La variante Omicron e il ruolo della scienza

da | Dic 30, 2021 | IN PRIMO PIANO

Mentre alcune regioni anticipano le misure del decreto di festività, ipotizzando un prolungamento della chiusura  delle scuole fino al 31 gennaio e una contrazione della quarantena, per i vaccinati con terza dose che entrino in contatto con un infetto, da 7 a 3-5 giorni (anche se il Cts frena su quest’ultima proposta, troppo «a sensazione»), la variante Omicron fa salire i contagi, raddoppiando i casi ogni 2-3 giorni, con un tempo medio di incubazione molto più basso rispetto ai 4,2 giorni della variante Delta (in confronto alla quale è 5,4 volte più contagiosa), ma con un calo di ricoveri dal 50 al 70%.

OMICRONISTORIA

Dopo che l’Imperial College aveva stimato una riduzione dei contagi del 40-45% per la variante Omicron rispetto alla Delta, la Health Security Agency l’ha rettificata al 70%, incrociando i dati di Scozia, Danimarca e Sudafrica ma, come già visto, l’ultima figurazione del Covid è molto più contagiosa delle precedenti, ha un tempo di raddoppio più breve e reinfetta i già immunizzati con estrema facilità.

Con un tempo di incubazione di soli tre giorni, diviene impossibile tracciare i contagi e molto difficoltoso utilizzare i tamponi, senza considerare che, se come previsto dalla maggior parte degli epidemiologi anche in Italia ci troveremo a gestire un aumento vertiginoso di casi, non torneremo alla paralisi medica del marzo 2020, ma il sistema sanitario potrebbe comunque risentirne in un momento storico in cui è già particolarmente stremato.

A smorzare gli entusiasmi sulla presunta «minore severità» di Omicron, resta il fatto che l’ultima variante abbia agito su una popolazione in larga parte già vaccinata ed è stato dimostrato quanto i vaccini aumentino la protezione dalla malattia grave ma non quella dai contagi (che diviene ipso facto quasi nulla); sotto questo punto di vista, Omicron ha una scorza rosso sangue per ciò che concerne la velocità di crescita e la capacità di sfuggire all’immunità, ma se la apri ha un cuore verde dato dal rischio ridotto e dalla minore intensità del male.

Resta il problema, cronico nell’ipotesi (più che concreta secondo gli esperti) di nuove varianti, che i vaccini adattati a Omicron arrivino fra qualche mese e cioè quando ormai sarà troppo tardi, ma per ora la situazione, al netto di uno sforzo equanime e ben coordinato, sembra essere sotto controllo.

Essendo più trasmissibile, verosimilmente la variante Omicron finirà col prevalere sulla Delta e le uniche armi in nostro possesso per contrastarla sono la consueta profilassi (non assembramenti, mascherina, distanziamento sociale e via seguendo) e il vaccino (raggiungere gli scettici ed eseguire nei tempi indicati la terza dose) perché se è vero che la copertura immunitaria delle due dosi nel tempo cala, i dati ci dicono che col booster torna a salire, riducendo le probabilità di contagio e, di conseguenza, le ospedalizzazioni.

Ridurre il rischio non significa eliminarlo del tutto, quindi è ovvio che il vaccino sia uno strumento efficace ma imperfetto, d’altronde, come ci ricorda il professor Mindy (interpretato da Di Caprio) nel recente «Don’t look up», la scienza odia ragionare al cento per cento.

Ciò che resta fondamentale, proprio alla luce del previsto aumento dei casi dato dall’ultima variante, è non farsi prendere dal panico e invece di correre in ospedale ai primi sintomi, ridurre al minimo i contatti, rivolgersi al medico di base (precedentemente istruito da Aifa e Ministero della Salute sulle terapie da seguire), e fare subito il tampone.

Per capire la reale portata di Omicron, bisognerebbe osservare cosa succede quando colpisce persone non vaccinate e più in generale individui vergini al virus, ma evitare di vaccinarsi perché tanto anche i vaccinati si ammalano (freccia intinta nel curaro No Vax) è un errore, vista l’alta protezione garantita dai booster e visti i casi riscontrati in Sudafrica di persone reinfettate dopo aver già avuto il Covid.

La soluzione sono i «requirements», ossia le prescrizioni e non i «mandate» (gli obblighi), ma soprattutto evitare che un dibattito essenzialmente sanitario diventi politico, laddove l’unica cifra politica da rispettare è estendere la vaccinazione ai paesi in via di sviluppo, non solo fornendo loro il giusto quantitativo di dosi (magari non prossime alla data di scadenza e quindi destinate al macero, com’è accaduto di recente in Nigeria con un milione di unità di AstraZeneca), ma anche costruendo un’adeguata rete sanitaria in grado di «trasformare i flaconi di vaccini in vaccinazioni» (come ha dichiarato a «La Repubblica» di recente Anthony Faucci, braccio destro di Biden e Chief Medical Advisor statunitense).

POLITICA E/O SCIENZA?

Ha scatenato molte polemiche il «Si Vax» prenatalizio intonato dal tris medico Crisanti, Pregliasco e Bassetti, sulle note di Jingle Bells in tv; il Ministro dello Sviluppo leghista Giorgetti ha invitato alla moderazione perché l’inflazione televisiva di esperti e immunologi, spesso in disaccordo (non solo musicale) fra loro, e ancor più spesso smentiti nella proprie dichiarazioni pubbliche dagli eventi (basta ricordare che il professor Zangrillo dichiarò il virus clinicamente morto l’estate scorsa), rischia di confondere invece di guidare le persone.

Tale appello, pubblicamente approvato da Draghi e dal coordinatore del Cts Locatelli, ha portato il presidente della Commissione Vigilanza Barachini a stilare un decalogo che indirizzi la Rai a un’informazione corretta, imparziale e contestualizzata, limitando gli interventi più «tecnici» ai Tg e non ai Talk, dove lo share trionfa sulla competenza e il dibattito serio si trasforma in rissa (più o meno concertata) fra Si Vax e No Vax.

Mentre Bassetti professa la propria innocenza, vantando il grande successo del video incriminato (ed effettuato solo per incentivare la campagna vaccinale fra i più giovani), ribadendo l’indipendenza della scienza sulla politica e il primato della sua funzione divulgatrice, ha senso approfondire il rapporto fra scienza e politica, soprattutto durante una pandemia.

Già nel Medioevo, durante le pestilenze i podestà conferivano poteri speciali a dei tecnici (spesso giuristi, a volte medici) arrivando a costituire delle vere e proprie Magistrature Permanenti della Sanità, con lo scopo di governare il Male, ma spesso tali figure, autoreferenziali e travolte da una sorta di delirio di onnipotenza, finivano per operare al di là dell’autorità politica e al di fuori della sua giurisdizione («noi forniamo dei pareri e li esponiamo ma chiediamo maggiore controllo e il monopolio della corporazione dei medici sul mercato della salute», [da una documento del Trecento]).

La stessa cosa può accadere, e accade, oggi quando la caduta di consensi politica inaugura tecnocrazie, epistemecrazie, o governi in cui il Cts diviene più un organo decisionale che di consulenza, e questo nell’erronea convinzione che l’oggettività razionalista, per sua stessa natura aliena al relativismo politico, sfugga a qualsiasi forma di corruzione o manipolazione.

In realtà, sia il «governo degli scienziati» (in senso lato, dei sapienti) che il «governo della Scienza» (e cioè della tecnica) sono nemici della democrazia perché ne violano il sacro principio di rappresentanza, che in quanto tale è pubblica, mentre l’assunto alla loro base è che il Sapere debba essere precluso ai più e conservato come una ricattatoria reliquia in grado di orientare l’opinione pubblica e la classe dirigente, attraverso la sua stessa segretezza.

Bobbio sosteneva che in politica contano le maggioranze qualificate e non assolute, e che su materie delicate come la salute pubblica o l’emergenza climatica non esistano decisioni irreversibili. Il ruolo della Scienza, quindi, dovrebbe essere quello di permettere alla Politica, tramite un Sapere trasparente, di prendere delle decisioni consapevoli e responsabili («accountability»), e non di impersonificare il ruolo di quelli che in psicoanalisi si definiscono «saperi ingenui», e cioè scioccamente onniscenti.

«Scienza e Politica» quindi e non «Politica o Scienza».

«Le tecniche sanno come le cose devono essere fatte ma non se o a che scopo devono essere fatte. Per questo occorre quella tecnica regia capace di far trionfare ciò che è giusto […]: in questa frase di Platone è riassunto il rapporto di reciproca collaborazione e indipendenza che dovrebbe esistere fra Politica e Scienza, lontano dal reciproco scaricabarile cui assistiamo impotenti da anni e il cui male fondativo è interpretare l’una la funzione dell’altra, ma senza titolo e in un paese che ha trasformato in sostituzione la propria irresponsabile e congenita impreparazione.

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