Statusquo(la)

da | Ott 10, 2022 | IN PRIMO PIANO

A pochi giorni dalle manifestazioni studentesche contro il risultato elettorale del 25 settembre, che ha decretato la vittoria di Fratelli d’Italia, culminate nell’occupazione del Liceo Manzoni di Milano, sempre a Milano circa 300 ragazzi si sono dati appuntamento in largo Cairoli per protestare al grido: «Non è un paese per giovani» (parafrasi rovesciata del film dei Coen), protesta già anticipata da vari striscioni esposti il 6 ottobre all’ingresso di molti studenti meneghini.

Le ragioni, brandite dalla Rete Studenti Milano: «Dire no al governo neofascista di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni, per dire no alle istituzioni politiche che non pensano agli studenti, e per dire no all’alternanza scuola-lavoro». Durante la marcia, conclusasi in Piazza Fontana, i ragazzi si sono seduti a terra osservando un minuto di silenzio per ricordare gli studenti rimasti uccisi durante le ore di alternanza (Giuseppe Lenoci, Lorenzo Parrelli e Giuliano De Seta), affermando che le proteste continueranno «finché questo modello non sarà cancellato», riferendosi ovviamente ai Pcto.

«Per gli studenti uccisi non basta il lutto, pagherete caro, pagherete tutto», è stato uno dei tanti slogan gridati al cielo di ottobre, mentre molti giovani bruciavano le foto di Giorgia Meloni e Mario Draghi in Piazza Duomo, ma anche «Chi non salta è la Meloni!» o «Siamo una generazione queer e transfemminista, siamo per la pace e per il disarmo», eppure a testimoniare il clima di grande confusione politica, ben rappresentato dall’astensionismo elettorale (anche giovanile), in alcuni manifesti, sotto la scritta «colpirne uno, colpirli tutti» a fianco ai ritratti di Salvini e della Meloni, comparivano anche quelli di Letta e del sindaco Giuseppe Sala.

Alcuni commentatori hanno parlato dell’uso strumentale, da parte dei manifestanti, dell’alternanza scuola-lavoro, per compiere atti anti-democratici ma intanto è stato già pianificato il «No Meloni Day» per il 18 novembre prossimo, alla (presumibile) vigilia dell’insediamento del Governo.

LAUREA NON C’É

Secondo il rapporto «Education at a Glance 2022- Uno sguardo sull’istruzione», la quota dei giovani italiani fra i 25 e i 34 anni con un titolo di istruzione universitaria è cresciuta dal 10% del 2000 al 28% nel 2021, ma l’Italia resta uno dei paesi OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) in cui la laurea non è ancora il titolo di studio più diffuso in quella fascia d’età; inoltre, sono il 30% gli studenti iscritti a una triennale che abbandonano entro i primi tre anni, e l’Italia resta uno dei paesi in cui il beneficio economico dato da una laurea risulta minore (76% in più) rispetto alla media (un laureato guadagna il doppio rispetto a un non laureato).

Nel Belpaese, le donne si laureano più degli uomini e, nonostante il monte ore d’insegnamento complessivo risulti minore (945) rispetto alla media comunitaria (1071), c’è un’elevata percentuale di bimbi fra i 3 e i 5 anni che frequentano la scuola dell’infanzia (92%), e la spesa cumulativa per ogni singolo studente della scuola dell’obbligo è invece sopra la media (105 750 dollari),  anche se il dato non si incrocia con un adeguato riscontro nell’offerta di beni e servizi, e la sperequazione fra Nord e Sud resta evidente.

L’Italia è invece agli ultimi posti per quanto riguarda la spesa per studente universitario (12 mila dollari l’anno, contro una media di 17 500) e le retribuzioni dei docenti, che sono basse e poco dinamiche: dal 2015 al 2021 lo stipendio medio OCSE di un insegnante di scuola superiore è cresciuto del 6%, mentre da noi di appena l’1%.

Altri due dati fotografano le difficoltà in cui versa il nostro settore educativo: la crescita dei Neet (giovani adulti senza lavoro né percorso formativo), salita durante la pandemia al 31, 7% e aumentata fino al 34,6% nel 2021, e la bassa percentuale di lauree magistrali e triennali rispetto alla media europea.

STATUSQUO(LA)

Nel frattempo, complici i nubifragi di qualche settimana fa, ad Empoli e ad Agnano (Napoli), il maltempo ha provocato la chiusura delle scuole, con intonaco cadente e soffitti pericolanti, undici aule inagibili in Toscana e due settimane di stop in Campania (non compensate dalla Dad perché mancavano anche le aule ad essa necessarie), un ottimo esempio di «tempesta perfetta» che ha evidenziato la lentezza delle ristrutturazioni in corso (dovevano essere terminate ad agosto ma a settembre si era ancora in alto mare).

Mentre si torna a parlare di mascherine, da parte di alcuni virologi ed esponenti del Cnr, alla luce della ripresa dei contagi Covid in età scolare (che restano un potente serbatoio per il virus), sono tante invece le autorità che chiedono al contrario di lasciar stare la scuola (ad esempio Matteo Bassetti), ma nel frattempo la bozza di una nuova circolare del Ministero della Salute recita così: «L’uso delle mascherine in spazi pubblici chiusi potrà essere una prima operazione per limitare la trasmissione nella comunità. Analogamente, nel caso di un sensibile peggioramento dell’epidemia, si potrà valutare l’adozione temporanea di altre misure, come il lavoro da casa o la limitazione delle dimensioni degli eventi che prevedono assembramenti».

Tornando alla politica scolastica, le proposte del Nuovo Esecutivo (desunte dal programma) dovrebbero essere quelle di riformare i Pcto, creare un liceo «Made in Italy» che punti sull’artigianato, colmando in questo senso il divario fra domanda e offerta, accorciare i tempi del diploma, combattere il precariato e puntare su inglese e materie scientifiche, anche se le associazioni studentesche lamentano per ora l’indifferenza della coalizione di Governo alle loro istanze.

Ha fatto infine scalpore l’iniziativa di molte scuole americane (1600 in 4 stati), di ridurre la settimana didattica a 4 giorni, ma aprendo prima e chiudendo dopo, poiché la scelta non ha impattato positivamente sul rendimento e nemmeno sui costi (che erano la radice fondante dell’idea), visto che i soldi risparmiati dalle famiglie in trasporto sono andati nella gestione dei figli rimasti a casa, e che quelli accantonati dalle scuole sono stati trascurabili.

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