Violenza, Neet e Sanità: non è un paese per minori

da | Feb 9, 2023 | IN PRIMO PIANO

Aumentano gli episodi di violenza all’interno delle scuole, non solo nei confronti dei docenti ma anche verso il personale scolastico, al punto che il Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha dichiarato: «Sarò sempre dalla parte degli insegnanti aggrediti. Riportiamo responsabilità serenità e rispetto nelle scuole […] non possiamo accettare che mentre un professore spiega in classe, un ragazzo guardi un film o che, com’è successo a Rovigo, i ragazzi filmino il docente, lo postino sul Web e lo deridano […]».

Sono al vaglio una serie di provvedimenti per stimolare la corresponsabilità educativa delle famiglie, molto spesso assenti o pronte alla levata di scudi per proteggere i propri figli senza analizzare in modo critico cosa sia accaduto e, nel frattempo, la Ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, ha predisposto un provvedimento per l’istituzione di presidi per il benessere psicologico degli studenti all’interno degli Atenei, decisione che potrebbe essere adottata anche dalle scuole secondarie di primo e secondo grado.

Quella che molti antropologi hanno definito «la scomparsa del futuro», unita al crollo generalizzato di valori, ha sagomato un nichilismo caratterizzato da simulacri di valori, per dirla à la Baudrillard, e da una violenza, etero o auto-diretta, che si definisce attraverso l’impotenza di agire sul proprio presente e quindi di distruggerlo.

Non si tratta di ribellione verso l’autorità costituita, visto che spesso i discenti non la riconoscono più come tale, ma del fare del male e del farsi del male per definirsi, socialmente e individualmente: rispetto al masochismo esistenziale così ben descritto da Alberto Moravia ne «La Noia», però, ci sono due fattori aggiuntivi:

  1. Manca completamente nei giovani vettori di violenza l’intelligenza (e risonanza) emotiva, per cui, come brillantemente e tragicamente spiega Umberto Galimberti, tra il fare l’amore con una persona e stuprarla non c’è alcuna differenza: questa incapacità di valutare in modo critico il peso morale delle proprie azioni determina non solo l’irresponsabilità ma anche l’assenza di autocoscienza, e tutto questo non può che fondarsi su un evidente bug educativo;
  2. L’invasività tecnologica fa sì che gli episodi di violenza, che si tratti di bullismo verso un compagno di classe o di umiliazione (fisica o psicologica) verso un professore, vengano ripresi e caricati sulla piattaforma più cool del momento, creando pericolosi doppi di quanto accaduto: da un lato questo può generare pratiche emulative, ma anche il primato della rappresentazione sull’azione, che spesso la orienta se non addirittura produce.

In altri termini, si compie un atto di violenza con l’unico scopo di riprenderlo e postarlo in Rete, sviluppando un (in)diretto cameratismo (e in questo caso «camera» sta per macchina da presa) se non addirittura una muta approvazione collettiva da parte della classe-branco.

La professoressa ferita da una pistola ad aria compressa durante una lezione di scienze; l’insegnante colpito con un pugno all’uscita di scuola da parte del patrigno di una studentessa; il 34enne arrestato per aver aggredito un docente dopo un provvedimento disciplinare nei confronti di una studentessa, ma anche il suicidio nei bagni della Iulm a Milano: tutti esempi di quanto la cronaca, moltiplicando ad arco un fenomeno, lo trasformi in problematica sociale su cui sarebbe doveroso intervenire, e che purtroppo spesso la politica derubrica a isolati casi non meritevoli di attenzione normativa.

Senza creare forzati nessi causa-effetto, il bassissimo tasso di laureati italiani fra i 25 e i 34 anni (evidenziato da Eurostat) e l’altissima quota di Neet (giovani fuori sia da un percorso scolastico-formativo che professionale) monitorata dall’Istat, si incrociano con l’emorragia di «brain drain», o fuga di cervelli, non controbilanciata dallo speculare «brain gain», e cioè il flusso di ricercatori-pensatori che scelgono di venire a cercar fortuna in Italia: questi dati raccontano un paese in declino, non solo demografico, con una politica che destina alle nuove generazioni appena il 6% della manovra da 35 miliardi appena varata, e il sospetto che tutto ciò avvenga perché i giovani hanno uno scarso peso elettorale (sono pochi e allergici alle urne), si trasforma di giorno in giorno in una drammatica certezza. 

Tra l’altro, la piaga dell’abbandono scolastico interessa un quarto dei ragazzi i cui genitori hanno appena la licenza media, scende al 6,2% se in casa ci sono dei diplomati e scivola al 2,7% se almeno un genitore è laureato, sintomo di quanto l’ambiente, e i conseguenti stimoli culturali, possano influenzare e prevenire un fenomeno pericoloso non solo per la formazione dei futuri cittadini ma anche per la diffusione della criminalità adolescenziale e dell’arruolamento giovanile da parte delle mafie.

Alla luce della recente proposta del Ministro Valditara, di non toccare il contratto nazionale ma di premiare tramite un addendum regionale i docenti più meritevoli, ha senso prendere ad esempio proprio la Lombardia, additata da sempre come eccellenza trasversale, per una distorsione che interessa i ragazzi fragili e i centri pubblici per la psichiatria.

I tempi di attesa per una prima visita nei centri pubblici di neuropsichiatria infantile lombardi variano da sei mesi a un anno, problema acuito dalla pandemia che ha evidenziato impietosamente la già grave carenza di personale: si va dai casi di autismo e/o autolesionismo ai disturbi alimentari (aumentati negli ultimi due anni del 25/30%), passando attraverso gli abusi di alcol, droghe e psicofarmaci, trovati a casa (42%), acquistati su Internet (28%) o recuperati in strada (22%).

Esplosa la domanda di certificazioni di disturbi dell’apprendimento e della dislessia, ma anche la percentuale di minori che tentano o hanno tentato il suicidio, le liste d’attesa sono chilometriche e i servizi territoriali lamentano un pesante overbooking: se questo succede nella civilissima Lombardia sembra piuttosto evidente quanto la situazione possa sfiorare il collasso in regioni come Calabria, Campania e via dicendo.

Ma, al di là di sperequazioni e generalizzazioni, la soluzione sembra passare attraverso corretti investimenti che considerino il crollo demografico come un incentivo, e non un deterrente, a finanziare scuola e ricerca, ma anche attraverso una collaborazione scuola/famiglia che ricrei un patto educativo interrotto e che ridia importanza al territorio e al tessuto sociale, in un’epoca di dematerializzazione dei rapporti umani.

Lontano da questo, c’è solo il Vuoto, economico, sociale, culturale e simbolico, che, com’è noto la Natura aborrisce, e con lei il lavoro nero, il crimine e l’(auto)distruzione.

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