Sono ben quattro le voci (autorevoli e istituzionali), che, dati alla mano, tratteggiano uno scenario incoraggiante per l’andamento pandemico: dal sottosegretario alla salute Pierpaolo Sileri, che parla di «strada in discesa verso la graduale rimozione di tutte le misure», fino a Franco Locatelli, coordinatore del Cts, che a marzo se finirà lo Stato di Emergenza potrà anche essere sciolto, che preannuncia una situazione «marcatamente favorevole».
Mentre i numeri italiani sono decisamente migliori rispetto a quelli di altre nazioni, con la curva dei contagi in flessione e un calo sia dei ricoveri che della pressione sulle terapie intensive, Hans Kluge (direttore di Oms Europa) vaticina un lungo periodo di tranquillità, grazie a un più alto livello di protezione generale dato dall’ampia copertura vaccinale raggiunta, con conseguente immunità naturale, un depotenziamento della variante Omicron, e l’imminente uscita dalla stagione invernale.
Il commissario per l’emergenza Figliuolo ambisce a un passaggio dall’attuale 92,8% di popolazione «protetta» a un 95% di immunizzati per l’inizio dell’Estate (tra vaccinati e guariti), mentre l’Ema frena su una possibile quarta dose, sia in base ai triage clinici che all’evidenza dei fatti.
Resta un problema, invece, la reale portata dei decessi che continuano a crescere nonostante la diminuzione di ricoveri e contagi, e non è difficile immaginare a questo punto che molte vittime conteggiate come tali non siano riconducibili al Covid ma al gioco delle tre carte che le Regioni hanno fatto (e continuano a fare) per ragioni diciamo «cromatiche».
VACCINI SOTTO I 5 ANNI E PILLOLE IN CASA
Mentre negli Usa il Governo sta aspettando il Via della Fda (Food and Drug Administration) per autorizzare i vaccini anti-Covid da destinare ai bambini fra i sei mesi e i quattro anni (via libera che dovrebbe giungere entro la fine di febbraio), in Italia le fiale dovrebbero arrivare entro Primavera, e per l’autunno successivo si sta pensando a una terza dose fra i 5 e gli 11 anni.
Il motivo dei ritardi nella fornitura, inizialmente prevista entro la fine del 2021, è stato il venir meno del requisito d’efficacia nella fascia d’età tra i due e i quattro anni (buoni i dati invece per quella dai sei mesi ai due anni), mentre i requisiti della sicurezza e della non problematicità, quindi febbricola e indolenzimento del braccio, sono stati soddisfatti in modo trasversale.
Un’ulteriore causa del rallentamento è stata la scelta del dosaggio, che non è mai standard, visto che non si ragiona in modo proporzionale a peso o a età, e che per alcuni vaccini, ad esempio, è previsto un dosaggio uguale se non superiore a quello dei maturi: nel caso di Pfizer, per i minori di 5 anni le mini-iniezioni contengono un decimo del principio attivo rispetto agli adulti (e cioè tre microgrammi anziché trenta), mentre per la fascia 5-11 anni i microgrammi in siringa diventano 10.
Le due domande più frequenti fra i genitori sono: perché così tanti ricoveri fra i minori in quest’ultima ondata e, ha senso vaccinare un bambino molto piccolo? Nel primo caso i ricoveri fra i minori sono aumentati rispetto all’anno scorso per la presenza, insieme al Covid, di altri virus respiratori e una doppia infezione crea sempre sintomi più significativi, mentre sulla questione se possa esistere o meno una soglia di vaccinazione minima in termini anagrafici, va ricordato che in Italia un bambino ha già ricevuto tutte le sue iniezioni entro il quinto mese.
Altra questione strettamente dibattuta, non solo in ambito clinico, è stata l’introduzione sul mercato (da parte di Pfzier e Merck Sharp& Dohme) di pillole antivirali da usare in casa; più efficace il Paxlovid della Pfizer (88%) rispetto al Molnupiravir (sceso da un ottimistico 90% a un deludente 30%), anche semanticamente, col suo suono da benedizione papale.
Mentre gli altri trattamenti (monoclonali o Remdesivir) vanno infusi per endovena in ospedale o in ambulatorio, il Paxlovid e il Molnupiravir vanno presi a casa entro 5 giorni dal tampone o dai primi sintomi, 6 pillole al giorno per 5 giorni la versione Pfizer, 8 al giorno per 5 giorni quella di Msd; il costo non è contenuto ed anche per questo gli antivirali sono riservati ai soggetti contagiati con fattori di rischio segnalati dai medici di famiglia e, come rammenta l’Ema, non sono uno strumento di prevenzione.
Entrambi i farmaci sono sconsigliati per chi ha gravidanze o stia cercando di concepire, e, mentre il Paxlovid rischia un uso limitato perché interagisce con altri farmaci, il Molnupiravil, per un processo chiamato «mutagenesi letale», può sviluppare altre varianti.
INCLUSIONE E PREVENZIONE
Secondo il nuovo decreto anti-Covid varato dal Consiglio dei Ministri il 2 febbraio, per il comparto scuola, gli alunni vaccinati potranno continuare a seguire le lezioni in presenza, mentre i non vaccinati a distanza.
Decisione divisiva che ha già spaccato l’opinione pubblica, le famiglie e la politica: il sottosegretario leghista all’istruzione Sasso ha commentato a caldo: «una inaccettabile discriminazione fra studenti vaccinati e non vaccinati in merito ai protocolli di quarantena e didattica a distanza. La soluzione proposta dal ministro Speranza, rappresenta una grave mancanza di rispetto nei confronti della scuola, luogo per eccellenza di accoglienza e inclusione. Negare un diritto a qualcuno non rafforza di certo i diritti degli altri.»
Critici anche i Cinque Stelle, positivi sul processo di semplificazione in atto, ma che nello specifico hanno criticato questa decisione in quanto penalizzerebbe i più piccoli per le scelte compiute dai genitori, e farebbe compiere al diritto all’istruzione in presenza un passo indietro; netta anche la senatrice Granato, del Gruppo Misto, che riferendosi all’ultimo report dell’Aifa relativo alla farmaco-sorveglianza, risalente addirittura al 26 settembre, e ribadendo la pericolosità di una pratica come la vaccinazione sui minori, sottolinea la contraddizione di una scelta che permetterebbe a dei sani non vaccinati di restare a casa e, a dei vaccinati positivi, di frequentare in presenza diffondendo i contagi.
Più cauta, ma ugualmente perplessa, Maddalena Gissi (segretaria generale Cisl scuola) che della dicotomia alunni vaccinati in presenza/alunni non vaccinati in Dad, sembra più preoccupata per la complessità da gestire, soprattutto in merito alla comunicazione alle famiglie. A farle coro sono Marcello Pacifico (presidente nazionale Anief) che individua il problema nel non aver fatto ripartire tutte le scuole in Dad dopo il periodo natalizio, e la sottosegretaria all’istruzione Barbara Floridia, anche lei preoccupata per i possibili episodi di bullismo e non inclusione, che potrebbero derivare dalla decisione del 2 febbraio.
Il ministro Bianchi, rigettando clamorosamente le accuse di discriminazione, parla invece di un’indicazione di marcia per il riconoscimento delle famiglie che hanno concesso l’opportunità di vaccinarsi ai propri figli, e il sempre equilibrato Giannelli (presidente ANP), che pur riconoscendo il venir meno di alcuni diritti nel riconoscimento di altri, ha commentato con un laconico «al momento attuale non si poteva fare diversamente», non perdendo l’occasione per invitare i riluttanti al vaccino a passare il Rubicone.
L’impressione generale è che fra gli allarmismi di stampo pedagogico, ma non supportati da solide basi scientifiche, e i propugnatori della didattica in presenza ad ogni costo, il tema dei minori sarà uno dei più caldi nei prossimi mesi e, prima di obliterare il mantra «obbligo vaccinale surrettizio», un’attenta analisi dei dati e adeguate campagne di sensibilizzazione per le famiglie, potrebbero indicare la via più sensata da percorrere.