Bugie funzionali e negazione: «l’affaire» no vax

da | Apr 6, 2022 | IN PRIMO PIANO

«In una società in cui le parole sono usate anzitutto nel loro valore emotivo, gli uomini non sono liberi», scriveva Umberto Eco nel 1969 e ancora nel 1972: «il fatto che una notizia sia vera non vuole ancora dire che sia usata in modo vero».

L’illustre semiologo si scagliava contro il mito (ideologico) dell’obiettività che, a differenza dell’onestà, intesa come adesione a un preciso codice morale, rappresenterebbe una presunta verità insita nelle cose che in realtà non esiste perché il dovere di ogni giornalista, o comunicatore in senso lato, è quello di testimoniare il proprio punto di vista.

Nei corsi base di giornalismo, la notizia è quella che il giornalista sceglie di dare e in quest’opera di selezione è implicito un meccanismo che, insieme al montaggio dei servizi (cartacei, radiotelevisivi o digitali), va a contraddire la presunta obiettività di qualsiasi autore.

Ciò che ogni operatore dell’informazione dovrebbe fare è garantire una seria alternativa al lettore, rifuggendo da quello che Eco definisce il «fascismo psicologico», ben altra cosa rispetto a quello storico, e cioè la tendenza a ignorare le interconnessioni che producono i mali sociali (e quindi ignorarne le possibili soluzioni), evidenziando la presenza di un Male assoluto che in quanto tale necessita di un agente/capro espiatorio, oppure individuare una relazione causale fra due effetti che in realtà non c’è.

Da tale fascismo psicologico, e dal mito di un’obiettività presunta, derivano le semplificazioni e il binarismo cui i mass media ci hanno abituato, ma anche un’idea di Potere fondato sulla superstizione e sul valore connotativo e non denotativo delle parole.

IL BUSINESS NO VAX

Secondo una ricerca effettuata a inizio 2022 dal britannico Ccdh (Centre for countering digital hate), esiste una lista di dodici disinformatori professionisti che beneficiano di un giro di affari complessivo di 36 milioni di dollari.

Joseph Mercola, un osteopata 67enne della Florida, ha iniziato dal principio della pandemia a spargere bugie, sospetti e terrore, incitando migliaia di persone in tutto il mondo a disobbedire a profilassi e misure di protezione, attraverso una serie ben confezionata di articoli, grafici e video pronti per la condivisione in Rete: il suo impero conta 4 milioni di followers, 159 dipendenti, fra Stati Uniti e Filippine, un fatturato complessivo di 7 milioni dalla diffusione del Covid, il tutto grazie a pubblicità, abbonamenti, e alla vendita di integratori naturistici nati per combattere il virus, alcuni dei quali imitati e distribuiti anche in Italia.

Nella lista del Ccdh ci sono anche cognomi illustri, come il rampollo complottista della famiglia Kennedy, Robert F. jr, fondatore del «Children’s Health Defence», che gli garantisce una rendita annua di 255 mila dollari, e attraverso cui egli cerca il reclutamento e la fidelizzazione di genitori in ansia per l’effettiva efficienza dei vaccini sui propri figli.

Scaricato da Facebook e Youtube, che hanno scovato palesi falsità nei contenuti dei suoi video, Bobby ha fatto ricorso legale contro le piattaforme, accusate di avergli fatto perdere un bel po’ di soldi per la mancata esposizione del materiale, anche se parte della liquidità gli deriva da donazioni e promozioni incrociate, oltre che, paradossalmente, dagli aiuti statali alle imprese in difficoltà a causa del Covid (ad esempio solo Mercola ha incassato in questo modo ben 600 mila dollari).

Snobbati e tagliati fuori dai più conosciuti canali digitali, alcuni di questi disinformatori globali sono migrati su piattaforme che veicolano contenuti on demand, su Spotify tramite podcast, su siti di autopubblicazione per abbonati, come Substack, o sono ricorsi a quel must della customizzazione rappresentato dalle newsletter.

L’evidente cortocircuito di Facebook e Youtube è che, se da una parte scelgono di rimuovere i contenuti dei guru complottisti, dall’altra hanno già incassato grazie a loro circa 1 miliardo di dollari, poiché com’è noto, l’algoritmo si fonda su visualizzazioni e cliccate che prediligono i materiali più estremi/radicali (leggi semplificati).

Ancora attivo invece, sia su Facebook che su Youtube, è Piers Corbyn, fratello maggiore dell’ex leader laburista Jeremy, 74enne laureato in fisica, no vax convinto e negazionista climatico già da molti anni: la sua carriera, se possiamo definirla tale, inizia nel 1969 quando, neolaureato, all’inaugurazione di un edificio chiese alla regina Elisabetta II di concedere agli studenti un ruolo maggiore nell’amministrazione dell’istituto.

Una vita da gregario politico fino al 1997, quando fonda la società Weather Action, sfidando la scienza convenzionale e garantendo di poter fornire previsioni metereologiche con un anno di anticipo; da lì a sostenere prima che la Thatcher avesse inventato il riscaldamento globale solo per chiudere le miniere, poi che l’incremento delle temperature non dipende dagli esseri umani ma dal sole, e che è strumentalizzato dai politici di destra, il passo è stato breve.

Dopo aver definito Greta Thunberg «una bambina ignorante e pilotata», Corbyn ha abbracciato la causa no vax contrastando l’uso di vaccini e mascherine, prendendo d’assalto una struttura dove si facevano tamponi a nord di Londra, e invitando ad appiccare il fuoco negli uffici dei parlamentari che avevano approvato il Plan B (provvedimenti varati dal Governo britannico per contrastare la diffusione della variante Omicron [Ndr]); a dispetto dell’aspetto gioviale e del seguito che continua ad ottenere, Piers ha più volte dichiarato che è necessario usare la forza per difendere le proprie opinioni, concetto decisamente discutibile, arrivando a stampare un volantino in cui il programma vaccinale inglese era equiparato al campo di concentramento di Auschwitz.

Dai dodici disinformatori globali ostracizzati dai social al pittoresco (ma violento ed è bene ricordarlo) Piers, la controstoria e la controscienza possono fruttare o non fruttare milioni di dollari, ma attraggono trasversalmente milioni di persone.

Cos’è il complottismo?

Un genere letterario, un abuso di senso critico (senza patente, anzi brevetto) che si trasforma suo malgrado in ideologia o Pura Negazione travestita da rifiuto dell’ordine costituito?

Quello che sembra essere cambiato, dalle iniziali riflessioni di Eco, non è il rapporto con la menzogna, che ha sempre fatto parte della politica, ma la sua strutturazione in precise architetture narrative il cui scopo è sedurre e demistificare: nell’era delle fake news, del deep fake e della post-verità, l’evoluzione da consumatori a spettatori (anche bellici) è già avvenuta e il giornalista non è più un onesto testimone del proprio punto di vista, ma la comparsa meta-narrativa d’uno story telling predefinito, operatore di macchina d’un Gonzo film che permette al voyerismo dilagante di toccare (dopo e quasi) la Storia.

L’annuncio di Putin sulla fine del conflitto, prevista per il 9 maggio, è il segno d’una geopolitica ormai scansionata al ritmo d’una serie televisiva; la realtà non dev’essere più reale ma (in)credibile.

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