Regina Duncan, ex capo della Darpa (l’agenzia americana di ricerche avanzate per la difesa) ha dichiarato che se «lo Sputnik ha dato il via all’era spaziale, il Covid può innescare quello della salute».
Nel libro dell’Apocalisse, i Quattro Cavalieri vengono inviati sulla terra «per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere»: un quarto del pianeta sarà distrutto e, mentre l’identità dei vettori dell’Apocalisse è certa per gli ultimi tre (il Secondo è la guerra, il Terzo la carestia e il Quarto la morte stessa), sul Primo i biblisti si dividono fra Gesù Cristo, l’incarnazione della rettitudine o, in base anche a miniature e illustrazioni antiche che lo ritraggono con la relativa scure, la Peste.
È innegabile che, ripercorrendo la Storia dell’umanità, soprattutto dal Medioevo a oggi, sono state le pestilenze a condizionare esodi, guerre, carestie e demografia e che l’evoluzione della scienza medica ha esorcizzato il fatalismo divino e la chiusura dei confini territoriali a favore d’una solidarietà globale che, al netto degli interessi in gioco e dell’ultimo «isma» inesorabilmente in attività (il Capitalismo), invita a un cauto ottimismo.
MALI «MINORI» – È un dato di fatto che la pandemia di Covid 19 abbia ostacolato la cura e la gestione di molte altre malattie: nel 2020 gli screening mammografici sono diminuiti del 37,6% rispetto al 2019, quelli del tumore al colon-retto del 45%; l’Acoi (Associazione chirurghi ospedalieri italiani) rileva una riduzione dell’80% degli interventi di chirurgia elettiva e del 35% di quelli in urgenza, stessa cosa (70% in meno) per ciò che concerne l’impianto di peacemaker e defibrillatori in prevenzione primaria e secondaria, per non parlare dell’azzeramento degli interventi di ablazione delle tachiaritmie. Non vanno meglio le cose in ambito ortopedico e traumatologico, con una riduzione di oltre 130 000 interventi rispetto al 2019: oltre agli oggettivi problemi di spostamento per recarsi nelle strutture ospedaliere, a causa del lockdown, ad aver influito su questa generalizzata contrazione clinica, sembrerebbe essere stata la paura del contagio, che ha trasformato le strutture ricettive da luoghi di salute in ricettacoli di infezione (almeno nell’immaginario collettivo).
Eppure, il problema è strutturale e parte da lontano, coi 37 miliardi tagliati alla Sanità negli ultimi dieci anni e con un allarmante 67% di fondi (in alcune regioni del Meridione addirittura il 96%) non utilizzati, che fotografano una nazione con un personale sanitario sottodimensionato e con un’età media troppo avanzata, con una formazione insufficiente a sostituire, sia in termini specialistici che di medicina generale, i colleghi andati in pensione.
Bisognerà saper spendere i 20,22 miliardi stanziati dal Pnrr per la Sanità (dal 2021 al 2026), raccordare meglio il Governo centrale con le Regioni, sviluppare il digitale e i presidi medici ma senza ledere il rapporto medico/paziente che non può avvenire da remoto, e soprattutto concentrarsi sulla scuola, facendo ruotare le riaperture sui tre assi: trasporti; aerazione; tracciamento.
LE RSA – Il Pnrr, nel prevedere un consistente potenziamento dei servizi domiciliari con l’idea, condivisibile e moralmente ineccepibile, di assistere l’anziano al domicilio in modo di aiutarlo a restare in famiglia, non dice nulla in termini di ammodernamento delle RSA (o strutture residenziali per assistenza sociosanitaria alle persone non autosufficienti), che in Italia sono circa 3400 e ospitano ogni anno circa 290 mila persone. Nonostante le RSA siano meno sviluppate nel Belpaese rispetto al resto d’Europa, e nonostante i decessi nel bimestre marzo/aprile 2020 siano più che raddoppiati in relazione al quinquennio precedente (ovviamente a causa del Covid, e la cronaca ce ne ha fornito ampie testimonianze), a causa del personale insufficiente o poco formato, degli scarsi collegamenti con gli ospedali e della mancanza dei dispositivi di protezione individuale, il Pnrr decide comunque di puntare sull’assistenza domiciliare e non su di loro, come se si trattasse di due realtà contrapposte e non complementari.
In una nazione che invecchia precipitosamente, con un milione di anziani che vive solo o con altri familiari over 65 (senza un adeguato aiuto), le RSA sono indispensabili, soprattutto partendo dal presupposto che mancano i figli che si prendano cura dei propri cari; il decremento vissuto da tali strutture dalla pandemia in poi (-25% di posti letto occupati), mette a rischio il posto di lavoro di quasi 200 mila persone e l’unica strada percorribile sembrerebbe essere quella di una riforma strutturale che aumenti spazi abitativi e ricreativi, garantendo la costante presenza di figure professionali qualificate, implementando ricerca e digitalizzazione, ma anche monitorando l’andamento delle cose in modalità non emergenziale, così da non essere colti di sorpresa da nuove, eventuali, pandemie.
La (sene)scienza è il futuro di questo paese.
REGIONALISMO E ALIMENTAZIONE – Com’è stato riscontrato più volte, uno dei principali problemi del sistema sanitario nazionale (reso ancor più evidente dalla pandemia) è l’inefficacia di una seria medicina del territorio: alcune regioni sono ancora troppo lente nell’organizzare dei percorsi di presa in carico, soprattutto per ciò che concerne i pazienti cronici e gli anziani fragili, ed è bene che tali processi si snelliscano in modo da saper sfruttare congruamente e rapidamente i fondi del Pnrr.
Occorre un servizio sociale strutturato, integrato con la Sanità, in modo che le due assistenze viaggino in parallelo, erogando servizi invece di limitarsi a trasferire denaro; servono enti decentrati forti che cooperino col Governo centrale, il quale non deve limitarsi a svolgere un blando monitoraggio ma anche, qualora non venissero rispettati i diritti dei cittadini, a commissariare la Regioni.
Se la parola chiave per la Sanità è formazione, quella per la salute è educazione: ormai è risaputo che la maggior parte delle patologie croniche non sono dovute a fattori di sfortuna o cattivi geni, e che sono prevenibili con dei corretti stili di vita, sul cui insegnamento pesano ovviamente sia la scuola che la famiglia.
L’incipiente invecchiamento della nostra società e l’aumento di malattie come l’obesità, stanno portando a un raddoppio della spesa sanitaria previsto entro il 2050, e questa crescita di costi incrementa l’inquinamento, visto che il sistema sanitario è responsabile del 3-10% delle emissioni di anidride carbonica e dell’impurità delle falde acquifere, oltre che dei terreni irrigati con acque reflue arricchite in metaboliti dei farmaci assunti da milioni di cittadini.
L’educazione all’esercizio fisico e a una dieta mediterranea bilanciata, possono molto sul piano preventivo (anche nel ridurre il consumo di carne, vista l’incidenza ambientale dell’agricoltura industriale e degli allevamenti intensivi), ma le scuole di ogni ordine e grado se ne occupano troppo poco, forse più preoccupate dal cibo come fenomeno sociale che come cultura alimentare.
Germano Innocenti