Una vita tranquilla: la nemesi della Camorra secondo Claudio Cupellini

da | Ago 29, 2024 | MONDOVISIONE

È il 2010 quando Claudio Cupellini, reduce dal buon successo di critica e pubblico per «Lezioni di cioccolata» (2007), affronta la sua seconda prova registica con «Una vita tranquilla», da un soggetto di Filippo Gravino, sodale di Matteo Rovere e co-sceneggiatore di Gomorra-la serie, col suggestivo titolo: «Il nemico nell’acqua»; scritto a sei mani proprio da Cupellini, Gravino e Guido Iaculano, che ben conosce il regista veneto, il film schiera un  monumentale Toni Servillo nei panni del protagonista, ma anche un convincente Marco D’Amore e il solito Edoardo Di Leva, sempre meno a suo agio nei panni del caratterista, ma anche l’apprezzabile Maurizio Donadoni, spalla gallonata del miglior cinema nostrano.

Se lo scheletro narrativo, talune atmosfere e la seconda parte della pellicola richiamano un po’ troppo Sorrentino, e la colonna sonora di Teho Teardo ne oblitera l’impressione, la prestazione matta(u)toriale del Toni nazionale (vincerà il premio Marco Aurelio al Festival del cinema di Roma) e un ritmo serrato da noir ben scritto, fanno di «Una vita tranquilla» un’apprezzabile opera seconda, densa di spunti riflessivi ma sempre nel solco di genere tracciato da Gomorra.

TRAMA

Il cinquantenne Rosario, di origini campane, gestisce l’omonimo ristorante italiano in un borgo vicino Francoforte, ha una moglie di 42 anni che è «ancora una bella donna» e un figlio piccolo di nome Mathias che va sempre a prendere in ritardo a scuola; conosce tutti i ristoratori della zona, ama cacciare il cinghiale, è rispettato e si diletta a piantare chiodi negli alberi limitrofi al posto di lavoro perché vorrebbe abbatterli per creare un dehors, ma non può farlo finchè gli stessi non saranno morti in modo naturale.

La sua «vita tranquilla» sarà sconvolta dall’apparizione di Diego e Edoardo, conterranei in Germania per lavoro, cui Rosario fornirà vitto e alloggio prima di scoprire che i due sono all’estero per uccidere un industriale alla vigilia della sua firma per un contratto di rifiuti provenienti proprio dalla Campania.

Edoardo scoprirà che Rosario è in realtà Antonio, un boss pluriomicida cui la Camorra ha concesso di rifarsi una vita lontano dall’Italia fingendone la morte nel 1994, e noi capiremo che Diego è il figlio da lui abbandonato per tutelarne l’incolumità.

In un crescendo di sparizioni e morti, Rosario verrà travolto dal peso del passato e delle scelte compiute, fino al punto di dover tornare prima a delinquere e poi a svanire per ricominciare daccapo in un’altra città e con una nuova identità, il tutto per proteggere la sua seconda famiglia, con una fatalistica coazione a ripetere che ricorda gli ingranaggi classici del mito.

LE COLPE DEI PADRI…

La camorra d’esportazione e la sua vocazione internazionalista, vaticinata dal Padrino, confermata da Gomorra (fiction e reale) e attualmente superata dalle narco-ambizioni della ‘Ndrangheta, resta uno sfondo in questa vicenda che mantiene un taglio intimista e che sembra incarnare la frase-mantra di «Magnolia» di Anderson: «noi possiamo chiudere con il passato ma il passato non può chiudere con noi».

Leggermente imbolsito e con la divisa immacolata da chef che presenta sui due lati del colletto le bandiere italiana e tedesca, Rosario sembra il prototipo dell’emigrante novecentesco con la valigia di cartone, in fuga da una miseria ereditaria e disposto a lavorare dodici ore al giorno pur di avere una reale opportunità di riscatto, ma l’intercalare napoletano con l’aiuto-cuoco veneto, ciarliero ma affettuoso, tradisce una mai doma attitudine al comando.

Il misto di nostalgia e rabbia con cui accoglie i due paesani (e non dobbiamo dimenticare il senso di colpa verso Diego) ci ricordano che dopo il viaggio e la sopravvivenza, la svasatura di radici e la ricostruzione, dopo l’oblio e la palingenesi, l’adolescenza e i riti di passaggio alla maturità tornano, anche se nel caso del Nostro si tratta probabilmente di un brutale apprendistato al crimine.

Come molti critici hanno sottolineato, «Una vita tranquilla» presenta qualche ingenuità nei movimenti di macchina e alcuni discutibili svolte narrative, oltre a macchiarsi colpevolmente di «prolessi», e cioè di anticipazioni più o meno fastidiose, come la sicurezza iniziale del protagonista nel freddare un cinghiale col fucile, che rivela origini ben lontane dall’enogastronomia e, se il dentro e il fuori si confondono durante il monologo-confessione al prete-amico in coma, resta la metamorfica capacità di Servillo di passare dal serafico sorriso di cuoco di mezza età al ghigno feroce da ex (?) boss nel giro di pochi istanti.

La sua maschera, che poteva facilmente scadere in macchietta, vale il film e rende perdonabili i patetici rimbrotti figlio/padre e l’ingiustificato pressapochismo dei camorristi, in grado di farsi sfuggire una preda di tale portata, anche perché la fotografia è curatissima e la location (integralmente teutonica) ha la suggestione di un ottimo giallo d’autore.

Si è parlato di «A History of violence» di Cronenberg e se dal punto di vista della nemesi del passato il paragone è azzeccato, è ovvio che «Una vita tranquilla» sembra più il remake bavarese del sorrentiniano «Le conseguenze dell’amore», anche se Rosario è personaggio di minore spessore rispetto a Titta di Girolamo e il premio Oscar napoletano non si è limitato a scrivere un buon film ma ha fondato un genere.

Nell’epica della fuga dalla terra natia (abbandono o diaspora) il sangue resta sangue anche se è colpevolmente versato e se Maometto non va alla montagna è Itaca a raggiungere Ulisse, col coltello fra i denti e la lama del rimorso e delle illusioni perdute.

BONUS 500

DISLESSIA A SCUOLA

NEWS

[wp-rss-aggregator]

Articoli Recenti

Il Veneto non esiste

Il Veneto non esiste

«Non è un bere disperazionale ma posturale», sentenzia Pierpaolo Capovilla sul palcoscenico d’un teatro, mentre racconta col regista questo film (de)generazionale intitolato «Le città di pianura». Presentato a Cannes 78, nella sezione un Certain regard, girato in 16...

Scuola 2025/26: fra tradizione e rivoluzione

Scuola 2025/26: fra tradizione e rivoluzione

L’inizio dell’anno scolastico 2025/2026 è stato scandito dalle polemiche per la riforma pensata dal Ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara, il tutto in un clima troppo ideologico e poco teso a valutare la reale portata delle proposte in atto. Cerchiamo di...