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da | Mar 21, 2023 | MONDOVISIONE

Il recente incontro di Carlo Bonomi e della sua Confindustria ha posto l’accento, in termini di crescita e produttività, sulla prevalenza di aziende manufatturiere nel sistema industriale italiano, ma anche sui vincoli di bilancio di un paese in cui il rapporto debito/Pil è pari al 145%.

L’inflazione europea, come sostiene anche il governatore della banca d’Italia Ignazio Visco, è diversa da quella americana e non può essere combattuta semplicemente innalzando i tassi (la cui crescita è tollerabile solo fino al 3%); il nodo centrale dell’incontro tenutosi a Roma, nella storica sede in viale dell’Astronomia, è quello della transizione green, che Confindustria sostiene ma chiedendo che il «Green Deal Industrial Plan» presentato da Ursula Von der Leyen incentivi gli investimenti non solo sul green ma anche sulle tecnologie, affinché si raggiunga la neutralità tecnologica.

In sostanza, Bonomi (che sul green critica anche la calendarizzazione di obiettivi temporali irrealistici) focalizza la sua attenzione sul settore dell’automobile e su quello del packaging, affermando, per ciò che concerne il primo, che soffermarsi solo sull’elettrico significherebbe farsi cannibalizzare dai mercati asiatici, e sul secondo che la bozza presentata dalla Commissione Europea predilige il riuso in luogo del riciclo, sul quale l’industria italiana è all’avanguardia (attualmente gli imballaggi sottratti alle discariche sono quasi l’85% del totale).

Favorevole al salario minimo e a un welfare che senza nuovi giovani che entrano nel mercato del lavoro deve puntare alla contrattazione di secondo livello, Confindustria chiede decontribuzione e detassazione perché in Italia si continuano a pagare più tasse sul lavoro che sulle rendite finanziarie, senza dimenticare che degli aiuti di Stato autorizzati dall’Ue nel 2022, il 49,3% è andato alla Germania, il 29,9% alla Francia e solo il 4,7% all’Italia, e questo proprio per i suoi spazi fiscali ridotti.

In un paese che deve ancora spendere il 40% delle risorse europee relative al settennato 2014/2020, quello che Bonomi and Co considerano con inedita preoccupazione sono le conseguenze sociali di questi cortocircuiti: 70 mila posti di lavoro a rischio (con l’indotto il doppio) per il settore auto trincerato all’elettrico (già da tempo snobbato dai guru della Silicon Valley); 7 milioni di licenziamenti se prevale il riuso sul riciclo, per non parlare del trionfo del nero che pone il salario orario ben al di sotto dei nove euro dei contratti nazionali dell’industria.

CASA-INTEGRATI

Secondo la recente inchiesta condotta dal settimanale L’Espresso, ma anche in base ai dati diramati da Immobiliare.it, Abitare.Co e il Rent Index di HousingAnyWhere, la proverbiale coperta abitativa in Italia è sempre più corta e l’aumento dell’inflazione da una parte e la stagnazione dei salari dall’altra, incidono sia sul mercato degli affitti che su quello delle compravendite.

A farne le spese è, ovviamente, la generazione che va dai 18 ai 36 anni, con l’inevitabile ricaduta demografica che pone l’Italia fra gli Stati meno «generativi» al mondo.

In questo inizio del 2023, Milano diviene la città più cara d’Italia in termini di affitto, sfondando quota 600 euro per una singola e 320 per una doppia; segue Roma (465 e 248), quindi Padova, Firenze, Bologna, Torino e Venezia: il capoluogo lombardo è più caro di Parigi, Berlino e Monaco di Baviera anche per il costo dei bilocali, ma in generale nel Belpaese la domanda fuori controllo ha dato il via a una speculazione senza precedenti, con telecamere non autorizzate per monitorare il comportamento degli inquilini, colloqui di ammissione più severi di quelli di assunzione lavorativa, caparre abnormi che a volte sfiorano i 4000 euro con 3-4 mensilità anticipate, e lo sbarramento all’ingresso per chi non può già vantare un contratto a tempo indeterminato.

Le conseguenze, intuibili ed esiziali (socialmente parlando), sono il rientro a testa bassa presso i genitori, soluzioni alternative come la condivisione di una doppia periferica fuori tempo massimo o il primato del nero che regala al proprietario l’arbitrio (senza alcuna tutela per gli affittuari) di improvvisi rialzi, pena lo sgombero immediato.

Se da un lato questo scenario è la risacca di un sistema che per lungo tempo ha penalizzato i proprietari, dall’altro va sottolineato come anche gli istituti religiosi, che dovrebbero almeno sulla carta aiutare i giovani a trovare una casa e un lavoro, hanno tariffe proibitive: 355 euro a Milano per un posto letto in una doppia più 12 per il wi fi, 24 di lavatrice e dai 25 ai 30 per ospitare parenti dal primo grado a scendere; a Roma invece, senza la possibilità di ospitare nessuno, si sale a 650 per una singola più 130 annui per il wi fi e  120 di tessera d’iscrizione, che diventano 700 con la colazione e 850 con la mezza pensione.

Il rovescio della medaglia è quello dell’acquisto immobiliare che, dopo aver registrato un aumento post-pandemico del 5%, sta ora vivendo una crisi dovuta all’aumento dei tassi deciso da Bce e Fed statunitense (in Italia il tasso medio sui mutui alle famiglie è passato dall’1,45% del gennaio 2022 al 3,79% del febbraio 2023), con un’impennata del costo del denaro e delle rate mensili a tasso variabile da 456 a 623 euro.

La stretta pesa soprattutto sui lavoratori dipendenti e sulle giovani coppie, con l’inflazione alle stelle e gli stipendi ormai congelati da anni, al punto che prevalgono i finanziamenti a lunga scadenza e cala il valore medio dei prestiti, ma se da un lato, secondo gli operatori, la situazione a breve termine non sembra migliorare, dall’altro c’è anche penuria di nuovi fabbricati (50% in meno rispetto al 2022), tra l’altro con standard qualitativi in netto ribasso, a causa soprattutto dell’aumento dei costi di produzione.

Se non puoi comprare affitta.

Un vecchio adagio di un’agenzia immobiliare parigina recitava: «loyer c’est liberté» (affittare è libertà), ma quale libertà si cela dietro le cifre sopra elencate?

È vero che stanno nascendo una serie di iniziative-paracadute, nel paese emergenziale per antonomasia, come l’affordable housing, lo student housing, il social hiusng  o il cohousing, ma al netto dell’esterofilia e dell’immortale (e nostrana) arte dell’arrangiarsi, sembrano tutte manovre di «housewashing», dietro cui nascondere un collasso più che generazionale.

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