La luce del nero: «toccare» la vista

da | Mag 16, 2022 | IN PRIMO PIANO

Dal 15 aprile al 28 agosto 2022 è possibile ammirare a Città di Castello (Pg), presso gli ex seccatoi del tabacco (sede espositiva della Fondazione Burri insieme a quella di Palazzo Albizzini), la mostra «la Luce del Nero», il cui curatore, nonché presidente della Fondazione stessa, Bruno Corà, definisce imperdibile per una serie di motivi.

Il Nero, come buio e assenza, espressione di un mondo precedente alla manifestazione della luce, che tra la fine del Medioevo e il XVII secolo aveva perso il suo statuto di colore, passa dalla tenebra della «materia oscura» al recupero di una valenza cromatica, grazie al lavoro di molti artisti del XX secolo, di cui Burri, soprattutto nel dopoguerra, è stato uno dei maggiori interpreti.

Il porta-vessilli dell’arte informale ha frequentato il Nero dal 1945 al 1995, arrivando al punto di colorarvi persino le mura degli ex-seccatoi del tabacco, rinnovati per questa occasione dopo 7 anni di lavori e dieci milioni di investimento, altro motivo per cui varrebbe la pena recarsi alla mostra.

L’ultimo motivo, ma non in ordine di importanza è, che al di là del valore artistico delle opere esposte, «La Luce del Nero» è stata realizzata nell’ambito del programma «Europa Creativa 2020», con il progetto «Beam Up» (Blind Engagement in Accessible Museum Projects 2020-2023), uno dei 93 progetti cofinanziati tra i 380 presentati dai 34 paesi europei aderenti, ed esprime quindi una reale cifra di inclusività.

Inoltre, la mostra è gratuita per le scuole e, ogni domenica, sempre gratuitamente, è possibile effettuare due visite (su prenotazione) con delle guide non-vedenti che illustrano il percorso museale attraverso degli appositi materiali tiflodidattici.

ENERGIE E SINERGIE

La mostra «La Luce del Nero» è il risultato di una fitta trama di collaborazioni, oltre che del prestito d’opere di molte fondazioni e privati: al di là dei padroni di casa della Fondazione Burri, e del già citato progetto Beam Up, vanno ringraziati Atlante Servizi Culturali, la Fondazione Istituto dei Ciechi di Milano, The Glucksman, il museo di arte contemporanea nel campus irlandese dell’università di Cork, il MSV (Muzej Suvremene Umjetnosti), museo d’arte contemporanea di Zagabria, la Fondazione Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza di Bologna, e la persona(lità) dell’architetto Sarteanesi, da sempre vicino a Burri e alla sua opera, che si è reso disponibile concretamente per la riuscita della mostra, sia nell’interazione coi ragazzi non-vedenti, che per il packaging dell’evento.

Il curatore Bruno Corà, nella conferenza stampa tenutasi lo scorso 14 aprile e trasmessa in streaming (tutt’ora visibile sul canale YouTube della Fondazione), ha rivendicato l’importanza sociale di una mostra che esprime la propria innovazione attraverso il concretizzarsi di termini quali inclusività e/o resilienza, spesso abusati o strumentalizzati, ma che in questo caso aderiscono a una visione d’arte totale, nemica di ogni marginalizzazione, in un momento storico in cui sia l’ecologia che la geopolitica disegnano scenari di violenza e separazione.

Mostra (anche) per non-vedenti ed ipovedenti, realizzata (anche) da e con non-vedenti ed ipovedenti, «La Luce del Nero» diviene un’esperienza immersiva soprattutto per i vedenti, in grado di mescolare i cinque sensi e arrivare, attraverso la sapiente guida dei ragazzi di Beam Up e delle audioguide pensate appositamente per tale percorso, alla sinestesia.

La duplicità dell’itinerario, che riflette il chiaroscuro nelle sue sfumature concettuali, oltre che visive, è ben rappresentata dal doppio catalogo dell’evento, il primo «normale» (le virgolette sono d’obbligo), l’altro in braille e, come tale, pezzo di pregevole fattura per collezionisti.

Gregorio Battistoni, presidente di Atlante Servizi Culturali, ha sottolineato l’importanza direi infrastrutturale della mostra che, pur essendo temporanea, non ha penalizzato l’elemento dell’accessibilità (come spesso purtroppo avviene), oltre all’impegno nel cercare di rendere fruibile l’arte contemporanea al mondo dei non-vedenti, soliti interpretare come un privilegio il semplice riuscire a «vedere» l’arte classica e figurativa.

Francesco Cusati, dell’Istituto Ciechi di Milano, nel lodare l’opera di Alberto Burri, da sempre presente sul territorio meneghino, ha posto l’accento sulla possibilità di capirne la portata artistica toccandone i materiali e proiettando, attraverso il tatto, un’immagine da poter trattenere nel tempo, realizzando tra l’altro quel «niente su di noi senza di noi», espresso dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone disabili.

Illuminanti (l’ossimoro è voluto) le parole della dottoressa Secchi (Fondazione Istituto Ciechi Francesco Cavazzi), che ha individuato nella sinergia fra il tattile e l’uditivo, quella riproduzione di un’immagine estetica che traduca in modo fedele il valore percettivo dell’originale, promuovendo un’azione cognitiva funzionale, sia per i vedenti che per i non vedenti. Per quanto perfettibile, tale approccio è stato rigorosamente scientifico, per non cadere nella facile trappola della suggestione, da sempre nemica della comprensione.

Le testimonianze di Nadia Brevice e Deborah Tramentozzi (Beam Up) raccontano di come questa mostra sia il risultato di una reale collaborazione, fondata sul dialogo e sulla problematicità creativa, avvenuta sin dalla concezione della Temporanea e non solo sul finale, come quasi sempre avvenuto finora riducendo il contributo dei non-vedenti alla semplice vidimazione del già fatto.

LA MOSTRA CHE NON MOSTRA

Da Kazimir Malevic, suprematista russo autore del celebre «Quadrato nero su sfondo bianco», alla Metafisica di De Chirico, col provocatorio Apollo in occhiali da sole scuri, passando attraverso i tagli di Fontana, l’omaggio di Magritte ai Surrealisti, e il lavoro di sperimentatori come Morris, che impastava l’argilla bendato, o Jannis Kounellis, che indossava un cappotto che gli copriva il volto mentre creava, la veggenza, da sempre non-vedente dai tempi di Omero e Tiresia, si salda a un percorso che permette ai visitatori di entrare in una «camera sensoriale» completamente buia dove poter toccare i materiali di Burri per riconoscerli poi attraverso delle cartoline (materiche) che il pittore era solito inviare al direttore del Guggenheim.

La stimolante guida degli operatori Beam Up e le riproduzioni tiflodidattiche delle opere esposte, che consentono di individuare tattilmente le variazioni cromatiche, alla fine di un vero e proprio viaggio sinestetico, producono quella nutriente confusione fra vedenti e non, fra luce e ombra, che realizza di fatto l’unico tipo di inclusività possibile, quella involontaria.

Si diviene curiosi l’uno della disabilità dell’altro, condividendo la comune esperienza del dolore attraverso la catarsi dell’arte, vivendo l’altrui limite come porta d’accesso a un mondo oscuro ma vivace.

Se guardi nell’abisso, l’abisso ricambia lo sguardo. Anche se non vede.







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