Sprecologia: anatomia di un collasso

da | Set 13, 2022 | IN PRIMO PIANO

La differenza fra i volumi d’acqua prelevati e quelli utilizzati in Italia raggiunge la vertiginosa cifra di 7,6 miliardi di metri cubi e rappresenta in tutto e per tutto l’effettivo spreco del sistema.

Mentre le pratiche irrigue si attestano al 15 % e gli altri usi a percentuali minime, la dispersione nel settore civile lambisce il 45,3% con 41,4 litri ogni cento persi negli acquedotti (inclusi gli allacci abusivi e gli errori di misurazione): quello delle reti di distribuzione in Italia sembra il dato più allarmante, con 500 000 chilometri complessivi, il cui 60% è stato posato oltre 30 anni fa e il 25% supera persino i 50 anni. Con un tasso di rinnovo pari a 3,8 metri di condotte per ogni chilometro, di questo passo ci vorrebbero 250 anni per sostituire l’intera rete, e 5 miliardi all’anno di investimento, cifre decisamente lontane dagli attuali standard.

Un altro problema è quello della raccolta dell’acqua piovana, visto che nel Belpaese intercettiamo solo l’11% dei 300 miliardi di metri cubi annui di precipitazioni e, soprattutto nei centri urbani, il fluido invece di essere accumulato per usi domestici e/o comunali si inquina al contatto delle strade aumentando il carico dei depuratori, la cui normativa nazionale è molto rigida e implica sistemi di trattamento costosi ed energeticamente dispendiosi, che scoraggiano dal punto di vista economico, col risultato che solo una minima parte delle acque depurate viene riutilizzata in agricoltura o in ambito urbano.

Convogliando acqua piovana e grigia (reflua) in reti separate, e riutilizzando meglio quella depurata, l’Europa potrebbe arrivare a sestuplicare il volume d’acqua trattato oggi.

GOCCIA A GOCCIA

I 4,3 miliardi stanziati dal PNRR per tutto il comparto idrico, dalle reti di distribuzione alla depurazione passando per la manutenzione degli invasi, sembrano una cifra ridicola a fronte dei 60 miliardi stimati solo per ammodernare gli acquedotti (che rappresentano il 20% dell’utilizzo d’acqua in Italia), partendo dal presupposto che con questi fondi e tempi ci vorrebbero 150 anni (qualcuno dice anche di più) per mettere in sicurezza la nazione dalla siccità crescente, e che  ogni anno paghiamo all’Europa 60 milioni di sanzioni per la mancata depurazione fognaria,  oltre a quelle che pagheremo per l’assente pianificazione sul reimpiego in industria e in agricoltura.

L’Italia è il paese europeo con la più alta dispersione idrica per uso civile, agricolo e industriale e paga 165 mila euro al giorno per la mancata depurazione di acqua fognaria che finisce nei fiumi e nel mare; questo sembra essere il risultato di un ventennio di disinteresse politico ed economico (zero soldi stanziati negli ultimi vent’anni) ma anche di un’eccessiva privatizzazione e della creazione degli Ambiti Ottimali, ad oggi decisamente meno dei 92 previsti, che nell’idea del legislatore avrebbero dovuto demandare tutta la spesa alla tariffa.

Ma, a prescindere dal fatto che l’Italia è l’unico paese comunitario a non avere una tariffa di riferimento, in media una famiglia paga annualmente in Italia circa 550 euro per l’acqua, contro gli 800 britannici, i 900 olandesi e i 700 tedeschi; per avvicinarsi alla media di dispersione europea (15%) andrebbero sostituiti tempestivamente 220 mila chilometri di reti e si dovrebbero crearne 50 mila di nuovi, oltre alla costruzione di nuove dighe e invasi per la raccolta dell’acqua piovana, visto che gli attuali risalgono a prima degli anni Settanta, e sono ormai troppo vecchi.

L’altra faccia di questa disastrosa medaglia (di sicuro non al merito) sono i consumi fuori controllo, con un uso civile pro capite di 250 litri, e cioè ben 100 litri in più rispetto alla media europea, e un settore agricolo, che da solo vale il 53% dei prelievi, che disperde circa 4 milioni di metri cubi, anche se è difficile determinarlo visto che non esiste da noi un chiaro censimento dei pozzi e dei punti di approvvigionamento.

Non va meglio per l’industria (21% dei prelievi), che non è nemmeno legalmente obbligata, come avviene in molti altri paesi europei, a impiantare sistemi di recupero delle falde e delle piogge, per non parlare dei 9 miliardi di acqua depurata che ogni anno vengono gettai in mare invece di essere filtrati e riutilizzati, anche ad uso civile.

I 4,3 miliardi di fondi del PNRR per l’intero comparto sembrano realmente «una goccia nel mare» e oltre al danno c’è anche la beffa relativa ai mancati progetti e all’assenza di Ato (Ambito territoriale ottimale), che impedirebbero a molti comuni, soprattutto al Sud, di partecipare ai bandi del PNRR.

Il paradosso è che l’Italia è uno dei paesi europei col maggior numero di fonti e sorgenti e quello in assoluto col più alto tasso di precipitazioni piovane. Ma le cose non vanno meglio negli Usa, dove solo nel 1986 è stato proibito l’utilizzo del piombo nelle tubature idriche (ma senza rimuovere quelle già in essere), ed oggi che la sua tossicità è stata ampiamente comprovata (dalla scienza e dalla cronaca) i quasi 25 miliardi che l’amministrazione Biden potrebbe destinare alla sostituzione dei tubi e al filtraggio si scontrano con l’impossibilità della maggioranza degli Stati di mappare le linee di servizio: solo dieci Stati e il distretto di Columbia sono stati in grado di tracciare il numero dei tubi di piombo, che provoca tumori, malattie cardiache e danni cerebrali.

Ma al di là del temuto aumento di 1,5 gradi della temperatura, dato dal riscaldamento globale, il problema idrico va valutato anche dal punto di vista dell’innalzamento livello del mare: tra il 1884 e il 2006 è stato di 1,1 millimetri l’anno, mentre dal 1995 al 2015 è arrivato a quasi 3,3 millimetri e si stima che negli ultimi cento anni il Mediterraneo si sia sollevato di quasi 13,5 centimetri.

L’acqua si dilata e i ghiacci si sciolgono, tutte le città portuali ne sono/saranno minacciate e al di là dell’unicum rappresentato da Venezia (i tre metri potenziali del Mose resisteranno?), biodiversità come la laguna di Marsala con le sue saline potrebbero essere letteralmente cancellate. 

Sensibilità individuale e lungimiranza politica dovranno concertarsi a un dibattito internazionale che non pensi più a coniugare interesse economico e ambiente ma ragioni sulla limitata serie di risorse cui una demografia incontrollata va incontro: se così non sarà il nostro epitaffio si unirà a quello del poeta romantico John Keats: «Qui giace uno il cui nome fu scritto sull’acqua».

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