Il 5 marzo scorso si è tenuta a Roma una manifestazione, organizzata dalla «Rete per la pace e il disarmo», che al ritmo dello slogan «cessate il fuoco, per un’Europa di pace», ha schierato una folta folla che, a partire dalle 13 30, ha marciato da Piazza della Repubblica a Piazza San Giovanni.
Il manifesto è stato riscritto più volte poiché, a fianco ad associazioni come Anpi, Arci, Acli, Libera, Legambiente, Emergency e Greenpeace, c’erano anche i sindacati ma non tutti, visto che la Cisl si è pronunciata a favore del Governo italiano nella decisione, fra le altre, di dare sostegno militare alle truppe ucraine mentre la Cigl e la Uil hanno scelto la «neutralità attiva».
Alcuni esponenti del Pd hanno partecipato all’evento, ma solo a titolo personale, visto che il partito ha votato, oltre alle sanzioni economiche alla Russia, agli aiuti umanitari e all’accoglienza dei profughi, anche l’invio di armi e soldati alla Resistenza ucraina.
Sono già 1,3 milioni le persone fuggite dal conflitto, un esodo senza precedenti in questo nuovo millennio, anche perché avvenuto in soli dieci giorni, ma il dato più allarmante sono i 500 mila bambini (quasi la metà) senza più un tetto, le centinaia morti sotto i bombardamenti, e i 4-5 milioni di persone che necessitano di derrate alimentari.
Sono già diecimila i profughi approdati in Italia dall’inizio delle ostilità, quasi tutti donne e bambini che hanno beneficiato della decisione dell’Ue, presa il 3 marzo, di consentire a tutti i cittadini ucraini l’accesso, rinnovabile per un anno, alla Comunità Europea, senza le procedure di asilo.
ACCOGLIENZA
Per ora sono la Polonia e la Romania le mete d’elezione di questa forzata transumanza e le strutture d’accoglienza stanno funzionando bene, ma c’è da dire che le donne e gli uomini finora fuoriusciti dall’Ucraina rappresentano per la maggior parte il ceto medio, e quindi hanno risorse e conoscenze extranazionali disposte ad aiutarli; diversa sarà la situazione qualora il conflitto dovesse prolungarsi, e a spostarsi saranno persone senza soldi o legami, soprattutto quelli che approderanno in Moldavia, paese fuori dall’Ue e dalla Nato, economicamente fragile e più esposto.
In Italia è stato coinvolto l’esercito alle frontiere per i controlli di natura sanitaria, visto che in Ucraina solo il 35% degli abitanti ha completato il ciclo di vaccinazioni e sono ancora poco diffuse quelle pediatriche: per ora la procedura varata dal Ministero della Salute, e messa in atto nelle Asl, è che per arrivare nei luoghi di accoglienza basta il tampone quindi, se chi approda non ha né il Green Pass né il Plf (Passenger Locator Form), fa un test diagnostico entro 48 ore dall’ingresso alle frontiere e, qualora positivo, subisce la normale quarantena e la misure di tracciamento più idonee.
Dovrà essere rispettato anche l’obbligo di vaccinazione per gli over 50 (col buon gusto, vista la situazione, di escludere le sanzioni), ma spetterà alle Regioni verificare se il rifugiato sia coperto o meno da malattie come morbillo, parotite, rosolia eccetera, visto che negli ultimi anni in Ucraina ci sono stati proprio focolai di morbillo e poliomielite.
Già disponibili ottomila posti letto nelle strutture per migranti, e ferma e decisa l’accoglienza nelle reti familiari (la comunità ucraina in Italia conta 248 000 residenti), mentre gli adulti, con una deroga ad hoc del decreto flussi, potranno lavorare da subito come stagionali, autonomi, o con contratti subordinati.
Mentre la Nato accusa la Russia di aver violato l’articolo 56 del protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Ginevra, che vieta l’attacco a «centrali nucleari per la produzione di energia elettrica, anche se costituiscono obiettivi militari», e la Centrale di Zaporizhzhia, col 60% del fabbisogno nazionale energetico coperto ogni anno, è decisamente un obiettivo militare, l’ambasciatore sovietico Vasily Nebenzya si difende dicendo che l’impianto era già stato preso il 28 febbraio, e che il lancio di granate a 400 metri dai reattori è avvenuto per mano di sabotatori ucraini, e non da parte dei militari russi: difficile credergli, visto il recente bavaglio messo a Facebook e Twitter e i 15 anni di carcere che si rischiano se invece di usare la locuzione «operazione militare speciale» si parla invece di «offensiva», «guerra» o «invasione».
Fra tutti i simboli evocati, e a volte manipolati, in questi pochi ma drammatici giorni di conflitto, la piazza centrale della città di Hranitne affollata di persone in fila per beni di prima necessità scaricati da alcuni furgoni, mentre su un monumento qualcuno ha scritto con una bomboletta spray «CCCP», l’antico acronimo dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, è forse il penoso trademark di un passato, ideologico e sanguinario, che ritorna, il segno che gli «ismi» del Novecento non sono stati affatto cancellati né dalla rivoluzione digitale né dal nuovo assetto democratico, ma si sono solo mimetizzati per meglio colpire in una guerra liquida e globale, ma con un vocabolario fermo al sussidiario della scuola superiore.
LA «VERA» SCUOLA INCLUSIVA
«La scuola italiana è pronta ad accogliere bambini e ragazzi ucraini», ha dichiarato il Ministro Bianchi, sottolineando il valore fattivo (da propugnatore della scuola affettiva) di una pace costruita sulla solidarietà e sull’inclusione, affinché i giovani sradicati a forza dal proprio paese possano continuare un adeguato percorso educativo e formativo.
Nella nota diramata dal Ministero di Viale Trastevere, rivolta in particolare ai dirigenti scolastici e agli uffici scolastici regionali, si fa appello al mantenimento dei nuclei familiari o dei piccoli gruppi di provenienza, per evitare l’isolamento dei minori, puntando dal punto di vista didattico sulle esperienze di peer education e peer tutoring, su occasioni di socializzazione sportiva e/o culturale e di collegamento fra tempo scuola ed extrascuola.
Sarà fondamentale il ruolo dei mediatori culturali e linguistici, visto che la barriera della lingua è il principale ostacolo educativo da rimuovere, mentre i profughi, soprattutto i più piccoli, potranno usufruire dei fondi messi a disposizione dall’articolo 1, comma 697, della legge 30 dicembre 2021, per avere supporto psicologico visto il sommarsi delle fatalità belliche all’emergenza epidemiologica già in atto.
Per ora i fondi stanziati ammontano a un milione di euro, da ripartirsi senza un ordine prestabilito ma in base alle singole esigenze territoriali, anche se, vista la situazione in continuo divenire, ci si aspettano nuove risorse e indicazioni più precise su come usarle nelle settimane a venire.
Neutralità attiva o pacifismo militare, interventismo indiretto o appoggio morbido, i mille volti del pacifismo si declinano attraverso ossimori che denunciano l’impotenza del dialogo democratico, e diplomatico, di fronte al militarismo russo e, mentre i partigiani ucraini cercano la rappresaglia per fiaccare il gigante sovietico, diventa difficile spiegare ai ragazzini una guerra in cui persino i più avveduti commentatori faticano a trovare un senso.