Gli effetti collaterali della pandemia: il Sud del mondo

da | Mar 30, 2022 | IN PRIMO PIANO

Ora che lo spettro del Covid si è aggirato per l’Europa (e non solo) e sta lentamente ritirando la sua legione porpora, citando una famosa canzone dei Doors, ha senso ragionare su quella che L’Internazionale ha definito «la pandemia ombra», e cioè i cortocircuiti economici, educativi, sanitari e culturali che il lockdown ha causato nell’emisfero australe del globo.

Africa, America Latina, India e Sud Est asiatico hanno vissuto in maniera completamente diversa la clausura epidemica, vedendo aumentare le già macroscopiche disuguaglianze con l’Occidente ricco e indifferente, e non solo per la mancanza di vaccini (assenti o inviati in prossimità di scadenza), ma anche per i deficit di elettricità e connessione, l’impossibilità di muoversi che ha inchiodato alla povertà migliaia di migranti, e rispettive famiglie, e per un paradosso che parrebbe comico, se non descrivesse l’indigenza e spesso la morte di troppe persone: sono proprio i paesi più poveri a dipendere maggiormente dalla globalizzazione, essendo ricchi di materie prime ma privi di infrastrutture e know-how di trasformazione, che li obbligano all’import-export.

La pandemia, serrando la libera circolazione di merci e persone, ha arrestato una crescita economica già di per sé difficoltosa, facendo scontare alle nazioni più fragili un prezzo salatissimo.

SALUTE

Si sono analizzati a lungo gli effetti del Covid sul sistema sanitario nazionale che, schiacciato dalla monopatologia, non è stato in grado di eseguire interventi chirurgici già calendarizzati, rimandando screening tumorali e inibendo Pronto Soccorso e Guardie Mediche, presidiate dalla pandemia più politica (e raccontata) della Storia.

Per i paesi del Terzo e Quarto Mondo è andata molto peggio.

In Africa l’aids uccide ogni anno migliaia di persone e ne colpisce ben venti milioni, mentre la malaria falcia 400 mila vite l’anno e le cifre della tubercolosi sono altrettanto preoccupanti: le vittime sono in larga parte bambini, ma gli sforzi sanitari compiuti in questi ultimi anni per arginare simili piaghe sono stati vanificati dalla pandemia, in quanto i malati hanno smesso di andare negli ambulatori, ed anche gli operatori medici hanno limitato i propri spostamenti.

Si calcola (Fondo globale per la lotta all’aids) che in 32 paesi africani, tra l’aprile e il settembre 2020, le visite ai centri di cura prenatali siano diminuite di due terzi, e quelle ai bambini con meno di cinque anni scese di tre quarti: nei prossimi anni si potrebbero registrare 400 mila morti in più per la tubercolosi e mezzo milione per l’aids.

Il lato oscuro della pandemia sono i decessi per altre patologie che si potevano evitare, ma anche quelli dovuti a fame, povertà estrema, percorsi educativi interrotti e criminalità; nel Sud del mondo l’età media è decisamente più bassa rispetto all’Occidente così il Covid è stato più clemente, ma agli anziani uccisi dalla pandemia in Europa e in Nordamerica hanno coinciso giovani, donne e bambini, stremati dalla fame e da uno sviluppo economico irrisorio in quella parte del globo per la quale la crisi ecologica non è solo un problema di conversione alle rinnovabili ma di vera e propria sussistenza.

DÉCONNEXION

Se le conseguenze sanitarie del Covid sono state meno pesanti nei paesi in via di sviluppo, quelle economiche hanno avuto una ricaduta decisamente superiore: in Kenya metà delle famiglie rurali ha saltato o ridotto i pasti, in Sierra Leone la percentuale è salita al 90%, in India 140 milioni di lavoratori migranti sono stati rispediti a casa, dalle proprie famiglie indigenti, il Mozambico ha subito gravi perdite per il crollo del turismo e per la mancata vendita delle materie prime ai mercati internazionali, mentre sempre in Kenya per la prima volta in trent’anni, nel 2020 il Pil è diminuito.

Ci sono due dati, uno globale l’altro relativo all’Africa, che descrivono senza retorica né strumentalizzazioni, gli effetti economici della pandemia:

  1. Con il lockdown, per la prima volta in tutto il mondo (dal 1997) è aumentato il numero di persone che vive in condizioni di povertà estrema, e non si prevede un veloce recupero non appena la crisi sanitaria sarà passata;
  2. L’Africa si aspettava (per il 2020) una crescita economica del 3,2% mentre, a causa del Covid, si è arrestata allo 0,8%, cosa che con un tasso di crescita della popolazione intorno al 2,5%, ha generato fame e malnutrizione a livelli intollerabili.

Lavorando nella vendita al dettaglio, nell’ospitalità e nel turismo (che ha perso nel biennio 2020-2022 ottomila miliardi di dollari), le donne sono state particolarmente colpite sul piano economico, ma anche dal punto di vista dell’insicurezza alimentare, della violenza domestica e della disoccupazione: prendendo ad esempio proprio il Kenya, la chiusura delle scuole da marzo 2020 a gennaio 2021, ha sviluppato un enorme ritardo educativo che, unito alle misure restrittive che hanno impedito l’accesso ai contraccettivi, ha prodotto un quantitativo considerevole di gravidanze indesiderate (1,4 milioni nel mondo).

Restando in Kenya, in pochi sanno che questo paese è uno dei maggiori esportatori al mondo di fiori (gigli, garofani e rose), arrivando a coprire il 40% del fabbisogno globale: sono due milioni i keniani impiegati in questo settore, il cui impatto ecologico è decisamente inferiore rispetto alle serre surriscaldate dei Paesi Bassi, e la zona intorno al lago Naivasha, a 1800 metri sul livello del mare, soleggiata e con abbondante acqua per l’irrigazione, oltre ad essere un inatteso paradiso policromo, ospita(va) decine di fiorenti (nell’etimo) aziende.

La pandemia, col crollo di matrimoni, funerali e celebrazioni di ogni tipo, ha messo in aspettativa o a salari ridotti migliaia di lavoratori, mandando al macero milioni di rose. 

Ancora peggiore la situazione per Ghana e Costa d’Avorio, che da anni coprono due terzi delle forniture globali di cacao (avendo soffiato il primato all’America Latina), impiegando un terzo dell’intera forza-lavoro nazionale, e superando come entrate persino le esportazioni di oro e petrolio; si tratta di un lavoro duro, con la delicatezza degli alberi di cacao continuamente minacciati dal sole e da agenti patogeni (vedi la malattia del baccello nero), e che sfrutta i singoli coltivatori il cui salario medio non supera gli 1,25 dollari al giorno, al punto che per il 2020 si era pensato a un sovraprezzo nelle esportazioni pari a 400 $ alla tonnellata, chiamato «differenziale per un reddito di sussistenza», che aveva portato a un comprensibile aumento di produzione nella speranza di ingenti guadagni.

Il crollo della domanda dato dal Covid ha bruciato queste aspettative.

L’economista franco-egiziano Samir Amin proponeva, come soluzione a questi svantaggi della globalizzazione (peggiorati dalla pandemia), la «déconnexion», e cioè la disconnessione da un sistema ingiusto in cui sviluppo e sottosviluppo sono le due facce della stessa medaglia, tramite un’indipendenza politica che può derivare solo da un’indipendenza economica, quindi una sorta di blando ritorno all’autarchia.

Ma, se da un lato sono gli stessi stati africani ad auto-sabotarsi, poiché le loro banche centrali dipendono dai dollari statunitensi, quindi impongono esose tasse per le vendite interne ed esenzioni fiscali per le aziende che esportano, dall’altro le loro economie comprano e vendono dal mondo ricco (e non si parla solo di rose e cacao, ma anche di alluminio e di tutte le materie prime necessarie ai nostri cellulari come litio, tantalo, ittrio e neodimio), al punto che la tesi di Amin, morto nel 2018, si scontra con una visione post-pandemica e anti-millenarista che va in direzione opposta e contraria rispetto alle autarchie autoreferenziali e al sovranismo.

Il Paycheck Protection Program statunitense e i prestiti Bounce Back britannici, hanno aiutato le imprese interne a tenersi a galla durante il lockdown, ma nello stesso periodo il Regno unito ha deciso di tagliare gli aiuti esteri di quattro miliardi: chiudere le frontiere (anche economiche) per proteggere le risorse interne è frutto di una paura su cui speculano i nazionalisti di dovunque, che non fa che rattrappire tutte le economie.

Aiutare i paesi in via di sviluppo, nelle loro difficoltà economiche, educative, metereologiche ed energetiche, significa aiutare noi stessi in prospettiva futura, e fingere di non saperlo equivale a mettere il Vecchio Mondo in prepensionamento.

Articoli Recenti

La nuova lotta di classe (turistica)

La nuova lotta di classe (turistica)

C’erano una volta le classi agiate che vivevano di rendita e disponevano illimitatamente del tempo libero («leisure time») organizzando dei «Grand Tour» in giro per il mondo che poi divenivano libri o album fotografici da esibire durante un tè o fumando tabacco...

Overtourism: un problema «capitale»

Overtourism: un problema «capitale»

Correva l’anno 2015 quando, in visita a Barcellona durante una torrida estate, m’imbattei in uno striscione su un palazzo del Barrio Gòtico che in un inglese esclamativo intimava ai turisti di rispettare il sonno e la tranquillità dei residenti; nove anni dopo, una...