Chiamato Classmate, e studiato per potenziare l’esperienza della didattica aumentata a scuola, il primo social robot in grado di supportare alunni e insegnanti (interagendo con loro durante la lezione) e dotato di intelligenza artificiale, è un progetto della Protom, la prima KTI company italiana, e dell’università di Napoli Federico II: in questa iniziale fase di lancio è presente in cinque scuole italiane (Napoli, Verona, Dalmine, Roma, Carrù) tramite un device realizzato dal «voice kit» del progetto «Do-it-yourself Artificial Intelligence» di Google, ma a gennaio partirà la fase due, durante la quale i robot verranno sperimentati in un contesto reale e sotto la supervisione del Dipartimento di scienze sociali.
L’originalità di questa prima iniziativa tricolore non risiede nella creazione del robot in sé, ma nel fatto che il progetto sia nato con finalità esclusivamente scolastiche, per avere un assistente smart che aiuti a migliorare il clima in classe interagendo con ragazzi e professori; secondo l’azienda napoletana ideatrice, in un futuro non troppo lontano potremmo trovare uno di questi robot in ogni classe, oltre che reperirlo facilmente sul mercato.
SOCIAL ROBOT
Salvatore Rionero, Ad di Protom, rileva l’unicità di Classmate proprio nella sua genesi, visto che il social robot non si limita a salutare o a scambiare i soliti convenevoli, come qualsiasi altro umanoide visto finora, ma risponde alle esigenze dei ragazzi stessi cui è stato chiesto, in fase di progettazione, cosa avrebbero voluto che il robot facesse per loro e con loro in aula.
Grazie alla triangolazione fra algoritmi, realtà virtuale e intelligenza artificiale, queste macchine sono a tutti gli effetti in grado di offrire servizi ed espletare funzionalità finora inesistenti, ma solo il tempo e l’effettiva elasticità delle istituzioni scolastiche, oltre a un necessario e attento monitoraggio psicopedagogico, ci diranno se il loro sviluppo diverrà capillare o se si limiterà al pur meritevole biasimo laboratoriale.
Centrale per la colonizzazione della Frontiera didattica da parte di questi nuovi pionieri robotici sarà il loro utilizzo «complementare» da parte dei docenti, come se si avesse una sorta di mini Google in aula da interpellare a sostegno dell’insegnamento e non un elemento sostitutivo della lezione tradizionale: archetipo della fantascienza distopica, quella che accorcia la distanza fra presente e futuro prossimo, e problema morale di primaria importanza per gli addetti al settore Intelligenza Artificiale (non solo dal punto di vista tecnologico), la «sostituzione» dell’essere umano coi robot, non rappresenta soltanto il realizzarsi degli scenari auspicati dal marxismo più ottimista, ma anche un cruciale snodo culturale e filosofico.
ROBOTICA EDUCATIVA
Entrata nella scuola grazie a una normativa del Ministero che lo prevede, ma anche grazie all’impegno dei singoli professori disposti a mettersi in gioco, a destrutturare e ricostruire, progettare e avere una differente visione d’insegnamento, la robotica educativa consente di scegliere un progetto singolo o per classi parallele, a gruppi aperti, in percorsi peer to peer con gradi di scuole diversi, o in progetti di alternanza scuola-lavoro, partendo da una fase laboratoriale, e ammettendo l’errore come occasione di crescita (come la migliore pedagogia insegna), fino alla creazione dell’oggetto finito.
Si comincia dalla scuola dell’infanzia con robottini inseriti nell’attività quotidiana o i Lego WeDo che istruiscono i bambini nel coding unplugged (cioè il coding senza le strumentazioni informatiche) fino ad arrivare, nei gradi successivi, alla robotica creativa dove entrano in gioco lo storytelling e il riciclaggio.
Non sempre le scuole hanno i fondi per reperire i kit necessari (che verosimilmente vanno dall’unità a un massimo di 4 o 5 per classe), così spesso si deve ricorrere a finanziamenti esterni, ai Comitati dei genitori o il docente acquista personalmente il proprio kit (magari usufruendo della Carta del Docente), ma è chiaro che una diffusione massiva di questi progetti potrebbe calamitare oltre a una crescente attenzione da parte dell’opinione pubblica, anche una maggiore liquidità.
La robotica educativa arricchisce conoscenze e sviluppa curiosità, stimola la fantasia attraverso narrazioni con ambientazioni scientifiche e uno spirito esplorativo che consente ai ragazzi, soprattutto se in presenza, di toccare con mano il robot, incentivando il problem solving attraverso il lavoro di gruppo, il coding e il learning by doing; inoltre, la condivisione in Rete (su Community dedicate o sui social network) da parte dei docenti, delle proprie esperienze didattiche in questo campo, sta contribuendo a diffondere interesse abbattendo dei pregiudizievoli luoghi comuni.
Introdurre la robotica educativa a scuola non equivale ad aggiungere una nuova materia al piano didattico, ma ad usufruire quotidianamente di uno strumento multidisciplinare in grado di potenziare le competenze trasversali in un programma didattico prestabilito: inizialmente diffusa solo per le materie STEM, tale protesi educativa si sta ora utilizzando anche per quelle umanistiche attraverso una metodica di suddivisione in gruppi di massimo 3-4 elementi, con un animatore digitale e un professore (sempre più guida e facilitatore in un contesto orizzontale o peer to peer) il cui ruolo, oltre che nella valutazione docimologica, diviene centrale anche per la scelta dello strumento di robotica più adeguato.
Ha senso ricordare l’esperienza di una scuola primaria e secondaria di primo grado di Campobasso (Convitto Nazionale Mario Pagano) a che a settembre 2020, quindi in piena pandemia, acquistò due robot, noleggiati dalla torinese Genius Robotics (e grazie ai fondi previsti dal Decreto-Legge 34/2020) che, alimentati a ioni di litio e con un’autonomia di 18 ore prima di essere rimessi in carica, fungevano da avatar del docente o dell’alunno costretto a casa causa covid.
È risaputo che l’innovazione tecnologica ha i suoi booster nel mercato sessuale e nelle applicazioni militari, ma fare della didattica un terreno di ricerca all’avanguardia, potrebbe portare la robotica ad aiutare BES e DSA, trasformando potenzialità latenti in effettive capacità e riducendo il bullismo e tutti quei fenomeni di discriminazione che non solo non diminuiscono ma che, complice (involontaria) la Rete, sono addirittura in espansione.