Il silenzio dei docenti

da | Ott 26, 2023 | SUI BANCHI DI SCUOLA

La scuola è iniziata da poco ma i bilanci sono già ingenerosi, con un tasso medio di dispersione scolastica dell’11,5%, che in alcune aree del Meridione si alza in maniera più che preoccupante, e le aule dotate di monitor touch da tremila euro e un iPad per banco ma con i soffitti che perdono e secchi per raccogliere l’acqua: sembra il Nuovo Medioevo di alcuni paesi arabi con la mela della Apple che illumina il pavimento in terra battuta e le capre al guinzaglio, e invece è l’Italia.

Il personale è più che insufficiente, precario e demotivato, i salari poco dignitosi e gli edifici fatiscenti (uno su due non ha la certificazione), al punto che un report del 2022 di Cittadinanzattiva racconta di 23 000 scuole statali su 40 000 senza certificato di agibilità, e cioè il documento che verifica le condizioni minime di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico, senza considerare che il ministero non ha ancora aggiornato l’anagrafe dell’edilizia scolastica.

Restando nell’eternamente, e tristemente attuale tema dell’edilizia scolastica, si sono verificati ben 61 crolli nelle scuole italiane tra il 2022 e il 2023, con danni agli ambienti e alle persone (otto feriti, fra studenti, insegnanti e collaboratori didattici), per non parlare dell’inevitabile e conseguente interruzione del servizio: si tratta del peggior bilancio negli ultimi sei anni, che racconta la carenza di manutenzione ordinaria di un patrimonio edilizio con il 50% degli stabili vetusti e una preoccupazione che, con buona pace del Pnrr, non dovrà dirigersi solo sulle nuove strutture da costruire ma anche sulla messa in sicurezza del già esistente.

Al di là del precariato e della poco «edificante» condizione delle scuole italiane, destano ansia le classi-pollaio che, oltre a rendere difficoltosa la normale didattica, inceppano il meccanismo inclusivo che rischia di restare solo un’arma retorica nelle mani, di volta in volta, o della maggioranza o dell’opposizione; inoltre, la riforma degli istituti tecnici e professionali voluta dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, finalizzata sulla carta a promuovere «una nuova filiera formativa tecnologica», secondo molti addetti ai lavori potrebbe divenire uno strumento di «aziendalizzazione», volto a piegare un’istituzione educativa alle logiche del marketing e del profitto.

Non è un mistero ormai come da molti anni nei collegi dei docenti più che di formazione e di studenti si parli di numeri, finanziamenti e visibilità, dai quali dipendono ulteriori fondi e l’assegnazione dei relativi docenti di diritto, il tutto per scongiurare il rischio di sparire o di essere accorpati.

Ritardi e malfunzionamenti (vedi le assegnazioni per le supplenze brevi) sono solo la punta dell’iceberg di un sistema che «beneficia» del 4,1% del pil nazionale, contro il 4,8% dell’UE, e che quest’anno accusa già ad inizio stagione 40 000 cattedre vuote e 200 000 precari complessivi, secondo le stime della Cgil.

Un altro aspetto del prisma didattico, spesso lasciato ai margini della narrazione nazionale, è quello delle fiere dell’orientamento, come la Campus editori srl, la palermitana Aster o la Fiera di Verona, che allestisce l’esposizione Job&Orienta coinvolgendo 45 000 giovani e fino a 400 università: si tratta di open day o presentazioni gratuite che attingono dai finanziamenti pubblici messi a disposizione dal ministero dell’Università e della Ricerca (quest’anno 15 milioni per orientamento e tutorato, 9 per il Piano Lauree specialistiche e i 250 milioni del Pnrr), più i 40 milioni di euro stanziati nel 2021 con decreto ministeriale, proprio per le attività di orientamento.

La principale critica rivolta a questo tipo di iniziative è la morfologia di counselling e marketing, che fornisce ai ragazzi una visione superficiale e semplicistica del proprio futuro, erogata da docenti poco formati o figure professionali poliedriche ma impreparate, il tutto lontano da una specifica letteratura scientifica, o da proposte recenti cui non è stato dato seguito, come quella di coinvolgere la SIO (Società Italiana per l’Orientamento), un ente composto da docenti universitari, economisti, psicologi e sociologi ad alta formazione, nei lavori della Commissione di Orientamento della Crui (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane).

I risultati sono che negli ultimi dieci anni la percentuale di diplomati che si iscrive all’università è paralizzata al 59%, con un tasso di abbandono nei primi due anni del 14,5%, e un tre quarti del campione di giovani delle scuole superiori intervistati da Almalaurea che considera tali servizi poco utili o del tutto inutili, finendo con lo scegliere l’eventuale carriera universitaria per ragioni economiche, famigliari, o del tutto arbitrarie.

Nonostante il ministro Valditara parli di un’assegnazione del 79,9% dei posti autorizzati dal Mef (Ministero dell’Economia e delle Finanze), contro il 47% dello scorso anno, la percentuale si riduce di fatto al 50%, visto che più di 30 000 sono stati riservati al concorso, mentre un altro fattore che contribuisce alle cattedre vuote è il meccanismo delle Gae (graduatorie ad esaurimento e di merito), cioè dei vincitori dei passati concorsi, che però sono agli sgoccioli o completamente esaurite.

Per ovviare, soprattutto al Meridione, alla piaga delle sostituzioni a vita per un’assunzione che potrebbe arrivare dopo vent’anni, sono in molti i precari che hanno accettato di andare ad insegnare a mille chilometri da casa, ma fra di essi la percentuale delle rinunce è altissima perché, conti alla mano, 1300 euro al Nord, tolto l’affitto e gli spostamenti, sono veramente una cifra irrisoria, ai limiti della sopravvivenza.

Il rovescio della medaglia, che dequalifica una professione che, al contrario, dovrebbe essere vocazionale e ampiamente riconosciuta (leggi retribuita), è la Mad, e cioè la domanda di messa a disposizione, l’accesso alla quale può avvenire tramite mail o semplice compilazione di moduli on line, con il proprio titolo di studio, interessi o precedenti impieghi, successivamente vagliati dai dirigenti scolastici i quali, se possono, selezionano i laureandi in Scienze della Formazione, altrimenti pescano in maniera aleatoria, soprattutto se in difficoltà.

Avviene così che figure professionali che non hanno mai avuto a che fare con la scuola o con un piano didattico personalizzato si trovino a interpretare il ruolo di insegnante di sostegno, magari con bambini autistici o ipovedenti, senza aver avuto prima un’adeguata formazione, coi risultati che si possono immaginare: materiale, tecnico e umano, inappropriato e impossibilitato a scalfire il muro emotivo di una disabilità che dovrà fronteggiare una continua rotazione di maestri, alla prima esperienza o provenienti da ambiti come musica o ginnastica, incapaci di erogare la giusta attenzione e la necessaria formazione, al punto che alcuni genitori hanno pagato di propria tasca dei trainer che li preparassero ma poi hanno rinunciato, non solo per gli alti costi, ma anche per i continui cambi di cattedra subiti negli anni.

La sensazione è che fra i continui proclami politici, realizzati solo in parte o procrastinati, e l’attenzione che i mass media danno soprattutto ai casi limite, iperboli di un’immobilità sistemica e di un’emergenzialità semi-permanente, ragazzi e docenti si siano chiusi in una bolla di silenzio effettivo (affettivo) che la democrazia digitale non solo non scalfisce ma amplifica: tutti hanno il diritto di parlare, e di non essere ascoltati.

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