Come congelare la realtà: i primi 40 anni di Frigidaire

da | Mag 8, 2023 | MONDOVISIONE

In un’intervista a due con l’antipatico e coltissimo Filippo Scozzari (nell’occasione munito di riporto à la Ghezzi), il geniale e compianto Andrea Pazienza parlerà del canto del cigno della rivista «Cannibale» e dell’imminente uscita di Frigidaire, ulteriore evoluzione del movimento, definendola: «un congelare certe immagini di questi tempi per un’ipotetica quanto improbabile, per altro non prevista, posterità».

Coi rayban scuri, la magrezza patibolare da cow boy di Jacovitti e un rigo nero fattogli poco prima sul viso con un pennarello proprio dallo stesso Scozzari, Paz è il Cristo eroinomane di questo manipolo di folli trasgressori, in grado di coniugare così tante forme espressive da sfuggire a un’analisi critica esaustiva: Frigidaire uscì per la prima volta il 28 ottobre del 1980 e tutt’ora esiste tramite la Repubblica di Frigolandia, geolocalizzata a Giano dell’Umbria, e che si autodefinisce «Repubblica della fantasia, Accademia delle invenzioni, Ashram socratico, città immaginaria dell’arte mai vista, Parco della Pace e della poesia, Monastero euro-tibetano, Prima Repubblica marinara di montagna.

265 numeri per quasi 25 000 pagine di materiale (e la materia, diceva Roland Barthes, è più preziosa della vita), con due morti illustri, Stefano Tamburini e come detto Paz, Frigidaire si è proposta e si propone come un progetto di comunicazione, e contaminazione, totale, spaziando dal fumetto alla satira, passando attraverso politica e filosofia, letteratura, storia e musica, con un animo punk in grado di coinvolgere trasversalmente migliaia di intellettuali, fotografi, scrittori, avvocati e persino Sandro Pertini, il presidente partigiano per antonomasia.

Su tutti, e sono veramente tanti da citare (potremmo aggiungere Giuliano, Ugo Delucchi, Maila Navarra, Paolo Echarren, Mario Pischedda, Gianni Cossu e i più recenti Ivan Manuppelli e Tommy Gun), aleggia il padre nobile ed eminenza grigia del collettivo, e cioè Vincenzo Sparagna, figlio d’arte del pittore Cistoforo Sparagna, editore, giornalista, scrittore e a sua volta disegnatore, in grado di tenere le briglie di questo informe e coloratissimo cocchio di cavalli metafisici alla De Chirico.

IL DOCUFILM

Vincenzo Sparagna guadagna una delle sedie sul palco del cinema Postmodernissimo di Perugia, prima della proiezione de «I 40 anni di Frigidaire», film documentario di un’ora esatta diretto da Massimo Saccares (presente in sala) e Alessandra Attiani: è un incrocio fra Bruno Lauzi e Renato Carpentieri, imbolsito e con dei lunghi e veterotestamentari capelli bianchi, baffi ingialliti dalla nicotina e l’attitudine beat di chi ne ha passate tante e non si è mai arreso.

Prendo il microfono e gli chiedo se sarebbe mai possibile oggi quell’esperimento spontaneo, sociale e antropologico, che fu di fatto Frigidaire, se in pieno clima politically correct, con una censura di qualità che spiove dall’alto e aborrisce ogni forma di violenza, un simile movimento potrebbe di nuovo «congelare» la realtà come riuscirono a fare i suoi stilosissimi apostoli, e la risposta è che sta già succedendo, perché ci sono dozzine di giovani autori e dis(d)egnatori in grado di rappresentare il presente con (cattivo) gusto, e che lui incontra, consiglia e a volte pubblica.

Mentre inizia il film, penso che in Italia al momento non è di certo la creatività a mancare (che sia politicamente orientata, anarchica o apolitica) ma dei nuovi Sparagna in grado di rischiare soldi, arresti e reputazione, pur di mettere in scena quello che lui stesso definì una volta «la commedia dell’informazione», una feroce e permanente critica alla contemporaneità che, priva di qualsiasi ambizione artistica, è divenuta suo malgrado una visionaria cartolina dagli anni di piombo, in grado di anticipare in molte sue forme il degrado attuale (basti pensare al coatto Ranxerox e alla Roma post-apocalittica, congeniata da Tamburini e disegnata da Tanino Liberatore).

La pellicola inizia con un breve exursus sulla storica fanzine «Il Male», irriverente genitrice di falsi quotidiani come il Paese sera che riconosceva, a un’Italia attonita, in Ugo Tognazzi il capo delle Br, per poi passare ai primi vagiti di Frigidaire e ai suoi (inventati) periodici paralleli come Frizzer, il Lunedì della Repubblica e via dicendo, compiendo un’operazione di detournement tipicamente situazionista che obbligava il lettore a non subire passivamente l’informazione ma a scandagliarla in cerca, se c’era, della o di una verità (e se la cosa non vi ha fatto pensare istintivamente alle fake news e al fact checking sto facendo molto male il mio lavoro).

Con un ricco materiale d’archivio (recentemente acquisito dall’Università di Yale, che lo ha considerato di fondamentale importanza per studiare la cultura europea di fine Novecento) il docufilm presenta gli illustri ospiti di F., fra cui un divertito e perfettamente a suo agio Nino Marazzita, avvocato pro bono («come avrebbero mai potuto pagarmi?») di Frigidaire in ben 126 cause, 125 vinte e una caduta in prescrizione, ansioso di raccontare una Magistratura italiana estremamente rigida ma anche in grado di cogliere lo spirito satirico di Sparagna and Co, e di farsene scandalizzare (il piacere dello scandalo borghese di cui scriveva Pasolini), e poi l’onorevole Illona Staller, in arte Cicciolina, comparsa in più di un numero di Frigidaire e invitata in quegli anni da Andreotti a fare attenzione alla quantità di stoffa indossata al momento di presentarsi in Parlamento, per non parlare di Achille Bonito Oliva messo a nudo, letteralmente, in più di uno scatto, per creare un distacco concettuale fra se stesso e la propria immagine pubblica («il critico messo a nudo»).

Fa sorridere l’intervento di Chiara Rapaccini, ex moglie di Monicelli, rappresentata insieme ad altre fan della rivista con gli occhi cancellati dalla censura ma perfettamente riconoscibili, in una parodia di almanacco delle superiori con dettagliate e irriverenti informazioni sessuali in nota, al posto del profilo biografico, mentre intellettuali come Nicola La Gioia ne glorificano la capacità di destrutturare la realtà attraverso il sarcasmo, per meglio capirne e denunciarne gli aspetti deteriori (e se mai leggerete il suo  «La Città dei Vivi», capirete l’importanza per lui di un simile lavoro), ma il momento più toccante del docufilm è di certo la commozione di Giuliano nel raccontare prima il certificato di instabilità mentale firmatogli da Basaglia in persona, che ne impediva l’arresto per qualsiasi eventuale capo d’accusa, quindi il rapporto con Paz, geniale nella scrittura quasi più che nel disegno, ed anche Stefano Benni che lo ha conosciuto molto bene, consigliandolo sui poeti russi da leggere, sarebbe d’accordo.

Attualmente Frigolandia è ai ferri corti col Comune di Giano dell’Umbria che la vuol far chiudere e Sparagna sta lottando per difenderne memoria, archivio storico e spirito (si possono fare donazioni all’Iban presente sul sito o ordinare/consumare l’omonima birra prodotta dalla Fabbrica Birra Perugia), ma a testimoniare l’animo più ruvidamente vero di Frigidaire è stato un ricordo del suo mentore che, dopo un’intervista a Enrico Ghezzi, si sentì chiedere: «ma Vincenzo, se F. non esce da un anno, dove andrà a finire questa intervista?” E lui: «Frigidaire c’è anche quando non c’è».

«I 40 anni di Frigidaire» è un docufilm meno accurato di qualsiasi equivalente Netflix, e a tratti è un po’ troppo nostalgico, ma ha il merito di aprire un mondo semi-sconosciuto ai più giovani che possono tuffarsi nel frigo di Pazienza e soci, nutrendosi di quel cinismo «frieze» d’ispirazione pop-art, ricordandosi che la cattiveria richiede intelligenza e che, come diceva De André: «l’Anarchia non è fare come ti pare ma darsi delle regole prima che te le diano gli altri».

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