Gennaio si è chiuso con l’ennesima polemica legata al settore scolastico a seguito della proposta del Ministro dell’Istruzione e del Merito sugli stipendi differenziati tramite accordi decentrati a livello locale: il concetto, alla base della proposta, che vede il partito del ministro (la Lega) perfettamente allineato, è che non si tocchi il contratto nazionale ma che si possa intervenire sui contratti decentrati, con un addendum a carico delle Regioni, come già avviene per il pubblico impiego.
In particolare, Matteo Salvini, Ministro dei Trasporti, vicepremier ed esponente di punta del Carroccio, ribadendo l’inalterabilità del contratto nazionale per tutti i docenti, ha affermato: «se ci sono enti locali virtuosi, come Regione Lombardia, che desiderano premiare chi per lavorare spende di più, deve essere lasciata loro la facoltà di farlo […] che fare il dipendente pubblico pagandosi l’affitto a Milano e Roma ha un costo diverso che in altre città è evidente».
Non può che mostrarsi perplesso anche FdI, visto che nel programma elettorale di Giorgia Meloni è(ra) previsto l’innalzamento dei salari per tutti i prof, per «allinearli alla media europea» e, mentre la Lega già cerca di stiepidire la proposta di Valditara cercando di meglio contestualizzarla, e accusa la Sinistra di cattiva esegesi, anche la responsabile dell’Università, Anna Maria Bernini, ha ribadito che gli stipendi degli insegnanti vanno aumentati in tutti i territori.
LA CENERENTOLA D’EUROPA
L’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha pubblicato di recente il rapporto annuale sull’educazione nei paesi sviluppati, utilizzando un algoritmo che calcola il salario a parità di potere d’acquisto e tenendo conto dell’inflazione: l’Italia, ma non è una novità ormai da anni, è la Cenerentola d’Europa in termini di salari dei docenti, sia per quanto riguarda la primaria che per le medie e le superiori. Peggio di lei solo Estonia, Polonia e Repubblica Ceca.
È vero che ogni dato (e non solo la sua lettura) può essere politico e strumentalizzabile, ma non quando i margini sono così ampi: lo stipendio medio annuo lordo di un insegnante italiano alla primaria è di 36800 euro (in Francia 39417 euro; in Olanda 60019 euro; in Germania 74937 euro; la media europea è 42599 euro); per le scuole medie lo stipendio medio lordo annuale italiano è invece 39463 (in Francia 44365 euro; in Spagna 44962 euro; in Olanda 72869 euro; in Germania 82569; la media europea è 45015).
Mentre Francesco Sinopoli, segretario nazionale della Cgil scuola, tuona che, al di là degli annunci del Ministro e dei buoni propositi della premier, nella legge di bilancio approvata da questo Governo e sostenuta dalla Maggioranza di centrodestra, alla voce «rinnovo del contratto collettivo dei docenti» corrisponde la cifra «zero euro», è un dato di fatto che nel periodo 2010/2021 le retribuzioni degli insegnanti italiani di scuola media hanno perso 6 punti a fronte di un aumento della media europea pari a 2 punti.
Un’altra questione largamente dibattuta è quella degli stipendi d’ingresso nella scuola che, per una famiglia monoreddito, rasentano la soglia di povertà, relativa e assoluta, e se questi dati sono già di per sé allarmanti, se si incrociano con gli stipendi medi di tutto il comparto pubblico nazionale (che sono comunque fra i più bassi d’Europa) scopriamo che un docente di scuola superiore ha una retribuzione del 22% più bassa rispetto a un lavoratore pubblico di un altro settore con lo stesso titolo universitario (circa 350 euro in meno al mese).
Il Pd, che si oppone decisamente all’iniziativa di Valditara, rea di una «possibile desertificazione della scuola pubblica nel Mezzogiorno» e di rilanciare «il progetto di autonomia differenziata del Ministro Calderoli» (Serracchiani), propone invece un aumento graduale dei salari degli insegnanti da qui al 2027, una manovra dal costo complessivo di 8 miliardi di euro, per arrivare a duemila euro netti in busta paga a fine mese, affermazioni criticate per faciloneria dai 5 stelle, che pensano invece a una cronogramma certo che consenta ai nostri docenti (fra i migliori d’Europa) di non essere più il fanalino di coda nel Vecchio Mondo.
Affrontare in modo serio la sperequazione fra Nord e Sud significa non soffermarsi solo sul differente costo degli affitti fra città e città, che a volte dipende anche dal traino turistico e dalla struttura del mercato immobiliare che rende alcune case del Meridione tutt’altro che economiche, ma anche del costo delle infrastrutture, che al Sud è decisamente superiore (basta pensare ai trasporti, alle mense, agli asili nido e soprattutto alla Sanità).
Bisogna, invece, affrontare il problema dei concorsi (il prossimo concorso ordinario potrebbe slittare al 2024) e del reclutamento, per non rischiare di mancare l’obiettivo dettato dal Pnrr, e cioè l’assunzione di 70 mila docenti entro il 2024.
Quello che rende l’idea di Valditara discutibile e per certi versi anacronistica è la semplificazione su cui si fonda: il welfare meridionale è una chimera, coi trasporti pubblici spesso inaffidabili, un posto all’asilo-nido quasi impossibile da ottenere, il tempo prolungato un privilegio e la gestione dei figli e anziani quasi completamente a carico della famiglia, laddove al Nord (accettando l’opinabile e generalizzato maggiore costo degli affitti) si può contare su una rete di servizi pubblici, inclusi e soprattutto quelli sanitari, decisamente più validi e veloci.
A questo punto, provocazione per provocazione, varrebbe la pena decurtare le tasse al Mezzogiorno, vista l’inaffidabilità dei servizi offerti, o, se si parla di contratti decentrati, estendere il Valditarapensiero a ogni comparto del settore pubblico, ma resta il fatto che decidere il peso specifico di ogni disuguaglianza resterebbe difficile come definire l’unità di misura universale del merito.
Non è la geolocalizzazione la soluzione, né la privatizzazione, ma un investimento uniforme che ridoni prestigio sociale a una professione che attualmente, a meno di vocazioni eccellenti o tradizioni famigliari da perpetrare, nessun giovane sceglierebbe mai di svolgere, anche alla luce delle continue violenze (reali o virtuali) subite dai professori di dovunque, che rivelano con la crudezza della cronaca, quanto sia bassa la considerazione nazionale di questo ruolo, che al contrario dovrebbe rappresentare un’eccellenza (n)e(l) formare cittadini.
Una delle caratteristiche fondanti del movimento punk era quella di trascurare il conflitto fra classi sociali a favore di quello intergenerazionale: sarebbe avanguardista (quindi punk) se il nostro Governo capisse che la vera sperequazione attualmente non è fra la scuola del Sud e quella del Nord, ma fra quella italiana e quella europea.