Erano i primi di aprile quando Giorgia Meloni, sul palco dell’auditorium della Fiera di Verona, durante un Vinitaly particolarmente riuscito (quattromila espositori e +43% di presenze rispetto all’anno precedente), premiava gli allievi degli istituti agrari vincitori di un concorso nazionale affermando: «il vero liceo è il vostro, quello più profondamente legato alla cultura italiana», e rilanciando: «sorrido quando sento che con la scelta del liceo c’è uno sbocco professionale. Negli istituti tecnici ci sono opportunità professionali molto più alte rispetto ad altri percorsi.»
L’idea alla base di queste affermazioni poggia su uno dei pilastri della campagna elettorale di Fratelli d’Italia, e cioè la creazione di un liceo «Made in Italy» che valorizzi la triangolazione fra cultura, territorio e identità: si tratta di un vero e proprio disegno di legge pronto in Senato, e in particolare alla Commissione Cultura e Istruzione, già dal 23 gennaio scorso, a firma della sottosegretaria all’istruzione Paola Frassinetti e della senatrice Carmela Bucalo, e che promuove di fatto la nascita del settimo liceo italiano.
Al di là della realizzabilità di un progetto che, con ben altri toni, era stato già annunciato da Mario Draghi, persino dal primo discorso d’insediamento, e dall’ex ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, la battaglia ideologica del Governo, sostenuta anche dalla ministra del Turismo Daniela Santanché, è a favore degli istituti tecnici, legati al territorio e al concreto mondo del lavoro, contro il processo di «liceizzazione» della nazione ad opera, secondo loro, della Sinistra.
Vale la pena ricordare che fu proprio una Ministra di Destra, e cioè Letizia Moratti a inventare ben cinque nuovi licei (Economico, Musicale, Tecnologico, delle Scienze Umane e il Coreutico), poi ridotti dalla Gelmini, ministro dell’ultimo Governo Berlusconi, che dispose anche un taglio delle ore per gli insegnamenti di indirizzo, proprio negli istituti tecnici e professionali.
Mentre il dato relativo alle scuole professionali è reale, perché negli ultimi 15 anni il numero di iscritti si è pressoché dimezzato, per ciò che concerne le scuole tecniche, queste ultime continuano ad accogliere circa un terzo dei discenti italiani, ma la battaglia di Giorgia Meloni e dei suoi corifei è tutta contro una sinistra radical-chic poco attenta ai bisogni dei ceti popolari, e viene da una premier diplomata col massimo dei voti proprio all’alberghiero Amerigo Vespucci, Tiburtina, Roma Est, indirizzo linguistico.
Sulla scia, o forse dovremmo dire aroma, del vino, di cui siamo i primi produttori mondiali e i secondi consumatori, e che dalle sagre regionali, in cui si transustanzia in fatturati da capogiro, fino ai reality enogastronomici che confinano pericolosamente con lo snobismo di cui sopra, l’assessore alla sovranità alimentare Francesco Lollobrigida ha rivolto il suo appello al ritorno dei giovani all’agricoltura, per ridare prestigio a una professione da anni ingiustamente denigrata o subappaltata agli immigrati.
Ma come si strutturerà il liceo Made in Italy concepito dalla premier?
A 14 anni lo studente entrerà in contatto, già dalla prima classe, con le dinamiche del commercio internazionale e della difesa dei prodotti nazionali, in particolare per ciò che concerne l’enogastronomia, la moda e l’arte; si studieranno Letteratura italiana e Storia, poca Geografia e niente Latino, ma da subito Diritto, Economia Politica e Informatica.
A partire dalla terza classe, la difesa del Made in Italy si servirà di materie come «Economia e Gestione delle imprese del Made in Italy», «Modelli di business nella moda, nell’arte e nell’alimentare» e, infine, «Made in Italy e mercati internazionali», con un sorso, ma ben centellinato, di Filosofia.
La senatrice Bucalo, cofirmataria del disegno di legge numero 497, ha affermato: «vorremmo crescere studenti con competenze avanzate, capaci di riconoscere le insidie dei mercati, i prodotti falsi provenienti dalla Cina e gli inganni del cibo sintetico. Vorremmo stimolare i ragazzi del nuovo liceo a proseguire gli studi nelle università di settore o negli istituti tecnici superiori»; lo stesso disegno di legge prevede dei PCTO (Percorsi di Alternanza scuola-lavoro) concreti e non pericolosi, realizzati con le industrie di riferimento, ma per trovare applicazioni concrete, un orario definito e gli adeguati finanziamenti, bisognerà prima riformare gli istituti agrari (tecnici e professionali), renderli funzionali e provvisti di laboratori.
Se da un lato, la spinta sull’agrario e sugli istituti tecnici e professionali è doverosa, non solo per sottrarre i giovani all’inedia e i post-giovani alle facili lusinghe del reddito di cittadinanza, ma anche per colmare lo storico gap fra istruzione e mondo del lavoro, che caratterizza il sistema Italia ormai da troppi anni, dall’altro il rischio autarchico dell’accerchiamento sa di acque lacustri e di una narrazione stiticamente aggrappata non alla tradizione ma alla riduzione macchiettistica di un’eredità troppo ampia da limitarsi alla propria difesa: la disastrosa campagna pubblicitaria siglata Santanché, e costata ben 9 milioni di euro ai contribuenti, che più che aprire alla meraviglia ha aperto a un fuoco incrociato di polemiche per i tanti errori (di forma e di concetto) in essa contenuti, è un ottimo esempio di come l’archetipo può veicolare cultura nel mondo e lo stereotipo solo inaugurare il ridicolo.
La migliore forma di conservazione del Made in Italy è o dovrebbe essere il suo studio, comparato e approfondito, senza semplificazioni più o meno instagrammabili, o riduzioni a icone dal dubbio fascino, poiché essere moderni (e di questo anche il marketing, istituzionale o meno, dovrebbe tener conto) è essere sempre contro la Modernità, affrontandola in modo dialettico e recuperando ciò che è stato, senza false retoriche o ammiccanti manovre commerciali.