(Meta)verso il futuro, e oltre …

da | Gen 11, 2022 | IN PRIMO PIANO

In un momento storico in cui il futuro è divenuto impossibile da pianificare semplicemente perché sta già accadendo, la parola «metaverso» è sulla bocca di molti intellettuali, politici, ma soprattutto investitori a nove zeri e tycoon delle grandi aziende (digitali e non) del mondo. Preso in prestito dalla fantascienza, genere che da «Black Mirror» in poi ci sta fornendo più strumenti per affrontare la realtà di qualsiasi modulistica sulla privacy o avveduto testo sui rischi etici della pervasività tecnologica, il metaverso prefigura un eterno presente in cui, dotati di occhiali Ar (a realtà aumentata) potremmo iniziare la nostra giornata facendo colazione in un bar dove, affianco all’amato cappuccino comparirà la nuvoletta con le relative calorie e i minuti di footing necessari a smaltirle, per poi partecipare a una riunione di lavoro in fondo all’oceano, dove un visore riprodurrà accuratamente flora e fauna marine mentre ci muoviamo su un tapis roulant omnidirezionale, infine potremmo andare a un concerto virtuale insieme agli avatar dei nostri amici, lontani migliaia di chilometri da noi.

Nulla che non stia già accadendo su Fortnite o Roblox, o sull’App Horizon Workrooms (dove grazie al visore Oculus Quest si possono riorganizzare riunioni da remoto con collaboratori che sembrano sederci accanto): spazi di intrattenimento virtuali che prendono il tempo alla realtà ridefinendone lo statuto in tempo «reale».

IL METAVERSO

Coniato da Neal Stephenson, nel suo romanzo «Snow Crash» del 1992, che narrava di un mondo 3D abitato da avatar di persone reali, il termine «metaverso» era già presente vent’anni fa con «Second Life», e negli anni Settanta attraverso «dungeon multiutente», per non parlare poi delle sue declinazioni scientifiche (se n’è occupato anche Stephen Hawking), ma negli ultimi tempi è salito alla ribalta per la vertiginosa crescita di tecnologia grafica e connettività cui stiamo assistendo (subendo?).

Cerchiamo di approntare un breve glossario:

.) Facebook: «Il metaverso è un insieme di spazi virtuali in cui è possibile creare ed esplorare con altre persone che non si trovano nel tuo stesso spazio fisico»;

.) Matthew Ball (Metaverse Prime): «Il metaverso è una Rete espansiva di modi e simulazioni 3D persistenti e renderizzati in tempo reale […] può essere sperimentato sincronicamente da un numero effettivamente illimitato di utenti, ognuno con un senso individuale di presenza;

.) Ralph Koster (game designer) si è lanciato invece in una tripartizione fra:

  1. Mondi on line: spazi digitali focalizzati su un tema principale;
  2. I multiversi: più mondi diversi collegati in una Rete, che non hanno un tema condiviso o un insieme di regole;
  3. Il metaverso: un multiverso che interagisce maggiormente col mondo reale (incorporando cose diverse come Ar, camerini VR per negozi reali, o Google Maps).

Per poter «abitare» il metaverso, le piattaforme digitali devono essere in possesso di cinque requisiti:

  1. Un set di funzionalità pronte a sovrapporsi ai vecchi servizi web e alle attività del mondo reale;
  2. Computer grafica 3D in tempo reale, e avatar personalizzati;
  3. Una vasta gamma di interazioni sociali meno competitive o finalizzate al classico obiettivo dei giochi stereotipati;
  4. Un supporto agli utenti che creano oggetti o ambienti virtuali;
  5. Collegamenti con sistemi economici esterni in modo da monetizzare i beni virtuali.

Ma, come ha ricordato Marck Zuckerberg a ottobre dello scorso anno, presentando la sua nuova azienda Meta: «il metaverso non è un singolo prodotto che un’azienda può costruire da sola. Proprio come internet, il metaverso esiste sia che Facebook ci sia o meno.» Si sta parlando non di una realtà già strutturata ma di un’idea di futuro digitale che rinforzi il concetto di presenza eliminando la fastidiosa sensazione di essere semplici spettatori, anche di un evento che ci riguarda (ovvio che la realtà aumentata o servizi come Facebook Horizon ci facciano sentire più «dentro» un’esperienza rispetto a una diretta Zoom); altri due requisiti fondamentali del metaverso dovranno essere l’interoperatività fra diversi ambienti virtuali mantenendo lo stesso asset (vedi gli avatar), e una certa standardizzazione di base con dei parametri comuni stabiliti da organizzazioni internazionali riconosciute, che consentano all’infrastruttura di non cadere nell’anarchia.

A fronte di un drastico mutamento del concetto di lavoro (Jeremy Rifkin anni fa ne decretava la fine, almeno nelle sue caratteristiche più tradizionali) è interessante l’affermazione, relativa al metaverso, di Satya Nadella, CEO di Microsoft: «man mano che incorporiamo l’informatica nel mondo reale, puoi persino incorporare il mondo reale nell’informatica.»

Nuovi posti di lavoro e nuove qualifiche sono destinate a fiorire da questa successiva incarnazione di Internet che ha appiattito il concetto di tempo a un’eternità ad impulsi elettrici, dilatando lo spazio come un condominio neurale in un romanzo distopico.

MetaVs?

Ad aprile 2020 è stato trasmesso su Fortnite il concerto «Astronomical» di Trevis Scott, seguito da 12 milioni di persone; a maggio 2021 Gucci ha aperto su Roblox «Gucci Garden», un’esposizione con sale contenenti un’edizione limitata di borse virtuali vendute e indossate dagli avatar dei giocatori per 4115 dollari (350 000 Robux, la valuta del gioco); la maggior parte dei moderni videogiochi operano in modalità «servizio on line» e cioè con degli sviluppatori che ne aggiornano i contenuti non una volta o due l’anno (come accadeva in passato), ma continuamente.

Prestigiose case d’alta moda, industrie automobilistiche di lusso e tutti i più grandi player globali stanno investendo nel metaverso, ma quali sono i rischi?

Il primo allert è, intuitivamente, la possibile concentrazione di potere correlata a un metaverso preda delle Big Tech, senza un adeguato sistema di controlli e contrappesi istituzionali: la velocità della tecnologia è assimilabile a quella delle variabili pandemiche, e quella della legislazione ai tempi di sperimentazione dei relativi vaccini.

«Niente retrocede così velocemente come il progresso», scriveva McLuhan.

L’altro rischio è ben descritto da Douglas Rushkoff (docente di Teoria dei Media alla City University of New York, e inventore del termine «nativi digitali»): «credo che invece di rendere la tecnologia più compatibile con l’umanità, il metaverso renderà gli esseri umani più compatibili con la tecnologia».

Quando a interagire al nostro posto saranno degli avatar si perderanno tutti i meccanismi emotivi di coesione sociale (prossemica, segnali visivi eccetera) che si sono formati nei secoli, inoltre l’utilizzo degli occhiali Ar (o il device che li sostituirà in futuro) ci distrarranno dall’altro (fornendoci mille informazioni in sovraimpressione), di fatto isolandoci, iperconnessi in modo alienato.

Il rischio più grande è che l’effetto «echo chambers» dell’algoritmo (e cioè l’interagire solo con chi la pensa come noi) si moltiplichi grazie alla capacità del metaverso di raccogliere e incrociare molti più dati sulla nostra persona: in base agli acquisti dell’ultima settimana il metaverso ci «consiglierà» dove andare, cosa vedere o mangiare, o potrebbe metterci in contatto con persone virtuali che rispecchino a perfezione le nostre idee o orientamenti, culturali, commerciali, o perfino religiosi-politici.

Si potrebbe arrivare al paradosso che in base alla cifra pagata alla relativa piattaforma, un’attività compaia o scompaia dal nostro visore in modo tale che la realtà percepita dai nostri occhi non sarà quella di cose o persone, ma di inserzioni o maschere salmodianti la nostra personalità eterodiretta.

La soluzione non è la rimozione del futuro (in un grottesco capovolgimento psicoanalitico) ma una legislazione attenta e puntuale (soprattutto dal punto di vista preventivo, oltre che fiscale) e un atteggiamento da parte del fruitore perfettamente consapevole di quanto il metaverso possa diventare, nelle sue claustrofobiche derive, non un’espansione della realtà ma la sua copia all’infinito. In perdita di definizione.

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