Scuola 2025: lo stato dell’arte

da | Gen 28, 2025 | IN CATTEDRA

Il 2024 si è chiuso con un dato apparentemente confortante per la situazione scolastica italiana: per ogni insegnante ci sono poco più di dieci alunni, laddove la media UE è di oltre 12.
Secondo l’ultimo rapporto Eurostat sul tema (2022), con 10,4 alunni per ogni docente, un dato che si mantiene costante tra il primo ciclo di istruzione (10,8) e il secondo (10,0), l’Italia ha uno dei migliori rapporti studenti-insegnanti del Vecchio Continente, eppure, incrociando questi dati con quelli divulgati dal Ministero dell’Istruzione e del merito sul numero essenzialmente invariato dei docenti dal 2015/2016 ad oggi (circa 680 000), qualcosa non torna.
È vero che nel calcolo del rapporto discenti/docenti, tra l’8,3% della Grecia e il fanalino di coda rappresentato dai Paesi Bassi (16), il Belpaese è la migliore fra le grandi nazioni, visto che la Francia totalizza un preoccupante 15, la Spagna 11,3 e la Germania 13,3, per non parlare della tanto celebrata Finlandia che si attesta sul 12,7, ma come giustificare allora il reddito dei professori italiani, fra i più bassi in assoluto, e il drammatico fenomeno delle classi-pollaio?
La discriminante, purtroppo, è il crollo del numero di studenti, passati dai 7,9 milioni censiti proprio nell’anno 2015/2016 ai 7 milioni dell’anno appena iniziato, considerando quindi una perdita decennale di più di 800 000 unità (soltanto fra il settembre 2023 e il settembre 2024 ne sono scomparsi oltre 120 000): la motivazione di tale «recessione didattica» non risiede soltanto nell’inverno demografico e nel conseguente crollo di natalità, ma anche nell’abbandono scolastico, epifenomeno dalle mille variabili.
Risulta evidente quanto in una simile e numericamente favorevole situazione, il sovraffollamento delle classi sia più imputabile a ragioni di natura organizzativo-burocratica, alla penosa condizione di molti edifici, aggravata dalla mancata manutenzione, sia ordinaria che straordinaria, e alla scarsa erogazione di fondi per porvi rimedio.
Il superficiale ottimismo con cui si potrebbe leggere il rapporto studenti-professori in Italia al momento, equivarrebbe a quello dimostrato nell’apprendere l’aumento complessivo della superficie boschiva nel nostro paese: in realtà tale fenomeno, dato dall’abbandono più che ventennale (soprattutto) delle aree montane a favore di quelle urbane, potrebbe sfociare in una perdita stimata al 60% della biomassa a causa della mancata cura di tali aree, sempre meno antropizzate e più esposte a roghi, tempeste di vento e fenomeni collegati al cambiamento climatico.

SALUTE MENTALE A RISCHIO

Durante il XXVII Congresso nazionale della Società italiana di neuropsicofarmacologia (conclusosi di recente), aperto dal presidente dell’Aifa e chiuso dal sottosegretario alla salute Marcello Gemmato, un evento monstre con oltre mille esperti coinvolti in 16 sessioni plenarie, 25 parallele, e con più di 20 studi presentati, si è unanimemente evidenziato come il 50% dei disturbi mentali si formi nell’adolescenza, e il 66% entro i 30 anni; il ministero sta promuovendo progetti innovativi sulla prevenzione dell’uso problematico di internet, ma anche sulle dipendenze da social media e videogiochi, con una particolare attenzione all’ADHD (disturbo da deficit di attenzione/iperattività).
Uno dei nodi sembrerebbe il corretto approccio ai farmaci, soprattutto da parte dei più giovani, perché se è vero che l’uso di antidepressivi e benzodiazepine è in aumento (2% l’anno), è altrettanto vero che per numero di prescrizioni l’Italia è l’ultimo paese in Europa, ma questo soltanto perché il 40% è gestito con un pericoloso «fai da te», senza dimenticare che un terzo dei farmaci a disposizione dei giovanissimi proviene illegalmente dal web e viene assunto per «sballarsi», «sballarsi e dormire», migliorare il proprio aspetto estetico o le performances scolastiche.
Alla proposta di istituire un’Agenzia nazionale sulla salute mentale in grado di coordinare neurologia, farmacologia, pediatria, neuropsichiatria infantile e gli operatori dei Dipartimenti e dei servizi delle dipendenze, è seguita quella di far tornare i medici-psichiatri nelle scuole per educare e sensibilizzare i ragazzi a un corretto uso dei farmaci, cercando percorsi terapeutici personalizzati e ricordando che, ad oggi, un quarto degli accessi al Pronto soccorso pediatrico riguarda problemi legati al consumo di sostanze stupefacenti, molte delle quali derivanti da sintesi chimica, e difficilmente gestibili.
Come evidenziato da molti operatori di settore, l’assenza in Italia di uno specifico corso di laurea sul trattamento delle dipendenze (nonostante il loro sesquipedale aumento negli ultimi anni), non è più solo preoccupante ma inspiegabile.

A MANO A MANO

L’Osservatorio «Carta, penna e Digitale», un centro di analisi permanente istituito dalla Fondazione Luigi Einaudi, attraverso il suo direttore ed ex-giornalista Andrea Cangini, ha evidenziato come negli ultimi dieci anni i disturbi dell’apprendimento fra i più giovani, a causa della drastica diminuzione della lettura e della scrittura a mano, siano aumentati del 357% (nello specifico, la disgrafia del 167%).
L’abuso, sia nella lettura che nella scrittura, degli strumenti digitali, provocherebbe gravi danni ad alcune facoltà essenziali, come la memoria, lo spirito critico e la capacità di concentrazione: neurologi, grafologi, psichiatri ed esperti di varia natura ma anche autorevoli studi (Harvard, Tel Aviv, Oxford eccetera…) sono concordi nell’affermare che l’ingresso degli smartphone, dal 2007, nella vita dei ragazzi abbia eroso le loro principali capacità cognitive.
Scrivere a mano sollecita 12 aree cerebrali, digitare su una tastiera solo 2, e mentre nel primo caso entra in gioco l’emisfero sinistro del cervello, quello che sovrintende al pensiero logico-lineare, nel secondo viene sfruttata la destra (la parte emotiva), che se non bilanciata dalla razionalità, rischia di renderci ostaggi non governabili delle nostre emozioni; per ciò che concerne invece la lettura, un significativo esperimento tenutosi nell’Accademia militare di West Point ha evidenziato come i cadetti che utilizzavano carta e penna ottenevano risultati del 20/30% superiori rispetto a quelli che avevano usato strumenti digitali.
Lungi da noi ritenere che reintrodurre lo studio del latino alle medie, mandare a memoria poesie o rendere la Bibbia un testo obbligatorio a livello scolastico (le recenti proposte del ministro Valditara), possano essere in sé soluzioni che limitino la dispersione delle principali facoltà mentali dei ragazzi ma, razionare social e smartphone incentivando la lettura e la scrittura su carta, potrebbe portare a una svalutazione di comodità e velocità, in funzione di un rafforzamento della propria identità e del proprio pensiero critico.
L’abuso dei social e delle benzodiazepine, così come il crollo di natalità o l’abbandono scolastico sono le spie di una crisi giovanile globale, data dall’implosione del futuro come categoria tangibile e dimensione formativa dell’essere: «formare e non perfomare» dovrebbe essere la parola-chiave della scuola a venire.

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