Il luogo è il Salone del libro di Torino e l’occasione proprio il giorno d’apertura, lo scorso 18 maggio, quando la sessantacinquenne scrittrice triestina Susanna Tamaro, partecipando a un panel intitolato «Avventure com’erano una volta», format dedicato alla letteratura under 18, ha dichiarato: «Come si fa a fare appassionare i ragazzi alla letteratura con Verga? Ai ragazzi bisogna far leggere cose che fanno loro eco dentro. Cose moderne, contemporanee o no, ma che sono adatte per i ragazzi. Non si può far leggere Verga, lo odiavo già alle medie. Basta.»
Chiaramente, l’affermazione dell’autrice friulana ha scatenato un vespaio di polemiche, tanto più che fra i possibili sostituti al verismo siciliano è stato nominato proprio il suo «Va dove ti porta il cuore», già adottato come libro di testo nella «modernissima» Turchia.
La Fondazione Verga, tramite gli studiosi Gabriella Alfieri e Andrea Manganaro, ha subito replicato: «Le letture «amene» come il libro più famoso della signora Tamaro, possono far evadere dalla cruda realtà, ma non forniscono ai ragazzi quella sensazione di rispecchiamento che gli psicologi additano come passaggio fondamentale per la crescita dell’io.»
Se da un lato una simile affermazione s’inserirebbe meglio nel quadro di quella che è stata ribattezzata post-letteratura, o fra gli adepti estremi della Cancel Culture, e non nel recinto letterario di un’autrice così rispettata e di certo lontana da bieche manovre di marketing, dall’altro è altrettanto vero che i programmi scolastici necessitano di una svecchiata radicale, soprattutto a livello antologico, e che la maggior parte degli adolescenti ha odiato i giganti delle Patrie Lettere (Manzoni su tutti), per poi riscoprirne l’importanza da adulti.
Inoltre, il dibattito (in)volontariamente fomentato dalla Tamaro si può estendere anche alla tipologia di letteratura in grado di sedurre i giovani, poiché non è vero che gli adolescenti italiani leggano poco, basta guardare le vendite del genere fantasy, e non ci si riferisce solo ad Harry Potter, ma di certo la letteratura di genere e quella legata alla magia rivelano un desiderio centrifugo rispetto alla realtà e alle sue rappresentazioni, che si rispecchia anche nelle scelte cinematografiche o «seriali», dove in modo più sottile non è la realtà ad essere esclusa ma il filtro buonista e politicamente corretto attraverso cui la si osserva, a fornirci una chiave interpretativa del gusto dei più giovani.
Vale la pena «utilizzare» la querelle Tamaro per gettare una luce, opaca ma densissima, su una questione che dovrebbe essere popolare e che invece risulta uno dei più grandi rimossi della recente cultura umanistica: al più grande evento editoriale della penisola, che richiama circa 170 000 visitatori ogni anno, e non certo per gli stand coi libri, ma per gli eventi di presentazione che toccano quota 1500, con 4000 autori coinvolti, gli unici a non percepire un cachet sono proprio questi ultimi.
Caratteristica tutta italiana questa, visto che all’Estero si presenta meno ma con maggiore qualità, con mediatori di professione e un pubblico folto e selezionato, e soprattutto con una retribuzione minima garantita a chi i testi li scrive, e scusate se è poco: ovvio che la gratuità delle presentazioni ne moltiplichi il numero abbassandone la qualità, in un perverso gioco di specchi che non può essere infranto dall’anarchia remunerativa di pochi, ma da una rivoluzione corporativa che spezzi il luogo comune: «tanto sei un artista, quindi non ti paghiamo.»
Emblematico in tal senso l’articolo di denuncia de Il Post, «Presentare stanca»: «Il Salone del Libro di Torino porta fatturato ad albergatori e tassisti, autisti di Uber e gestori di Airbnb. Guadagna anche il settore alimentare: i chioschi Autogrill in fiera col contratto in esclusiva. E poi, ovviamente, i cartongessisti che allestiscono gli stand, i magazzinieri che li stoccano, gli spacciatori di Borgo Dora, gli ambulanti dei Murazzi, artisti di strada, guardie giurate, gelatai, parcheggiatori ed escort. A Torino tutti intercettano qualcosa dell’indotto economico del più grande evento editoriale italiano. Quasi tutti. Non lo intercettano gli autori.»
TUTTO UN ALTRO PROGRAMMA
I manuali e i sussidiari delle scuole di secondo grado, primarie e secondarie, devono aggiornarsi alle nuove tendenze di genere, etnia, religione, disabilità, neuro-diversità e cultura, o devono mantenere una fissità monolitica di sguardo?
La risposta sembra scontata ma realizzare una simile metamorfosi, compatibilmente ai programmi ministeriali, è un compito arduo che sta interessando molti intellettuali e scrittori, fra i quali non poteva non figurare la sociolinguista Vera Gheno, autrice di «Parole d’altro genere. Come le scrittrici hanno cambiato il mondo», testo che analizza soggettività femminili sempre esistite ma che non hanno mai avuto grande dignità di parola, soffrendo di «ingiustizia epistemica», e cioè del pregiudizio etero-indotto di non poter essere produttrici di cultura.
La domanda che vellica e veicola simili cambiamenti è più o meno questa: «siamo sicuri che il maschile sovra esteso e la sproporzione a vantaggio degli autori maschi, bianchi, occidentali, sia un dato storico e non il secolare effetto di un condizionamento?»
Nell’ «Infinito Narrare», antologia per il Biennio delle superiori redatta per Feltrinelli da Di Paolo, Recalcati e Petrella, si cerca di selezionare autori diversi da proporre ai ragazzi, sfruttando il criterio non cronologico delle antologie che di fatto dona una maggiore libertà di scelta, mentre ne «La Seconda Luna», opera realizzata da Baricco in collaborazione con la Scuola Holden, si è scelto di alleggerire gli apparati a favore delle short stories.
La sfida è duplice: da un lato aiutare i docenti a sfilarsi da paradigmi didattici fossilizzati, dall’altro reperire biografie ed opere non europee e non bianche, ma senza cadere nel doppio sgambetto di farlo attraverso il lavoro di saggisti europei e bianchi.
Riconoscere il lavoro degli artisti italiani (leggi retribuirli), non bypassando i classici ma integrandoli con opere finora marginalizzate dalla cultura dominante, dev’essere la strada da percorrere, soprattutto a partire dalle scuole.