A un anno esatto dalle imminenti elezioni, un cartello di Fridays for future, nella manifestazione del 24 settembre 2021 a Roma, titolava: «alziamo la voce, non le temperature», e se è vero, come cantavano I Ministri (la band indie rock, non quelli della Repubblica), che «il futuro è una trappola», è altrettanto vero che mai come in questa stagione della storia d’Italia si è parlato tanto di giovani senza prestare loro ascolto in concreto.
Eppure, in base alla riforma costituzionale approvata nel 2021, il 25 settembre potranno votare al Senato per la prima volta anche le ragazze e i ragazzi dai 18 ai 25 anni, ma questo non basta a svecchiare una politica che, come lo spin off di una serie tv stra-abusata, ricandida i volti di una stagione tristemente trascorsa: Casini, Schifani, Santanchè, La Russa e persino Umberto Bossi.
C’è un problema di ricambio generazionale o i diritti civili reclamati dalla generazione Z non passano più per le stanze del potere? Sta di fatto che, per l’ecologia o per il precariato lavorativo, per il diritto all’istruzione o per quello più basico di poter fare un figlio, i tanto vituperati millennial riempiono le piazze dando un nuovo senso alle parole comunità, opinione e partecipazione.
L’AGENDA «GIOVANI»
Il «carbon budget», ovvero la quota di emissioni di anidride carbonica che ci separa dal temuto aumento di 1,5 gradi, si esaurirà in meno di sette anni e la transizione ecologica inscenata dal Governo gira con ingranaggi molto lenti, non gestendo il mutamento climatico anche dal punto di vista sociale ma solo politico ed economico: bisogna ridimensionare bisogni indotti e produzione, adeguare salari e orari lavorativi, agire tempestivamente sul problema idrico (in Italia il 40% del fluido si perde durante il trasporto e l’acqua, che dovrebbe essere una risorsa gratuita viene gestita principalmente da 4 multiutilities che ci speculano sopra, senza investire un euro sulla manutenzione della rete).
Spingere sulle alternative e promuovere le Comunità Energetiche è fondamentale, a maggior ragione col levitare delle bollette dato dalla crisi in atto, ma anche il sistema scuola dev’essere rivisto contrastando l’abbandono scolastico (altissimo fra i figli di immigrati), concentrandosi sulla ristrutturazione di edifici per lo più fatiscenti o comunque inadeguati, sulla mancanza di spazi e sulle difficoltà del trasporto pubblico, ma anche sul precariato dei docenti, sullo sfruttamento del personale ATA e sulla sicurezza nel lavoro, visto che proprio l’alternanza scuola-lavoro manda gli studenti in aziende dove muoiono, in media, quattro persone al giorno.
Un’altra ferita aperta, nel costato già sanguinante dell’Istruzione, è l’Università visto che l’Italia è al penultimo posto in Europa come numero di laureati: la questione più allarmante, anche da un punto di vista semantico, è una meritocrazia fallace e ingannevole visto che le poche borse di studio, i numeri chiusi e i pochi alloggi disponibili in residenze pubbliche, obbligano i meno abbienti (soprattutto i fuori sede) a dover lavorare per poter provvedere ai propri bisogni, soprattutto immobiliari, dedicando meno tempo allo studio e rischiando quindi di perdere il treno degli aiuti.
Ecco che la meritocrazia, senza un adeguato sistema di sostegno, diviene di fatto elitaria, spingendo chi non proviene da un contesto privilegiato all’abbandono.
L’altra faccia della medaglia di un’istruzione da rifondare è quella del lavoro giovanile, con uno Stato da anni votato a un complicato sistema di incentivi alle imprese, fondato su decontribuzioni e premialità varie: eppure lo scorso giugno la disoccupazione giovanile era ancora al 21%, e se l’Istat a maggio parlava di un aumento del numero degli occupati, si dimenticava di specificare (certificando una volta per tutte il proprio ruolo politico) che nel novero dei nuovi lavoratori ci sono ben 3 milioni e 170 mila dipendenti con contratti a termine, una cifra mai così alta dal 1977.
Nel primo trimestre del 2022 un terzo di questi contratti a termine è stato inferiore a 30 giorni, con un 10% di un giorno soltanto: proviamo per un attimo a metterci nei panni di un ventenne fuori sede che sgomita per rinnovare la propria borsa di studio in una metropoli dagli affitti in crescita e con un part time a zero prospettive di rinnovo a lungo termine, quindi cerchiamo di immaginarne le aspettative personali nel costruirsi una famiglia o mettere in cantiere un figlio.
La galassia-giovani non si limita a gremire sterilmente le piazze (reali o virtuali) ma guarda con occhi benevoli alla Spagna, dove l’ultima riforma del lavoro ha ridotto le tipologie contrattuali, aumentato il costo del lavoro sui contratti a tempo determinato inferiori a 30 giorni e obbligato, pena multe salatissime, le aziende ad assumere i lavoratori con 18 mesi di contratto a tempo determinato cumulato: altre proposte ben viste sarebbero quelle del salario minimo legale, non tarato sui contratti collettivi, ma universale come in Germania, e quella di un piano straordinario di assunzione all’interno della Pubblica Amministrazione che in Italia ha una età media di 50 anni, con una percentuale di under 30 pari al 3%.
LE RISPOSTE DELLA POLITICA
Primeggia, nel centro sinistra di Enrico Letta, il tema dello Ius Scholae ma anche l’obiettivo di portare le scuole primarie del Mezzogiorno ai livelli di tempo pieno del Centro Nord, e di istituire l’obbligo scolastico gratuito per scolarizzare 150 mila bambini in più; a queste interessanti proposte si sommano quella di istituire aree di priorità educativa nelle zone con tassi di abbandono e povertà alle stelle (con docenti appositamente formati e piani educativi personalizzati) e quella di combattere il sovraffollamento scolastico e le classi pollaio.
Le suddette proposte, nella loro totalità, richiederebbero un investimento complessivo di circa 11 miliardi di euro.
Lo schieramento Azione/Italia Viva si schiera anche lui contro il sovraffollamento delle classi ma anche contro il precariato dei docenti, ormai al 70%, proponendo l’obbligo scolastico dai 16 ai 18 anni e una riforma degli ITS con docenti che provengano dalle imprese.
Il Centro destra non vuole solo ridurre ma eliminare il precariato scolastico, mentre i pentastellati si allineano al Pd sullo Ius Scholae e puntano tutto sulla Scuola dei Mestieri.
Combattere il precariato, investire su innovazione e digitalizzazione, ridurre le classi pollaio e promuovere una nuova edilizia scolastica, agire sul territorio e raccordare la scuola al mondo del lavoro: al di là delle sfumature ideologiche tra partito e partito, i grandi temi sono questi ma servono grandi capitali e quindi una reale volontà politica di agire una volta per tutte sul futuro dei giovani, smettendo di rabberciarne le aspettative e ragionando su un piano di sviluppo a lungo termine che presupponga non solo la semplice realpolitik ma anche una visione: dalla lotta di classe siamo passati alla lotta per le classi.