Le comunità energetiche: marketing o risorsa concreta?

da | Lug 27, 2022 | IN PRIMO PIANO

Mentre parte dell’opinione pubblica più climaticamente sensibile vive il conflitto ucraino e lo scenario post-pandemico (il «post» è un doveroso tributo all’ottimismo) come un’occasione per accelerare la transizione energetica, sgravandosi del secolare peso dei combustibili fossili, una frazione tutt’altro che trascurabile (e tetragona) sostiene con decisione il ritorno al carbone o a un nucleare 2.0, cercando nuovi fornitori di gas e petrolio in giro per il mondo, anche per una solida strategia di realpolitik che non può non tener conto della recente, e inattesa per molti osservatori internazionali, crisi di governo.

Il risultato è una polarizzazione fra radicalismi ecologici, le cui posizioni rasentano talvolta l’utopia, e vetero-conservatori che, pur non rientrando nel novero dei negazionisti, antepongono la salvaguardia economica dei cittadini italiani alle pur lodevoli iniziative ambientaliste; lo scenario, penoso per chi cerca di avere una visione super partes, è un ibrido (culturale e non energetico stavolta) che utilizza la questione ecologica solo come cosmesi di facciata, puntando di fatto al mantenimento dello status quo, che attualmente equivale a incrociare le braccia mentre Roma brucia. E Roma brucia, di fatto, e con lei il Friuli, la Versilia e molte altre aree montane, in un’estate mai così rovente, i cui roghi impolverano di enormi coni di cenere l’azzurro precolombiano del cielo.

GREENWASHING O SOLUZIONI CONCRETE?

A Magliano Alpi, poco più di un anno fa, è nata la prima comunità energetica d’Italia: da un’idea condivisa con un ingegnere del Politecnico di Torino, e da una direttiva europea del 2018, divenuta emendamento al decreto Milleproroghe approvato nel 2019, il sindaco del borgo delle Langhe (luogo più di Resistenza che di Resilienza) ha installato sul tetto del Municipio un fotovoltaico da 20 kilowatt, seguendo un principio molto semplice e cioè che se produco dieci e consumo sei, il restante quattro lo condivido con la comunità energetica, così non spreco niente e incasso il benefit da 110 megawatt con cui abbassare la bolletta elettrica.

Le comunità energetiche sono un insieme di persone che condividono l’energia rinnovabile e pulita, prodotta sui tetti delle abitazioni o degli edifici pubblici (condomini, imprese, comuni), arrivando ad abbattere la bolletta fino al 30%, ma anche in questo caso, come per le valutazioni di impatto ambientale per l’eolico, la parola finale spetta al Governo e in particolare al Ministero della transizione ecologica e Arera (l’autorità per l’energia), che dovrebbero pubblicare i decreti attuativi alla legge sulle comunità energetiche, in Gazzetta ufficiale dal dicembre 2021.

Le comunità energetiche attive in Italia sono al momento una ventina, ma ce ne sono altre 80 in attesa dei decreti attuativi.

I fondi per costruire i fotovoltaici sono europei e, come nell’esempio di Magliano Alpi, si parte dal tetto del Municipio per poi allargarsi alla palestra, alle palazzine degli impianti sportivi e alle case dei cittadini stessi, che da semplici consumatori di energia ne divengono produttori.

Oltre all’evidente valore economico (ed ecologico) di questo nuovo soggetto nell’arena delle rinnovabili, ne va sottolineata l’importanza sociale, poiché le comunità energetiche possono divenire una risorsa per dare nuova linfa ai paesi più piccoli, e in Italia abbiamo circa 5500 comuni con meno di 5000 abitanti, che rappresentano il 17% della popolazione totale (10 milioni circa) a rischio, poiché sono sempre di più i giovani che migrano verso i centri più grandi in cerca di opportunità.

Ma non si tratta solo di ripopolare i centri minori attraverso l’intelligente, e condiviso, utilizzo delle rinnovabili, ma anche di riqualificare i quartieri periferici delle aree metropolitane più estese, dove attualmente l’Osservatorio italiano sulla povertà stima a due milioni i cittadini impossibilitati ad accedere a servizi essenziali come la luce elettrica e/o il riscaldamento: il principio ispiratore è quello di aiutare coi pannelli fotovoltaici e la condivisione energetica le fasce più povere rimaste fuori dalla transizione che, paradossalmente, è molto costosa e finisce col restare ad esclusivo appannaggio delle famiglie a medio-alto reddito.

Il Governo ha stanziato 2,2 miliardi del Pnrr per i comuni sotto i 5000 abitanti, investiti per ridurre le emissioni di anidride carbonica e incentivare le rinnovabili e, in alcuni casi (Lombardia), i consigli e le giunte regionali hanno varato ulteriori fondi, ma resta un certo scetticismo per i limiti di base di funzionamento:

  1. Ogni comunità energetica può produrre al massimo 200 kw;
  2. Non è chiaro chi possa farne parte (ad esempio ne sono escluse associazioni, aziende, fondazioni e università);
  3. Si può aderire solo se si fa parte della stessa cabina primaria di alta tensione, quindi una superficie piuttosto limitata.

Si resta in attesa che la legge si concretizzi per:

  1. Arrivare a produrre fino a un megawattora di potenza e oltre;
  2. Estendere la comunità a più enti;
  3. Cedere l’energia dalla cabina primaria a quella secondaria.

In attesa che la politica sciolga l’ennesimo nodo, e la crisi di governo in atto lascia pensare ad ulteriori slittamenti temporali, a Roma si sta pensando di apporre pannelli fotovoltaici sui tetti delle scuole (che sono più o meno 1200) e nella prima fascia della città, quella attorno al centro storico che ha meno vincoli paesaggistici, mentre alcune industrie (finora principalmente in Brianza) si stanno riunendo in comunità energetiche per far fronte all’aumento delle bollette dato dai tagli del gas russo, e produrre da sé l’energia che occorre a costi competitivi.

Sono in molti gli intellettuali a invocare azioni concrete e una politica più determinata che ponga realmente l’ambiente in cima alla lista di priorità ma, nonostante le evidenti problematiche (siccità, scioglimento dei ghiacciai, roghi, povertà energetica, dispersione idrica e via dicendo), più che alle emissioni i nostri governanti sembrano interessati alle omissioni, alla transazione e non transizione ecologica, al green washing più che green care (e in quest’ultimo caso senza più l’acqua necessaria ad operarlo).

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