaio del 2025 proprio Naruto e Safine, poi immediatamente rilasciati, con le conseguenze che ora gli inquirenti saranno tenuti a stilare.

Secondo le sommarie ricostruzioni dei quotidiani francesi, Graven si trovava in uno spazio appositamente affittato per le dirette e sarebbe deceduto nel sonno dopo aver partecipato la settimana precedente a una challenge macabramente definita «dieci giorni e dieci notti di tortura», fra le quali l’ingestione di sostanze tossiche.

Lanciata nel dicembre 2022 dai miliardari Ed Craven e Bijan Teherani, cofondatori del casinò on line Stake.com, registrata in Australia ma operativa a livello internazionale, Kick si è subito imposta come alternativa a Twitch per le regole di moderazione meno stringenti, aperte al gioco d’azzardo vietato su molte altre piattaforme, e per la peculiarità di assicurare agli streamer il 95% dei ricavi delle sottoscrizioni (contro il 50% di Twitch), strategia che le ha permesso di totalizzare a soli 3 anni dal varo ben 57 milioni di utenti.

La piattaforma ha subito espresso, in seguito alla morte di J.P., «un profondo dolore per la sua perdita», ricordando di aver già sospeso temporaneamente il relativo canale in merito all’inchiesta di Mediapart, per poi riattivarlo, e che le sue linee guida comunitarie così poco limitanti sono state «progettate proprio per proteggere i creator».

Il governo francese non è mai stato tenero in passato nei confronti di piattaforme sospettate di veicolare (o non monitorare con la dovuta attenzione) contenuti violenti: l’Arcom (Autorité de règolation de la comunication audiovisuelle et numérique) aveva aperto nel 2024 dei provvedimenti contro TikTok e multato altri gruppi per la violazione delle norme sulla protezione dei minori on line, ed ora viene di nuovo tirata in ballo dalla ministra Chappaz insieme a un sollecito d’indagine rivolto alla Commissione Europea.

Il Canale Lokal, guidato da J.P., Naruto (Owen Cenanzadotti), Safine (Safine Hamadi) e Coudoux funziona(va) sui consigli degli utenti, con importi versati sempre più alti in base al tasso di violenza raggiunto; il nodo penale della vicenda risiede nella presunta consensualità della vittima perché se è vero che quest’ultima ha dichiarato di essere consenziente e che le scene erano pensate solo per generare introiti e destare scalpore, e che se fosse morto in diretta sarebbe stato per la sua precaria salute e non per colpa degli altri, è altrettanto vero che Raphael aveva più volte espresso il desiderio di «chiamare la polizia», «sporgere denuncia» o «andare in ospedale».

Naruto aveva anche letto dei messaggi, inviati da J.P. alla madre prima della morte, in cui questi affermava di «averne abbastanza» e di «sentirsi tenuto in ostaggio», e quindi era perfettamente a conoscenza della non consensualità dell’ex-militare.

La Corte Europea dei diritti dell’uomo afferma che le persone hanno il diritto di fare scelte libere sul proprio corpo (in particolare in contesti sportivi e sessuali), ma quest’autonomia cozza contro una sentenza della Cassazione che definisce una violenza commessa volontariamente un reato, anche se la vittima vi ha acconsentito, permettendo quindi a Stato e Tribunali di intervenire in caso di «ragioni particolarmente gravi per farlo».

Più difficile è la valutazione della complicità degli abbonati, che non possono essere vagliati individualmente, ma ne va indagato il grado di interazione con gli streamer e il tasso d’incidenza pecuniaria sulla gravità delle torture perpetrate, oltre all’eventuale co-responsabilità della piattaforma Kick che, in base alle leggi europee, era/è tenuta a monitorare con grande attenzione i contenuti dei propri utenti.

Al di là di una legge per sempre in ritardo sul web e delle conseguenze penali dell’accaduto (in mano agli inquirenti), resta il voyerismo di un’intera comunità che, protetta da uno schermo e dalla liquidità versata, non si è limitata a sbirciare macabramente una violenza ma l’ha indirizzata, declinando in chiave post-moderna la scopofilia circense dell’antica Roma, e confermando il principio etico secondo il quale uno sguardo non è mai innocente.

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