Italia: il paese meno ambiente

da | Set 22, 2022 | IN PRIMO PIANO

Mentre il caro-bollette e i costi energetici (in aumento per le speculazioni e non per il conflitto in corso) monopolizzano il dibattito pubblico, insieme alla crisi economica e al levitare dei prezzi delle materie prime che condizionano trasversalmente tutto il settore produttivo, il problema ambientale sembra essere scomparso non solo in termini dialettici (se ne parla pochissimo e in modo populistico, a volte accordandogli una priorità morale che confina col disinteresse) ma anche legislativi visto che la transizione ecologica necessiterebbe di un quadro regolamentare e normativo, di fatto ancora assente.

200 parchi eolici e migliaia di impianti di fotovoltaico sono fermi al palo, mentre sono state riattivate a pieno regime le centrali a carbone e in questo apparente paradosso, che i più giustificano dietro ragioni di contingenza, c’è la stessa contraddizione di una politica che dice di voler ascoltare i giovani mentre derubrica l’ambiente (quindi il futuro) a fanalino di coda nella propria agenda, tagliando i fondi all’istruzione per via del calo demografico e assistendo passivamente a una crisi occupazionale senza precedenti.

NON FOSSILIZZIAMOCI

L’Italia è il peggior paese dell’UE in termini di riduzione di energia ricavata da fonti fossili, inquinamento, emissioni di gas serra e consumi di suolo: il 2022, che doveva essere l’anno della transizione ecologica, si è aperto invece all’insegna di un pericoloso passo indietro con un aumento dell’8% di emissioni di anidride carbonica, date dalla riapertura delle centrali a carbone, ma anche dalla ripresa dei trasporti dopo il lockdown.

Nel primo trimestre di quest’anno l’indice di transizione energetica si è ridotto del 29% e, secondo l’Ispra, negli ultimi dieci anni nel nostro paese le aree sottratte alla natura sono passate dal 6,9% del 2012 al 7,13%, che in termini concreti si traducono in 50 000 ettari di cementificazione in più (l’equivalente di 71 mila campi da calcio).

Il Gestore dei servizi energetici ad aprile ha messo a gara 3500 megawatt per eolico e fotovoltaico ma di fatto ne sono stati assegnati solo 440 (poco più del 13%), e questo perché mancano le autorizzazioni per la realizzazione degli impianti, le linee guida per l’individuazione delle aree idonee, i regolamenti per i parchi eolici off shore e i decreti attuativi per le comunità energetiche: dei 60 miliardi destinati dal Pnrr alla transizione ecologica 2 sono congelati per i piccoli comuni e l’ibernazione burocratica rischia di coprire una cifra anche maggiore.

Il Governo dovrebbe intervenire sulle aree con rilevanti vertenze occupazionali e ambientali, come Taranto, Gela, Sulcis, Brindisi, Gela e via dicendo, non sostituendo le centrali a carbone (da chiudere entro il 2025) con impianti termoelettrici a gas ma con impianti bio-economici o di chimica verde, decarbonizzando quelli siderurgici (vedi l’Ilva) e rimuovendo, attraverso un’attenta e capillare campagna informativa, i luoghi comuni sulle rinnovabili che deturpano il paesaggio sottraendo spazio all’agricoltura, e promuovendo al contrario un’intelligente sinergia fra Stato e Regioni, a partire proprio dalla pubblicazione dal quadro delle aree idonee su cui installate potenzialmente i nuovi complessi.

Partendo dal concetto che non può esistere giustizia climatica senza giustizia sociale e che il surriscaldamento globale, con le sue conseguenze, ha rinnovato la lotta di classe marxista, poiché non possono né devono essere in pochi a decidere per tutti, la possibile creazione (entro il 2030) di quasi 500 000 posti di lavoro, dati proprio dalla conversione/transizione, è il solido fondamento per un’economia che può rinascere dall’abbandono di obsoleti cicli produttivi.

INFLATION REDUCTION ACT

Lo scorso 16 agosto, ricalibrando il proprio indice di popolarità, Joe Biden ha firmato l’Inflation Reduction Act, un piano energetico da 750 miliardi di dollari, di cui 370 specificamente contro il cambiamento climatico e, nonostante il provvedimento sia passato senza incassare alcun voto repubblicano (ma gli addetti ai lavori sanno che questo è avvenuto solo per ragioni politiche e non di merito), gli Stati Uniti si impegnano a ridurre le emissioni di gas serra del 40% entro il 2030.

A stimolare una tale rivoluzione, culturale oltre che politico-economica, sono stati i quasi 200 miliardi di dollari spesi per l’aumento d’intensità dei fenomeni atmosferici e i conseguenti 1900 che si potrebbero risparmiare entro il 2050 adottandone le misure, essenzialmente fiscali, come le agevolazioni per i consumatori che scelgano l’energia verde o i crediti d’imposta a favore delle rinnovabili e delle auto elettriche, ma anche un’aliquota del 15% per le compagnie con profitti al di sopra del miliardo.

Nonostante l’ombra di Trump si allunghi ancora sulla Rust Belt e nel conservatorismo fossile dell’America Repubblicana, le misure dell’Inflation Reduction Act stimoleranno l’economia, la produttività e l’occupazione, riducendo l’inflazione e i costi dell’elettricità, rendendo finalmente l’ecologia non più solo una questione morale ma un ottimo affare per tutti.

Make America «green» again.

Il dissesto idrogeologico, unito al cambiamento climatico, avranno un costo crescente anche per l’Italia che si avvia a diventare un paese tropicale ma, nonostante l’evidente mutazione di temperature e scenari, la politica si è disinteressata all’ambiente e nei dibattiti pre-elettorali la questione energetica sta monopolizzando l’agone politico, come se ambiente ed energia non fossero due facce della stessa medaglia.

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