A febbraio dello scorso anno, mentre iniziava il conflitto Russa-Ucraina, e forse la notizia non ha avuto la giusta eco proprio per questo, dopo una prima approvazione con la maggioranza dei due terzi al Senato, la Camera ha definitivamente approvato la proposta di legge costituzionale che modifica gli articoli 9 e 41 della Costituzione, con 468 voti a favore, un contrario e sei astenuti: il testo è entrato subito in vigore, non sottoponibile a referendum, a marzo, con una speciale clausola di salvaguardia negli Statuti Speciali delle regioni Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta e delle province del Trentino Alto-Adige e del Friuli Venezia Giulia.
Al testo originale dell’articolo 9: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione», è stato aggiunto: «Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali».
Per ciò che invece concerne l’articolo 41, poniamo tra parentesi le aggiunte al testo originale: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, (alla salute, all’ambiente). La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (e ambientali)».
Di fatto da marzo 2022, l’ambiente, la biodiversità, gli ecosistemi e i diritti degli animali sono entrati nella nostra Costituzione con il plauso dell’intera classe politica e della (pur distratta) opinione pubblica. Ma non si tratta semplicemente di un sentimento nazionale visto che secondo Eurobarometro, l’indice che misura lo Zeitgeist nel Vecchio Continente, l’82% degli europei ritiene necessario un miglioramento del benessere degli animali ed è su questo solco che si incunea il successo di «End The Cage Age», la petizione firmata da un milione e mezzo di cittadini europei e promossa da ben 200 enti, che punta ad abolire gli allevamenti in gabbia, considerati inutili e crudeli, ma anche a migliorare i tempi di trasporto degli animali vivi e a promuovere un sistema di etichettatura che, oltre a tutelare il benessere animale, orienti scelte di consumo più consapevoli.
Il Parlamento Europeo si sta anche interessando ai cento milioni di animali domestici che in realtà sarebbero soltanto «usati» come tali e che invece corrisponderebbero ad alligatori, tigri, scimmie, pipistrelli e via dicendo, al fine di stilare una lista che contenga le specie ospitabili fra le mura domestiche ed escluda quelle esotiche, pericolose per la salute pubblica e intuitivamente costrette a una dorata cattività non proprio in linea col proprio corredo generico e inclinazioni naturali.
Questa e altre iniziative previste da Bruxelles per il 2023 fanno parte di una strategia sensibile all’ «animal welfare», il benessere degli animali, inserito nel «Farm to Fork», il piano dell’UE sull’agricoltura e l’alimentazione sostenibile, contenuto nel Green Deal, in nome della protezione della biodiversità e della riduzione di emissioni di anidride carbonica; si tratta del nuovo approccio olistico «One Health», che pone sullo stesso livello la salute dell’intero pianeta e quella dei singoli individui, soprattutto dopo la pandemia di Covid-19.
Mentre la ricerca fa passi da gigante e dimostra che altri mammiferi, oltre all’uomo, ma anche ragni, uccelli, pecore e cavalli, per non parlare dei pesci, sono in grado di sognare e alcuni di loro sperimentano anche la fase Rem (i fringuelli addirittura «ripasserebbero» nel sonno il canto diurno mentre i ratti ripercorrerebbero il tragitto sperimentato da svegli in un labirinto), la legge italiana è ancora molto indietro sul fenomeno del randagismo e la L. 281/91, che se ne occupa, andrebbe migliorata e resa più stringente visto che ad oggi, come denuncia «Save the Dogs and other animals», sarebbero circa 130 mila i cani rinchiusi, e molti di loro destinati, di fatto, a morire in gabbia.
Mentre la popolazione mondiale cresce in modo esponenziale, ogni anno scompaiono circa 30 000 specie animali e/o vegetali eppure un notevole progresso, sempre a tutela zoologica, è stato fatto, a partire dal 2004 ma soprattutto dal 2013, col divieto di testare su qualsiasi animale i prodotti cosmetici finiti: in particolare, dal 2013, è vietato importare in Europa prodotti cosmetici provenienti da altri paesi in cui è ancora possibile una simile barbarie che, fra le Grandi potenze, solo la Cina continua a permettere, al ritmo di circa 200 000 animali l’anno.
I test tossicologici, che a volte interessano anche cavie in cinta, possono durare mesi e sono molto invasivi, con sostanze corrosive, irritanti o abrasive iniettate nei bulbi oculari o spalmate sulla pelle epilata di animali immobilizzati, che al termine della sperimentazione vengono quasi sempre uccisi.
Al di là dei gap normativi ancora usati da alcune aziende, come contenere ingredienti non cosmetici, ma chimico-farmaceutici (vedi i filtri solari), per eludere la legge del 2013, la fine dei test cosmetici sugli animali ha permesso all’ingegneria tissutale di vivere una vera e propria rivoluzione scientifica, così attualmente la sicurezza delle sostanze viene misurata su pelle coltivata in vitro o attraverso dei modelli computerizzati in grado di predire, una volta conosciuti gli ingredienti, cosa potrebbe succedere alla pelle se trattata con uno specifico prodotto.
Ma quello che potremmo definire «animalwhashing», e cioè un animalismo di facciata che in realtà nasconde puro interesse commerciale immerso in un poco salutare bagno di politicamente corretto, è sempre in agguato e così, a fianco alle lodevoli iniziative europee appena raccontate, come valutare i «pet influencer» che, abilmente manipolati dai propri padroni, mietono milioni di follower, promuovendo sgargianti outfit, quadri (cercate sul web la scrofa pittrice dal geniale nome Pigcasso) e addirittura libri? O gli zoo clandestini che concedono ai propri visitatori selfie con animali esotici?
Per non parlare dell’oggettistica di lusso che procura trasportini, pettorine, ciotole personalizzate, telecamere a visori notturni, guinzagli e medagliette, firmate dalle più influenti griffe al mondo, un mercato levitato sotto la pandemia e speculare al preoccupante decremento demografico, in atto soprattutto nel nostro paese.
Ma anche in operazioni apparentemente prive di secondi fini può nascondersi una possibile strumentalizzazione, così il nuovo enunciato dell’articolo 9 (visto all’inizio), secondo alcuni giuristi oltre ad essere ridondante, perché di tutela ambientale delegata allo Stato si parla(va) anche nel testo dell’articolo 117 riformato nel 2001, potrebbe anche veicolare (in)direttamente l’abuso di eolico e fotovoltaico, in quanto l’utilizzo del termine «ambiente» al posto di «paesaggio» giustificherebbe il proliferare, a volte molesto, di queste e altre tecnologie a contenimento del cambiamento climatico, e a discapito, per l’appunto del paesaggio.
«Più è sacro dov’è più animale il mondo», scriveva Pasolini in una poesia e per fargli coro, anzi eco vista la natura del discorso, forse dovremmo ricordare agli addetti ai lavori che rispetto, etimologicamente parlando, viene da re-spicere, e cioè guardare indietro: a volte per concepire un futuro sostenibile bisognerebbe fermarsi e guardare indietro.