La verità se la porta il vento

da | Lug 20, 2022 | IN PRIMO PIANO

Nel settore delle rinnovabili, insieme a quella solare e idroelettrica, l’energia eolica è una delle risorse più efficaci per generare elettricità verde, costituendo una valida alternativa ai combustibili fossili e diminuendo l’impronta di carbonio e gas serra, sia nella forma del mini-eolico che nelle grandi realtà off-shore: energia rinnovabile al 100% (e sostenibile per definizione), ha un’impronta ambientale poco invasiva perché le turbine possono essere installate lontano dai centri abitati o addirittura in mare, occupando pochissimo suolo (meno del fotovoltaico), e con lo spazio sottostante che può essere adibito ad agricoltura e pastorizia, visto che si tratta di una fonte energetica a impatto ambientale zero e che non prevede alcuna emissione nociva.

Integrabili a impianti geotermici e al fotovoltaico, per risolvere sinergicamente la produzione di elettricità in inverno o nelle giornate nuvolose, sia le mega-turbine che il mini o il micro-eolico (adatti a zone remote o stabilimenti industriali), hanno elevati standard di affidabilità, ridotti costi di manutenzione, e sono molto competitivi sul mercato, senza particolari rischi o inconvenienti.

Tutto molto bello no? Non esattamente,

I nodi da sciogliere in termini di energia eolica sono, per i detrattori, ben tre:

  1. I costi iniziali, che sono ingenti e recuperabili solo nel lungo periodo, motivo per cui diventano fondamentali gli sgravi fiscali e gli incentivi pubblici;
  2. L’impatto paesaggistico, già oggi meno traumatico rispetto al passato recente, ma comunque straniante (e basta attraversare in auto alcune zone del Meridione per constatare personalmente l’effetto alieno di questi nuovi mulini a vento);
  3. L’inquinamento acustico, che impedisce la costruzione di impianti eolici e meno di 500 metri dai centri abitati, e che rende sempre più appetibile l’opzione di strutture off-shore (parchi marini).

In tutto il mondo l’energia eolica è in espansione, soprattutto negli ultimi due anni, e lo è anche in Italia ma in misura minore rispetto ad altre nazioni europee: al di là dei vincoli paesaggistici, che non possono non considerare tutta l’arte e la bellezza da difendere nel paese che possiede, da solo, tre quarti del patrimonio artistico mondiale (e soprattutto nelle zone maggiormente candidate all’innesto delle turbine, e cioè il Centro-Sud), va anche considerato che è redditizio e sensato ricorrere all’eolico solo in zone in cui durante l’anno la velocità media del vento sia di circa 12-14 m/s, e nel Belpaese, tranne sulle isole e in qualche area costiera, non disponiamo di zone con simili caratteristiche.

VERSO L’EOLITICO

Secondo la RSE (società di ricerca sul sistema energetico), rispetto al 2019, la povertà energetica in Italia è cresciuta di cinque punti percentuali e interessa il 14% delle famiglie, famiglie che in media quest’anno spenderanno 2757 euro in più per elettricità e gas; c’entra il conflitto ucraino, certo, con tutte le speculazioni e gli aggiustamenti connessi ma di fatto, soprattutto le amministrazioni locali (le stesse che invocano a gran voce la permanenza di Draghi), si sono trovate a dover far fronte alle richieste, da parte delle famiglie con un reddito complessivo annuo inferiore a 12 000 euro, dei bonus energetici governativi, interrogandosi sulle possibili alternative al metano russo.

Gli impianti eolici, promossi dai sindaci e dalla gran parte dei cittadini, spesso però sbattono contro l’opposizione della politica nazionale, che evidentemente non riconosce a questa fonte rinnovabile il giusto peso, economico e d’innovazione.

È quanto accaduto all’impianto Monte Giogo di Villore, sull’Appenino tosco-emiliano, il cui iter è iniziato nell’ottobre del 2019, formalizzatosi in un progetto di sette pale eoliche nel Mugello: dopo il consenso di comuni e cittadini, è arrivato il nullaosta dell’amministrazione regionale toscana, costituito dalle valutazioni di impatto ambientale e unica, a loro volta sintetizzate dalla conferenza di servizi, che riunisce i pareri di 59 enti. 

Dopo un’ulteriore inchiesta pubblica di 40 ore, con la partecipazione di alcuni enti e cinque comitati contrari alla messa in essere dell’impianto, nel febbraio del 2022 la giunta regionale ha rilasciato l’autorizzazione, donando la priorità alla transizione ecologica rispetto alle pur valide obiezioni presentate, ma il progetto non è partito per l’opposizione della Soprintendenza archeologica, Belle arti e Paesaggio e del Ministero della Cultura (leggi Franceschini), che non acconsentono al parziale taglio del bosco funzionale alla realizzazione dell’opera.

La giunta regionale ha dato la priorità ai 16 milioni di metri cubi di gas risparmiati all’anno, con una produzione di 80 milioni di chilowattora, equivalenti, per capirci, al consumo energetico privato di una famiglia per 25mila anni, per non parlare della 40mila tonnellate di anidride carbonica evitate, ma la posizione di Franceschini and co resta rocciosamente negativa, al punto che mediamente un solo parco eolico su cinque si realizza e ce ne sono ben dieci fermi al palo delle autorizzazioni governative.

Ma si tratta di un veto ideologico o politico? Da un lato c’è chi invoca il rispetto delle scadenze del Pnrr, come Vittorio Cogliati Dezza (Legambiente e Forum Disuguaglianze e diversità) che non molto tempo fa, raggiunto da L’Espresso, tuonava: «se proseguissimo alla velocità degli ultimi tre anni ce ne vorrebbero 124 per raggiungere gli obiettivi europei», e con lui Cingolani e i suoi tecnici, ansiosi di semplificare la procedure di autorizzazione dei nuovi impianti eolici, dall’altro Franceschini e i suoi funzionari che prendono tempo rifiutando l’appellativo di conservatori.

Ma chi ha ragione? Dov’è il vulnus, semmai ne esiste uno?

I fautori della semplificazione vorrebbero uniformare i processi di autorizzazione dell’eolico a quelli del fotovoltaico, per i quali i pareri del Ministero della Cultura non sono vincolanti se riguardano delle «aree contermini», fantasioso artificio semantico che designa le zone non vincolate dalla presenza di bellezze artistiche o paesaggistiche inviolabili; le soprintendenze replicano però che l’eolico è decisamente più grosso e impattante del fotovoltaico e non può non essere sottoposto a una decisiva valutazione d’impatto ambientale.

Così spesso accade che sia direttamente il Cdm a dover intervenire, scavalcando i veti delle soprintendenze e utilizzando i poteri sostitutivi previsti per lui dal Pnrr, ma evocando al tempo stesso il temuto spettro di un Esecutivo troppo potente, soprattutto dalla pandemia in poi, e di una politica italiana nemica giurata di sé stessa.

Siamo al principio di una nuova era («Eolitico», l’era del vento che sagoma le pietre della resistenza culturale e ideologica) che introduca una reale transizione ecologica, tenendo conto delle concerete esigenze dei cittadini oppure, come novelli Don Chisciotte, i nostri politici si scaglieranno contro i mulini a vento, credendoli i mostruosi giganti che non sono?

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