Nel febbraio di San Valentino, che contiene anche una data palindroma, si scatenano le polemiche in due licei di Roma con dei toni che, in moderna salsa social, rivellicano antiche diatribe fra censura e progressismo, morale e provocazione, conformismo e il vecchio adagio «épater le bougeoise» (scandalizzare il borghese).
Sembra sempre più evidente il solco fra il politicamente corretto, che in chiave digitale si coniuga spesso a un buonismo di maniera teso al consenso social(e), e una reale Morale, fatta più di atteggiamenti, anche estetici, che di parole: la pietosa altra faccia della medaglia è l’odio, spesso attraverso profili fake, nemico di ogni dibattito, stigmatizzante perché stigmatizzato, inafferrabile perché trasversale e depenalizzato perché liquido, una sorta di corrente carsica che illustra il negativo di un’Italia che al netto dei proclami arcobaleno e della tanto sbandierata tolleranza, si rivolge ai suoi adolescenti con uno sguardo carico di censorio livore.
E quando questo sguardo è quello dei profili educativi, la questione diviene culturale.
LA «PANCIA» DEL PAESE
«Che stai sulla Salaria?» Con questa frase, non molti giorni fa, una professoressa di filosofia del liceo capitolino Righi, ha apostrofato una studentessa di 16 anni intenta a girare un mini-video per Tik Tok, improvvisando un balletto con una t-shirt giudicata (dalla docente) troppo corta. I due sono poi finiti in presidenza dove l’insegnante ha dichiarato di non aver voluto offendere l’allieva, mentre quest’ultima ha rilanciato affermando che la donna avrebbe anche mimato le sue movenze, per umiliarla ulteriormente.
A distanza di pochi giorni, proprio un ex professore del Righi, attualmente in servizio al Liceo Classico Orazio (sempre di Roma) ha condiviso sul suo profilo Facebook la frase choc: «oggi facciamo una preghiera, anche laica, per tutti quelli che mandano le figlie a scuola vestite come troie! Preghiamo insieme!»
Nel primo caso studentesse e studenti del Righi, dopo un’assemblea su Zoom con ben 250 presenze, hanno optato per un’ora di sciopero il giorno seguente e per un abbigliamento di protesta verso il presunto dress code sessista, in qualche modo suggerito dalla docente incriminata, quindi minigonne, pantaloncini e magliette corte: un incrocio fra un flash mob e un anticipo carnevalesco, ma carico di un evidente peso simbolico.
Più intricata la vicenda del Liceo Orazio, il cui omonimo collettivo ha dichiarato il proprio disappunto nei confronti del professore reo di sessismo e pregiudizi, che invece di «aprire loro la mente» li avrebbe svalutati come studenti e individui (il tutto espresso attraverso l’ormai celebre vocale inclusiva dello Schwa).
Durissima in merito l’Associazione Presidi di Roma che, tramite il suo presidente Mario Rusconi, ha consigliato l’immediata sospensione del docente in attesa di eventuali provvedimenti, sia disciplinari che penali, che potrebbero portare sia alla rimozione dell’incarico che al licenziamento.
Anche nel caso del Liceo Righi, è stato aperto un provvedimento disciplinare nei confronti della docente di filosofia, così ben informata sulle abitudini notturne dei cittadini romani, ma i temi che sembrano degni di nota in entrambe le vicende sembrano due:
- L’atteggiamento retrò di due appartenenti a quella che dovrebbe essere una delle categorie mentalmente più aperte del sistema Italia, indice di tare individuali o rappresentazione di un limite sistemico, e quindi formativo?
- Il minimo comune denominatore dei due episodi, e cioè il fattore social: nel primo caso un’adolescente non resiste alla tentazione, mefistofelica ma più che comprensibile a quell’età, di filmarsi a beneficio di Tik Tok; nel secondo invece, a non resistere al richiamo narcisista di Facebook è il professore stesso, momentaneamente dimentico di quanto il suo ruolo non termini al di fuori del perimetro scolastico, ma si dilati a tutti i doppi digitali, soprattutto dal punto di vista delle responsabilità (anche penali).
Nulla è mai stato così vincolante, sul piano identitario, quanto il (presunto) intrattenimento digitale.
«BIO» HAZARD
Mentre in Italia torna di moda l’epifania ombelicale, il 79enne Presidente degli Stati Uniti Joe Biden nomina come dirigente al Dipartimento Energia (per la precisione vice-segretario allo smaltimento rifiuti e carburante per conto dell’Ufficio Energia Nucleare) Sam Brinton, ingegnere nucleare di 33 anni, originario dell’Iowa, e drag queen per vocazione.
Le immagini di Brinton, rasato e in sgargianti abiti femminili, hanno già fatto il giro del mondo, incassando elogi e insulti, alcuni dei quali intrisi di un razzismo sottile e inconsapevole (un noto quotidiano nazionale ha introdotto un «però» di troppo fra le abitudini variopinte del vice-segretario e le sue indiscutibili qualifiche, come se queste ultime dovessero riscattarlo dalle prime); la realtà è che Sam non è solo un genio nel suo lavoro, con una laurea al Mit e due master in programmazione politica sul nucleare, ma è anche un attivista degno di nota del movimento Lgbtq+.
Gender fluid e alfiere del «singular they», e cioè la terza persona plurale che smarca dalla scelta binaria he/she, Brinton già nel 2019 era entrato come dirigente in una no profit Lgbtq+ che si occupa di prevenire il suicidio fra i più giovani, e ancora prima (2014) aveva testimoniato davanti a una Commissione Onu, definendo una tortura la pratica pseudoscientifica che punta a «riconvertire» in etero un omosessuale; un conservatore l’ha definito «un completo degenerato sessuale», mentre un altro ha parodiato la sua visione non binaria nominandolo offensivamente col pronome neutro «it», come se si trattasse di un oggetto o di un animale, ma l’icona gender fluid ha replicato: «so che non sarà facile. Mi rendo conto che è una sfida enorme. Si, sono pronto ad affrontarla.»
Negli Stati Uniti, un giovane su cinque della generazione z (i nati fra il 97 e il 2003) si riconosce nel genere Arcobaleno e negli ultimi dieci anni il numero degli appartenenti alla comunità Lgbtq+ è praticamente raddoppiato, cosa che da fenomeno culturale trasforma tale mutamento antropologico in un dato politico di una certa rilevanza.
Va considerato che negli Stati Uniti è molto facile partorire simboli per orientare l’opinione pubblica, soprattutto se si parla di Star System, mentre la vera rivoluzione sarebbe avere tanti piccoli Sam al supermercato, alle Poste, o accettarli come vicini di casa, poiché la vera normalità non si interroga su sé stessa, ma dire che in Italia una decisione come quella di Biden sarebbe inconcepibile sarebbe far torto all’inconcepibile, e non per il facile assioma del Vaticano, e nemmeno per il crollo demografico che sdogana l’immigrazione a danno dei ddl Zan, ma perché è il sistema educativo (di ogni ordine e grado) che fatica ad accettare dei cambiamenti così rapidi da essere già presenti nelle culture pagane di molti secoli or sono.
La biografia di Brinton è il vero «bio» hazard o lo è introdurre il nucleare nella recente tassonomia verde?
La natura proteiforme del movimento gender fluid ricorda un’idea di bellezza che non si coniuga al possesso e che dilata il concetto di amor ben oltre i rigidi steccati della sopravvivenza di specie: forse è vero che questa è la prima stagione nella storia del mondo in cui saranno i figli ad avere qualcosa da insegnare ai propri genitori.