Torna in libreria, dopo lo scioccante «Serotonina», Michel Houellebecq, uno degli scrittori più odiati/amati del Nuovo Millennio e lo fa con il poderoso «Annientare» (743 pagine), edito in Francia per i tipi di Flammarion e in Italia per La Nave di Teseo, che ne sta ristampando l’opera omnia.
La critica di settore sembra ormai snobbarlo, o derubricarlo a fenomeno pop, mentre il web si divide fra detrattori ed entusiasti, anche se il minimo comune denominatori fra i suoi storici lettori è che il Nostro sembrerebbe essersi ammorbidito, soprattutto sull’epilogo o nel modo di tratteggiare la coppia borghese, da sempre (suo) territorio di ciniche dissertazioni e ironiche disquisizioni.
Che si tratti di un romanzo «atipico» nella storia del narratore francese lo si capisce sia dal volume (del volume) che dagli argomenti trattati, visto che la famiglia, nello specifico la famiglia neo-borghese della Francia futuribile, assume un ruolo determinante non solo nella trama ma anche nelle suggestioni del protagonista, eppure, ponendomi in totale contrasto con le generalizzate, e spesso generalizzanti, esegesi io credo invece che in questo romanzo monstrum convivano e trovino una loro forma definitiva tutte le iperboli cui M.H. ci ha abituato.
DA UN SECOLO SENZA SPERANZA NASCE UN SECOLO SENZA PAURA
La vita di Paul Raison (nomen omen), capo di gabinetto e consigliere personale del Ministro dell’Economia e delle Finanze Bruno Juge, viene scossa dall’improvviso ictus del padre, ex membro dei servizi segreti, con cui non ha mai avuto un grande rapporto, e questo nel bel mezzo delle elezioni presidenziali e di una crisi coniugale (più che decennale) che non risparmia nemmeno i ripiani del frigo.
Mentre la famiglia, composta da una sorella molto cattolica, cuoca a domicilio sposata con un ex notaio simpatizzante dell’ultradestra conservatrice, e un introverso restauratore accompagnato da una giornalista senza scrupoli, avida e frustrata, si ricompone all’ombra del male paterno, Bruno e Paul cercano di capire la matrice di una serie di attentati internazionali, la cui radice sembrerebbe legarsi al satanismo ma la cui esecuzione, impeccabile e irrintracciabile, lascia pensare più a una cellula di hacker senza scrupoli al soldo di qualche oscuro miliardario, che non agli improvvisati interpreti di un’Apocalisse da supermercato.
Le Presidenziali fanno sempre più emergere il carisma e la solidità di Bruno (anche lui alle prese con un divorzio) e, mentre il tentativo di dirottare Éduard Raison dalla RSA alle cure domestiche, rischia di creare pesanti imbarazzi alla carriera politica del figlio, quest’ultimo sembra ricucire progressivamente i rapporti con la moglie Prudence attraverso una tardiva ma impellente libido.
La drammatica parabola discendente di Aurelien (il restauratore di arazzi), incapace di distaccarsi dalla feroce Indy e di rifarsi una vita con l’infermiera del Benin che si occupava dal padre, insieme al cancro alla mascella diagnosticato al protagonista, ci varano nelle duecento pagine finali, forse le più evocative del romanzo, dove ritroviamo, fra citazioni erudite di Pascal ed Epicuro (quella che dà il titolo al paragrafo è di Musset), riflessioni sulla morte e sul declino della civiltà degne del miglior Houellebecq.
TRAMA O NON TRAMA
Se da un lato questo «Annientare» sembra essere una delle opere houellebecquiane più strutturate, con personaggi approfonditi psicologicamente fino alla nevrosi e descrizioni degne del miglior Mann (I Buddenbrook), dall’altro gli evidenti buchi nella trama e l’abbandono di bivi narrativi, precedentemente introdotti con dovizia di particolari, fanno pensare più a una scelta artistica che a una mancanza, anche perché l’autore è la penna più lontana possibile dal postmodernismo e dalla metaletteratura.
Non sapremo mai chi o cosa si celi dietro ai cyberterroristi internazionali né a cosa mirino o vogliano destrutturare, anche se ricomponendo il gomitolo dei loro attentati emerge un chiaro desiderio di palingenesi, contro la politica, le nuove frontiere della genetica, l’immigrazione e tutta la retorica che l’accompagna, per non parlare delle nuove tecnologie e del postumanesimo: i video che ne annunciano gli atti terroristici suscitano invidia oltre che preoccupazione, non solo perché non vengono rivendicati, ma anche perché realizzati così bene da annullare il margine fra reale e virtuale, divenendo la perfetta metafora del potere, liquido e anonimo, della tecnocrazia.
Ammirato, suo malgrado, dalla riuscita coreografia dei funerali delle vittime di uno degli attentati, tenuti sulla plancia dell’imponente portaerei Chirac, Paul sembra vivere la tragedia e il successivo lutto come atti di un’unica performance visuale internazionale.
Dalla critica all’intrattenimento turistico di «Piattaforma», passando per la pacifica colonizzazione islamica di una Francia ormai laicamente passiva («Sottomissione») e per la sedata libido del maschio di mezza età occidentale («Serotonina»), Houellebecq usa la distopia (o l’ucronia) per rappresentare il tramonto di un Occidente ormai schiavo di tecnici e funzionari, incapaci di una vera ideologia, e per questo destinato a soccombere agli integralismi mediorientali e all’esuberanza economica dei paesi asiatici.
Annientare è ambientato nel 2027 (dopodomani o forse tra un millennio, vista la metastatica evoluzione della società digitale) ma i temi che racconta sono di una spaventosa attualità e lo sguardo disincantato e quasi depauperato del protagonista è quello attonito di chi assista a una dissoluzione inevitabile e giusta; l’impotenza della scienza medica di fronte al tumore di Paul e l’inutilità di sviluppare la trama del romanzo, lasciandolo collassare nel crepuscolare racconto di un’agonia individuale, la sua e quella del padre, sono l’insegnamento (speriamo non testamentario, viste le recenti voci su un suo non perfetto stato di salute) di uno scrittore che accetta la morte e il Caos, senza astute formule consolatorie né sbrigative conversioni a questo o quel Verbo.
Andropausa, timori, meschinità, il vuoto che si cela dietro l’alta cucina o il fasto di monumenti ormai abbandonati, i minuetti di una politica volta a riprodursi internamente, più per partitogenesi che non per partenogenesi, tutto questo confluisce in «Annientare», dove l’ennesimo funzionario incarna tutti i vizi e le debolezze di un Occidente destinato a consolarsi solo con l’amore fisico o con la contemplazione di una natura occidua, tardo-romantica, commovente non perché pittoricamente immobile ma perché animata da un carezzevole moto di indifferenza al genere umano.
«È questo il modo in cui finisce il mondo. Non più con uno schianto ma con un lamento» (T.S.Eliot).