The Italian Job: è l’ora del Tech

da | Mag 18, 2023 | IN PRIMO PIANO

In un recente editoriale su Italian Tech (4 maggio scorso), la presidente del CNR, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha espresso la sua positività sul settore ricerca per ciò che concerne l’Italia, grazie soprattutto all’introduzione di quei nuovi soggetti di partenariato pubblico-privato che sono gli hub, il cui principale obiettivo è quello di sviluppare e gestire i piani di sostenibilità ben oltre il Pnrr.

Dando concretezza all’abusato vocabolo «resilienza», Chiara Carrozza suggerisce infatti il corretto monitoraggio dei target raggiunti, obiettivo per obiettivo, senza soffermarsi troppo sul concetto di spesa ma ragionando su quello di investimento, non solo a breve termine.

In particolare, il CNR ha stretto un’importante collaborazione con l’Istituto Italiano di Tecnologia creando l’ecosistema della Liguria, eccellenza dell’intelligenza artificiale e della robotica, soprattutto marina, e fondando l’ecorobotica, grazie anche al contributo della Marina Militare e del Ministero del Mare.

Concentrandosi sul consolidamento degli investimenti, bisognerà semplificare la spesa trasformando gli enti nazionali in enti di ricerca europei e dal respiro internazionale, ricordandoci che il futuro dev’essere all’insegna della tutela della biodiversità, della transizione ecologica e della sostenibilità, con una nuova mentalità industriale imperniata sull’economia circolare e sostenibile.

Il fisico e divulgatore americano Richard Feymann paragonava la ricerca al sesso: «ci sono delle conseguenze pratiche, ma non è per questo che lo facciamo. Il punto è che ci piace la scienza di per sé.»

VIAGGIO AL CENTRO DELLA TERRA: I LNGS

Quando nel 1979 l’allora presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Antonio Zichichi, ebbe l’idea di costruire un grande laboratorio sotterraneo dedicato alla fisica fondamentale proprio sotto il Gran Sasso, non aveva idea di varare quello che sarebbe diventato il più grande centro di ricerca ipogeo al mondo, primo dei quattro laboratori dell’INFN (gli altri sono a Catania, Frascati e Legnaro).

Sfruttando i lavori per il traforo sull’autostrada A24 Roma-L’Aquila, i cantieri furono aperti nel 1982, costarono 77 miliardi di vecchie lire e divennero funzionali nel 1987: attualmente ci lavorano 1000 scienziati provenienti da 30 paesi diversi, impegnati in ben 20 esperimenti di varia natura, dislocati in grandi sale scavate nella roccia, ognuna delle quali è lunga 100 metri, alta 18 e profonda 20, con una temperatura naturale di 7 gradi e un’umidità costante del 100% tutto l’anno.

Ma i LNGS (Laboratori Nazionali del Gran Sasso) si declinano anche alla luce del sole, a poca distanza dall’ingresso delle gallerie, e precisamente ad Assergi, dove si trovano uffici, sale conferenze, biblioteche, servizi di supporto e altri laboratori: è qui che ricercatrici e ricercatori si confrontano in un’atmosfera poliglotta e profondamente democratica, anche perché il frutto del loro lavoro proviene da finanziamenti in larga parte pubblici e, a differenza del settore industriale, non evoca serrate rincorsi ai brevetti.

Ma quali sono le attività che si svolgono in questi laboratori, incassati sotto 1400 metri di roccia?

Innanzitutto, si indaga la fisica del neutrino, i decadimenti rari, l’astrofisica nucleare e, più romanticamente, il funzionamento delle stelle; da quando le osservazioni astrofisiche hanno evidenziato che la maggior parte della massa contenuta nelle galassie e nelle più grandi strutture visibili nel cosmo non emette o assorbe radiazioni elettromagnetiche, il principale compito degli scienziati di settore è quello di scrutare la materia oscura (dark matter).

È quello che cerca di fare Marcello Messina, fisico di grande esperienza internazionale, con l’esperimento XENONnT, dal suggestivo sottotitolo «Illuminare il Buio», un progetto che ha portato alla costruzione di una palazzina a tre piani collegata a un serbatoio colmo di xenon ultrapuro, un gas nobile incolore, inodore e molto pesante, che serve proprio a rilevare le interazioni di materia oscura.

XENONnT è un esperimento nato nel 2005 ed è tutt’ora in corso, così come hanno già una lunga storia l’esperimento Dark Side e quello Boxerino per lo studio dei neutrini solari (caratterizzato da un contenitore di acciaio inossidabile alto 18 metri): la vita media di ogni progetto LNGS è di 20 anni e, al di là delle ipotesi di ricerca, del metodo da utilizzare e della strumentazione da costruire, si tratta di un percorso ben più importante dei risultati raggiunti, visto che sia i dati che gli strumenti adottati divengono prototipi che si trasferiscono subito nella cultura di massa, com’è accaduto per gli esami medici tipo la PET, e per tutta la diagnostica moderna.

Non avvertendo alle reni il velenoso pungolo del guadagno a breve termine, gli scienziati sotto il Gran Sasso hanno quindi il privilegio e l’opportunità di poter coniugare ricerca scientifica e sviluppo industriale, al punto che si potrebbe quasi parlare di «olismo scientifico».

Grazie alla vittoria di un bando istituito dal Pnrr, sono in arrivo nuovi fondi per potenziare e ammodernare le strutture dei LNGS, ma anche per sostenere le ingenti spese di gestione ordinaria necessarie a un’ottimale climatizzazione (bisogna ricordare che la montagna è piena d’acqua e l’umidità sotterranea elevatissima), ma uno degli elementi più interessanti delle strutture è sicuramente la galleria che contiene reperti risalenti anche a 2000 anni fa: ne sono un ottimo esempio i lingotti di piombo rinvenuti su una nave d’epoca romana affondata nel I secolo a.c. nei pressi di Oristano.

All’inizio degli anni Novanta, un consorzio costituito dall’INFN e dalla Soprintendenza Sarda s’impegnò a recuperare questi lingotti, e 270 del migliaio riportato in superficie furono fusi per essere utilizzati come schermatura estremamente pura, e questo perché i romani erano soliti separare l’argento dal piombo, rimuovendo inconsapevolmente anche l’uranio, e conferendo quindi al metallo delle caratteristiche uniche.

Passato e presente si fondono (come il piombo) per creare un’eccellenza che attraverso l’esperimento XENON100, che utilizza circa 160 chilogrammi di xeno liquido a 90 gradi sotto zero, schermato e tenuto sotto stretta sorveglianza da una serie di fotomoltiplicatori ultrasensibili, per rilevare anche i minimi segnali di luce degli eventuali urti delle particelle WIMP (Weakly Interacting Massive Particles) con gli atomi di xenon, indaga the cold dark matter, e cioè la materia oscura fredda, che costituirebbe l’83% della materia dell’universo, contro il restante 17 della materia ordinaria, o «barionica».

Al di là delle implicazioni scientifiche che non approfondiremo in questa sede anche per la mancanza delle dovute competenze, va ricordato, nel rispetto dei ricercatori e degli scienziati che operano sotto il Gran Sasso, che la scelta di lavorare sotto 1400 metri di roccia e in condizioni oggettivamente claustrofobiche, oltre che debilitanti dal punto di vista fisico, non è stata effettuata per motivi di segretezza o per celare eventuali materiali pericolosi, ma perché la montagna serve da ombrello per la pioggia cosmica, essendo la dolomite un riduttore di raggi cosmici grazie alla bassa percentuale di uranio e torio contenuta in essa: è come se nei LNGS si riuscisse ad ascoltare meglio la voce dell’universo perché si è ridotto il rumore di fondo.

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