Dieci anni di Costa Concordia: il relitto perfetto

da | Gen 18, 2022 | IN PRIMO PIANO

Sono ormai passati dieci anni dal disastro della nave Concordia, e ancora la sagoma del relitto incastrato sugli scogli del Giglio come un cetaceo morente affolla l’immaginario collettivo evocando una miriade di sentimenti contrastanti: mediocrità, rabbia, pietà, vittimismo, dissenso civile, vendetta, carità, fatalismo, vergogna, grandiosità (nel senso esiziale del termine), giustizia.

Se è vero che la legge non sempre coincide con la giustizia (ne cantava De Gregori) è altrettanto vero che la giustizia è solo giusta, quindi unidimensionale, e incapace di colmare l’immenso vuoto che certi drammi corali suscitano nell’opinione pubblica, e che possono penetrare carsicamente la dimensione del rimosso, se la cifra del racconto non li nobilita.

Ma la distanza fra narrare e speculare può essere molto breve se si cede al fascino del catastrofismo e del trito ritornello nazional-popolare sull’incompetenza della nostra classe dirigente, quindi, è necessario attenersi all’evidenza (mai troppo certa) dei fatti, e al risarcimento danni (o d’anni, a seconda dei punti di vista).

NUMERI E SCENARI

Il 13 gennaio 2012 (per la precisione la notte fra il 13 e il 14 gennaio) la nave Costa Concordia inizia il suo viaggio per la crociera «profumo d’agrumi», una low cost da 1300 euro per due adulti e un bambino, che la porterà, dopo Savona, sulle coste della Tunisia, della Spagna, alle Baleari e in Francia; si tratta di un mezzo di 114 tonnellate, costato 450 milioni di euro (e assicurato per 500), con 1500 cabine, 5 piscine salate, 5 ristoranti, un enorme centro benessere, 5 jacuzzi, 2 casinò, 70 suite, una beauty farm su due piani (Samsara spa) «affacciata ogni giorno su un tassello di mare diverso», opere di Pomodoro e Capogrossi (per un valore complessivo superiore al milione di euro), teatri e cinema.

Al momento del naufragio, la Concordia ospita 4229 persone (3216 passeggeri e 1013 membri dell’equipaggio) ed è un’icona di eleganza e, coerentemente col suo nome, di «concordia», visti i 13 ponti coi nomi di 13 paesi europei, la sala da ballo Vienna, dedicata al barocco austriaco, il Casinò Barcellona, con un omaggio a Gaudì, la caffetteria Helsinki, col romantico islandese, e i due ristoranti Roma e Milano, ispirati al postmodernismo italiano.

32 saranno le vittime finali (27 passeggeri e 5 membri dell’equipaggio), 70 i metri di lunghezza dello squarcio provocato dall’impatto (in grado di contenere più che agevolmente la Torre di Pisa), si calcoleranno 66,5 milioni di euro come risarcimento danni per l’85% delle unità a bordo e, tranne Schettino, tutti gli arrestati (gli ufficiali, il timoniere e l’hotel director) subiranno condanne penali inferiori ai tre anni.

Schettino, dal 2002 in Costa e comandante dal 2006, sta invece scontando 16 anni nel carcere romano di Rebibbia (10 per omicidio plurimo, 5 per naufragio colposo, 1 per l’abbandono della nave più 5 anni di interdizione da tutte le attività marittime), anche se dal 2022 potrebbe ottenere i domiciliari, visto che sembrerebbe un detenuto modello, dedito a corsi universitari di giornalismo e legge, all’attività fisica e in paziente attesa delle visite regolari della figlia.

LA STORIA

Il 13 gennaio 2012, alle ore 18 57, la Concordia salpa da Civitavecchia in direzione Savona, ma alle 21 04 il comandante Schettino decide di omaggiare il maître Antonello Tievoli, che ha una casa e parte della famiglia sull’isola, facendo l’ormai proverbiale «inchino», avvicinandosi al Giglio. Alle 21 45 il timoniere indonesiano Rusli Bin fraintende un suo ordine e la nave si incaglia presso gli scogli detti «delle Scole» (vicino alla torre saracena): fino alle 22 27, quando Schettino dirà: «le cose si stanno mettendo male», nessun allarme grave si diramerà dalla nave che comunicherà ai passeggeri solo un evidente black-out.

Alle 22 30, cioè ben 45 minuti dopo l’impatto, viene dato l’allarme generale (7 fischi brevi e uno più lungo) ed evacuato il personale dalle zone allagate, invitando i passeggeri a indossare il giubbotto salvagente e a raggiungere i ponti di riunione (master station); alle 22 38 viene dato il «distress» e alle 22 45 ordinato di dare fondo alle ancore, ma è solo alle 22 54 che viene pronunciato l’abbandono nave.

Alle 23 15 la Concordia inizia a inclinarsi e alle 23 19 Schettino la abbandona sostenendo di coordinare i soccorsi da una lancia, visto che era impossibile risalire a bordo; in realtà sappiamo (dalla scatola nera e da alcune testimonianze) che resterà al sicuro sugli scogli e a sceneggiare questa sua fuga saranno le due telefonate di Gregorio De Falco (allora capitano di fregata della capitaneria di porto di Livorno e oggi senatore) che prima alle 24 32 e poi alle 1 46 gli intimerà di risalire senza ottenere risultati («salga a bordo cazzo!»).

RECUPERO

La Costa Concordia è stata la nave più grande mai affondata (e recuperata) nel Mediterraneo. Le operazioni di recupero e smaltimento si suddivisero così:

  1. La società olandese Smit Salvage rimosse tutto il combustibile (oltre 200 tonnellate più 180 tonnellate di MTO) per evitare il disastro ecologico;
  2. A maggio 2012 è iniziato il recupero da parte dell’americana Titan Salvage e dell’italiana Micoperi;
  3. Nel settembre 2013 si è fatto «lentìare» (cioè ruotare e raddrizzare, in gergo) il relitto di 65 gradi: l’operazione è stata condotta dal sudafricano Nick Sloane;
  4. Nel maggio 2014, terminato il «refloating», la nave (o ciò che ne restava) è stata trainata da due rimorchiatori oceanici, il Blizzard e il Resolve Earl, fino al porto di Genova per lo smantellamento e la demolizione: un viaggio di 200 miglia nautiche (circa 370 chilometri) che non aveva precedenti nella storia della marina italiana, e che si è concluso positivamente;
  5. Nel 2018 è stata terminata la pulizia dei fondali e solo da un paio d’anni è rispuntata la posidonia, la pianta marina simbolo di quel tratto di Tirreno.

INCHINO E DARK TOURISM

La scatola nera della Costa Concordia consegna alla Storia il piccolo dizionario di arroganza e panico scritto dal comandante Schettino la notte fra il 13 e il 14 gennaio 2012, dal «mò faccio una salva di fischi e salutiamo tutti» al momento dell’inchino, quando con lui sulla plancia ci sono, oltre al già citato maître, anche il commissario di bordo Mario Giampedroni e l’ingiustamente vituperata (almeno all’inizio) hostess moldava Domnica Cermotan, fino al «madonna, ch’aggio combinato» o alla telefonata alla moglie: «la mia carriera di comandante è finita».

Il «le faccio passare io l’anima dei guai» e il «salga a bordo cazzo» di De Falco sono solo il folcloristico sigillo di un atto d’irresponsabilità la cui gravità fu solo parzialmente mitigata dal combinato disposto del Grecale che soffiava da Nord-Est, dalle correnti marine e dalle masse d’acqua interne allo scafo, che permisero alla nave di incagliarsi alla Gabbianara, invece di sprofondare in mare aperto dove i soccorsi sarebbero stati ben più difficoltosi e il bilancio delle vittime decisamente più severo.

A vigilare l’incredibile sforzo umanitario compiuto dai mille gigliesi per dare sostegno ai naufraghi (ci sono un podcast e più di un libro a raccontarlo) fu la statua del Cristo degli Abissi, a venticinque metri di profondità e non distante dagli scogli teatro degli eventi.

Scivolando nella superstizione, la Nave Concordia è affondata esattamente un secolo dopo il Titanic e, sfiorando la deriva complottista, ci sarebbero alcune similitudini fra i due disastri:

  1. Gli svizzeri Yannic e Kevin Saga hanno dichiarato che al momento dell’impatto la musica di sottofondo era «My heart will go on» (Titanic OST);
  2. La bottiglia inaugurale di champagne rimbalzò, come per il Titanic, sullo scafo della Concordia senza rompersi;
  3. Un parente d’un disperso del Titanic era a bordo della Concordia;
  4. Titanic e Concordia hanno una proprietà in comune.

Ma al di là di questi macabri, e a volte forzati, collegamenti, anche l’isola del Giglio, prima della rimozione del relitto, è stata meta di quel perturbante fenomeno noto come «dark tourism» (definito per la prima volta negli anni Novanta da due accademici scozzesi nel descrivere i pellegrinaggi degli americani a Dallas, sul luogo dove fu ucciso nel 1963 Kennedy): Chernobyl, Fukushima, il memoriale dell’11 settembre, Cogne, Perugia, Avetrana e di recente (incredibile a dirsi) persino Wuhan, tutti simboli di una degradante scopofilia stretta parente della sbornia mediatica di crimini e/o cataclismi.

È possibile la catarsi sul teatro di una tragedia trascorsa ma mai veramente passata?

Nell’era della riproducibilità tecnica, moviolare la morte all’infinito ce la rende più accettabile o ci rende solo più indifferenti?


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