Una delle responsabilità più importanti per un docente è la necessità di dare vita a quel “long-life learning” che comporta un continuo processo di in-formazione in merito alle prassi didattiche. In questa costante ricerca, oggi vogliamo fornire uno spaccato su un nuovo approccio: la didattica antispecista. In tale ottica, abbiamo chiesto a Paolo Treglia, docente di lingua e cultura inglese presso una scuola secondaria di secondo grado della provincia di Napoli, di illustrarci in cosa consista la rivoluzione antispecista, visto il tentativo di inserirla nel curricolo scolastico come pratica didattica.
- Può spiegarci cosa si intende con il termine antispecismo?
Siamo abituati ad avere una visione del mondo piramidale con all’apice l’uomo e al di sotto tutte le altre specie del mondo animale e vegetale, e pensiamo a tutto ciò che ci circonda come a una risorsa da sfruttare per la sopravvivenza umana. Se imparassimo invece a vedere il mondo come un grande cerchio in cui sono racchiuse tutte le forme di vita, potremmo iniziare a pensare all’ambiente circostante con rispetto. Inizieremmo a scegliere non in base alle nostre necessità ma secondo una logica di riguardo, vedendo ogni risorsa non come qualcosa da sfruttare ma da preservare. La Storia ha visto una graduale affermazione di diversi diritti: un tempo la schiavitù era legale, come la discriminazione razziale ed anche l’Olocausto, generalizzando, lo è stato; tutte cose che oggi ci indignano e sconvolgono. L’antispecismo si ispira a dei principi di solidarietà globale per affermare quanto sia fuorviante l’attribuzione di un diverso valore e status morale agli individui, unicamente in base alla loro specie di appartenenza, con la finalità di spezzare l’ultimo anello della catena di una logica in cui il più forte abusa del più debole. La nota locuzione del filosofo francese Cartesio (cogito ergo sum), chiaro esempio di prospettiva antropocentrica, poiché dal riconoscimento della facoltà di pensare come esclusiva dell’essere umano si fa derivare la sua superiorità sulle altre specie, può essere reinterpretata (dall’opposto punto di vista) come condizione di un obbligo “esteso” alla responsabilità verso il pianeta e verso tutti i suoi abitanti, umani e non-umani. Se, infatti, soltanto l’umanità può sollevare questioni morali e operare delle scelte in merito alla propria condotta, da ciò ne deriva una chiara responsabilità per le conseguenze delle proprie azioni. Divenuto noto con la pubblicazione nel 1975 di «Liberazione animale» (del filosofo australiano Peter Singer) il movimento, che è nato per dare un nuovo spessore etico e culturale all’impegno in favore degli animali, assume sempre più una connotazione di “solidarietà globale” verso tutto ciò che ci circonda, mettendo quindi in discussione la classica distinzione fra natura e cultura, fra umano e animale. Si è soliti associare antispecismo a veganismo, sebbene i due termini indichino cose differenti: il veganismo è uno stile di vita che rifiuta lo sfruttamento degli animali a scopo alimentare, di vestiario, di sperimentazione, e in tutti gli altri settori in cui gli animali vengono impiegati per esigenze specificamente umane. Esso rientrerebbe, quindi, nell’ambito dell’antispecismo, che ha invece ha una concettualizzazione più ampia.
2. In che modo la filosofia antispecista può dare vita a nuovi approcci didattici?
La filosofia antipsecista è perfettamente in linea con il concetto di “intelligenza emotiva” (Goleman 1995) che tanto si sta facendo spazio nel mondo della scuola e della didattica. Secondo tale concetto è possibile identificare tre insiemi di abilità cruciali per navigare in un mondo di distrazione, e di relazioni interpersonali sempre più in pericolo, in cui le connessioni tra le persone e l’ambiente circostante sono più importanti che mai: tre insiemi di abilità attraverso cui concentrare l’attenzione su sé stessi, sugli altri e verso l’esterno. Per compiere scelte responsabili, i giovani dovrebbero essere educati a riflettere sulle necessità di tutti, e quindi allontanati dalla logica di possesso e dominio che invece ancora contraddistingue la nostra epoca. Si tratta, quindi, di un apprendimento sociale ed emotivo che può contribuire a cambiamenti fondamentali nella società. Affrontare questo discorso escludendo il rapporto umano-animale e umano-ambiente, comporterebbe una visione della vita parziale; al contrario è insito nel concetto di antispecismo l’idea di interfacciarsi con la vita nel suo insieme. Tale movimento rivaluterebbe le argomentazioni che sono state distrattamente o deliberatamente dimenticate, consentendo un confronto tra ciò che siamo abituati a pensare e ciò che viene visto in modo «anti», determinando quindi una riflessione sulla legittimità delle nostre azioni e sull’assunzione di responsabilità verso scelte che non hanno alcun fondamento etico. Già Platone paragonava il furto alla caccia, lasciandoci intendere che è da condannare ogni forma di sopruso. Non si tratterebbe quindi di avallare i diritti di una sola specie, altrimenti faremmo lo stesso errore dello “specista”, ma aggiungere nella didattica ciò che viene omesso, in modo da fornire agli alunni una visione globale dell’esistenza, determinando così una conoscenza che consenta loro di scegliere responsabilmente.
3. Nell’epoca Covid, che ha visto una vera e propria rivoluzione in senso digitale della scuola, come possono inserirsi le istanze antispeciste?
Internet è un mondo meraviglioso contaminato però dalla volontà di accattivare l’utente per i propri interessi. Può diventare, dunque, uno strumento fuorviante. Se imparassimo a leggere la Rete in modo più consapevole, riusciremmo a riconoscere i meccanismi di demagogia che si nascondono nel profondo di questo tipo di comunicazione. Se la disinformazione è un aspetto che appartiene a tutte le forme di comunicazione mediatica, in una scansione storica, quella digitale di recente evoluzione, è la più pervasiva perché, rispetto alla stampa, alla radio e alla TV è di più immediata reperibilità. Per questo motivo è necessario che gli studenti, in qualità di futuri cittadini, imparino a conoscere le potenzialità ma anche l’imprevedibilità di questi nuovi mass media, leggendo le informazioni secondo la visione globale di cui parlavamo sopra.
4. Quali sono degli esempi pratici di prassi antispeciste in classe?
È tendenza comune quella di impartire un insegnamento monolitico secondo il punto di vista del vincitore: il vinto è commiserato e il ribelle condannato. Se provassimo a metterci nei panni dei commiserati o dei condannati, godremmo forse di un’altra ottica. In questo modo affronteremmo qualsiasi argomento in maniera analitico-riflessiva e non sintetica o statica, come siamo abituati a fare. Eviteremmo di chiamare le cose per ciò che appaiono invece di come sono e potremmo giungere a conclusioni che ci spingerebbero a riflettere sulla liceità (e legittimità) di talune azioni, fino a decidere il comportamento migliore. Non si devono demonizzare certi atteggiamenti senza comprendere da cosa siano scaturiti: ad esempio, Garibaldi ci viene presentato come un eroe, ma non per tutti lo è stato. Non è, pertanto, efficace fornire una sola visione ma bisognerebbe delineare anche quella contraria in modo da innescare un meccanismo di confronto e valutazione. Sarà poi l’individuo a decidere da quale parte stare, cosciente delle conseguenze che il suo comportamento può generare; solo così si diventa liberi di scegliere senza essere condizionati dai giudizi altrui. Tutti sentiamo l’esigenza di vivere in un mondo felice ma per renderlo tale è necessario che le scelte non nascano da un bisogno soggettivo, ma da un desiderio di riscatto sociale a cui si possa ricondurre il concetto di «eco» (dal greco «casa»). Il mondo è la nostra «casa» e tutti desideriamo «una bella casa» dove stare «comodi».
5. Cosa aggiunge la didattica antispecista agli approcci già esistenti nel panorama scolastico?
Siamo abituati a prendere ad esempio quegli intellettuali che ci presentano il mondo così come lo conosciamo, o come ci conviene vederlo. Eppure, ci sono tanti intellettuali che hanno affrontato l’antispecismo e una nutrita bibliografia su temi che molti ignorano, anche quando si riferiscono a pensatori che se ne sono occupati per portare avanti un’idea di giustizia come riconoscimento dei diritti e non della loro concessione. Jeremy Bentham può essere considerato il padre fondatore di questa nuova visione del mondo, anche se in epoca molto antica era già contestata la violenza su tutte le forme di vita. Non è un caso se molti ebrei di oggi rivivano nei macelli lo stesso terrore dei campi di concentramento, e nemmeno che esista un eco-femminismo basato (anche) sul rispetto degli animali. Ma di queste cose si parla ancora molto poco, e in maniera parziale e incompleta. La didattica antispecista inaugurerebbe la capacità di comprendere e apprezzare diverse visioni del mondo e di interagire con gli altri in modo responsabile e rispettoso, consentendo lo sviluppo di quella che viene definita «global competence» (OECD, 2018).