Oggi…c’è ancora domani?

da | Apr 2, 2024 | MONDOVISIONE

Dopo l’inaspettato e fluviale successo al botteghino, sbarca sulle piattaforme (Sky, Netflix e Now) l’opera prima di Paola Cortellesi che ha convinto milioni di italiani e (quasi) tutta la critica, al punto da destare interesse anche all’Estero, e se recensire un lungometraggio uscito in sala il 26/10/2023, e di cui si è già detto praticamente tutto, può sembrare un’operazione tardiva e vagamente ammiccante, c’è da dire che farlo in questo particolare momento storico potrebbe gettare sul film una luce inaspettata, o forse è una luce inaspettata quella che potrebbe illuminare la pellicola.

Il duo di mattatori è lo stesso del pregevole «Figli», di Mattia Torre, e cioè Valerio Mastandrea e la Paola nazionale, ma è sempre più centrata come caratterista Emanuela Fanelli, una solida garanzia Giorgio Colangeli (una delle ultime colonne portanti di una certa romanità), mentre brilla l’astro nascente di Romana Maggiora Vergano e continua a regalare prestazioni maiuscole Vinicio Marchioni; l’intero cast aderisce perfettamente alla scrittura della regista, coadiuvata da Furio Andreotti e Giulia Calenda, mentre la fotografia in bianco e nero (nelle prime scene in formato 4:3), regala un’atmosfera vintage impreziosita dalle musiche di Lele Marchitelli (La grande Bellezza), che si abbinano ad evergreen come «La Sera dei Miracoli» di Lucio dalla o «A Bocca Chiusa» di Daniele Silvestri.

TRAMA

Delia è la classica casalinga tuttofare che fa punture a domicilio, ripara ombrelli e nei ritagli di tempo (quali?) fa anche la sarta per aiutare il marito Ivano (Valerio Mastandrea), manesco e patriarcale, a sbarcare il lunario di una famiglia composta da una figlia adolescente e da due maschi ancora piccoli.

Lo scenario è la Roma del secondo dopoguerra, e precisamente quella del maggio 1946, con le file ai negozi di alimentari, i mercati, i cortili ciarlieri con portinaie pettegole e dirimpettaie invidiose, ma anche i posti di blocco militari a stelle e strisce e l’onnipresente povertà raccontata in modo assolutamente non retorico, per degli esterni girati quasi integralmente a Testaccio e gli interni a Cinecittà, un omaggio al Neorealismo che non si cristallizza  nel passato ma apre alla contemporaneità grazie alle musiche e all’ironia.

La chiave di lettura più scontata, e cioè quella della costante violenza subita da Delia (P. Cortellesi), da parte di un marito che non sembra conoscere altro linguaggio per rapportarsi a lei, anche a causa dell’educazione distorta subita da un padre misogino e immobilizzato a letto (G. Colangeli): «bisogna menaje poco ma forte, che sennò si abituano», cifra di un maschilismo che si declina in modo storico e più che naturale per tutta la pellicola, diviene un’interessante e moderna analisi del rapporto intergenerazionale fra madre e figlia, con quest’ultima (Romana Maggiora Vergano) che osserva le reazioni della prima, ansiosa di criticarne la passività ma anche timorosa di rispecchiare in sé stessa i medesimi limiti culturali.

Il matrimonio saltato col figlio benestante del barista di quartiere (noto delatore del regime fascista), grazie al boicottaggio della stessa Delia che aveva percepito nel ragazzo gli stessi semi della violenza domestica da lei subita per una vita, sposta l’attenzione sull’amore giovanile della protagonista, Nino (V.Marchioni), e su una misteriosa lettera che potrebbe cambiare la vita sia della madre che della figlia.

Fra lutti inattesi e una Roma in subbuglio per un evento che si chiarirà solo nel finale, la classica commedia all’italiana vivrà un inatteso epilogo (purtroppo ampiamente spoilerato negli scorsi mesi) che farà di «C’è Ancora Domani», un lungometraggio totalmente proiettato nel futuro.

LA LIBERTA’ DI (NON) SCEGLIERE

Da sempre il corpo della donna è territorio di lotta e banco di prova per diritti acquisiti ma non sempre garantiti, e lo dimostra la recente onda antiabortista col proliferare di associazioni pro-vita, l’elargizione di fondi una tantum per chi rinuncia all’Ivg (Interruzione volontaria di gravidanza), e ben 11 regioni tricolori col 100% di obiettori, al punto che molte donne intenzionate ad abortire si ritrovano stornate in stanze con volontarie di associazioni che le «illuminano» sulla barbarie del gesto che stanno per compiere, fino all’estremo di proporre loro l’ausculto del battito del feto per chi vuole, legittimamente, esercitare un diritto sancito dalla legge n.194 del 1978.

Hanno fatto discutere le dichiarazioni di Lavinia Mennuni, senatrice di Fratelli d’Italia d’origini britanniche (la stessa che voleva introdurre il presepe obbligatorio a scuola), che auspica, al di là della realizzazione professionale, per le diciottenni e ventenni di oggi, il compimento della «missione» di diventare madri per mettere al mondo dei bambini che siano gli italiani del futuro, ma al di là del mero fatto demografico (dato inequivocabile di una generale senescenza italiana, a da sempre cavallo di battaglia elettorale della Destra), resta il dubbio che questo non mettere in discussione la legge sull’aborto, ma rendendola di fatto di difficile se non impossibile applicazione, diventi una minaccia per la laicità dello Stato di Diritto, e un pericoloso viatico per la clandestinità.

Il manifesto di Pro-Vita & Famiglia «Prenderesti mai del veleno?», con una donna inerte a fianco di una mela morsicata alla Biancaneve e la scritta in grassetto «Stop alla pillola abortiva RU486», è un ottimo esempio del terrorismo dogmatico anti-abortista che, nascondendosi dietro le sacrosante (almeno per alcuni) ragioni della vita sembra non tenere conto della libertà femminile ad autodeterminarsi, e di quanto l’accettazione di una gravidanza indesiderata sia stato per decenni, se non per secoli, uno degli archetipi del maschilismo imperante, oltre che un discutibile strumento di controllo.

Oggi che il diritto al voto non è in discussione ma lo è il suo esercizio, dato l’astensionismo cronico di cui soffre il nostro paese, e data la perdita di peso specifico di una politica orientata non più solo dall’economia ma anche dalla tecnica, il rischio che le ragioni della vita e della sicurezza virino in autoritarismo imbrigliando di fatto il libero arbitrio (non solo delle donne), che è principio cattolico per antonomasia e giova ricordarlo ai cattolici stessi, fa del film della Cortellesi uno spietato ritratto dell’attuale Italia, così presa dalla lotta ai femminicidi e alla violenza di genere, da aver dimenticato di tutelare l’indipendenza decisionale delle donne, che deve poter essere negativa e, pedagogicamente, libera (anche) di sbagliare.

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