Ora di religione (o religioni)?

da | Ago 27, 2021 | SUI BANCHI DI SCUOLA

Anche quest’anno, nel pigro dibattito estivo della politica, alcuni parlamentari (sfruttando l’involontario assist d’un emendamento che consentirebbe ai laureati in Scienze delle Religioni di insegnare lettere nelle scuole pubbliche) hanno ripreso una mozione del 16 aprile 2019, a firma Pd, M5s, Leu, +Europa e Gruppo Misto, che chiedeva l’abolizione dell’ora di religione cattolica a favore di un’ora obbligatoria di educazione civica o di insegnamento laico delle religioni.

Forte è stata la levata di scudi di altri politici del centro-destra, della Cei e dello SNADIL (sindacato degli insegnanti di religione, che ne vanta il 36% circa degli iscritti) che, invocando l’articolo 36 dei Patti Lateranensi del 1929, ma anche l’accordo di revisione del Concordato del 1984, hanno difeso l’ora di religione cattolica proprio nella sua metamorfosi da semplice catechesi a espressione consapevole di cittadinanza cristiana, ma anche come tutela del patrimonio valoriale italiano, che il cattolicesimo ha contribuito a formare (e tutelare).

LIBERA CHIESA IN LIBERO STATO (?)

Partendo dalla sentenza della Corte Costituzionale del 12 aprile 1989 che, in base agli articoli 7, 8, 19, 20 della Costituzione, ribadisce il principio di laicità dello stato, che deve però salvaguardare la libertà di religione in un regime di pluralismo confessionale, la maggiore critica all’Idr (acronimo: insegnamento della religione cattolica) è che sia anacronistico in una società multietnica, dove i credo si moltiplicano e ibridano a velocità vertiginose, e che avrebbe molto più senso un insegnamento delle religioni, i cui libri di testo dovrebbero però essere liberi (e liberati) dall’imprimatur pontificio.

L’immediata replica degli addetti ai lavori è che gli attuali insegnanti di religione già si occupano delle altre fedi e che, in ogni caso, il cattolicesimo è un’indispensabile lente attraverso cui guardare (e capire) tutta la storia dell’arte italiana (che, in un’ottica pre e post rinascimentale, significa storia dell’Arte mondiale) che è storia di committenza della Santa Sede.

Esiste una rispettabile, e laica, tradizione filosofica che avalla e incoraggia l’insegnamento scolastico della religione cattolica, da Gentile che la definiva «Philosophia inferior» al De Sanctis che vedeva nel sentimento religioso il sentimento morale nel suo senso più elevato, ma una delle principali frecce all’arco dei difensori dell’Irc è che l’insegnamento pubblico di ogni religione sia un importante antidoto contro fondamentalismi e derive settarie, per non parlare poi di come l’attuale lezione sia ben lontana dai dogmatismi novecenteschi e si fondi invece sulle più avanzate critiche testuali delle Sacre Scritture.

D’altronde risale alla seconda metà dell’Ottocento la chiusura delle facoltà statali di teologia, il cui sapere secolare si è riversato nelle pontificie facoltà teologiche, a dimostrazione del disinteresse statale, e quindi laico, per la didattica teologica di livello superiore.

La risposta più ortodossa alla critica di molti intellettuali, e cioè che lo studio comparato di altre fedi sia trattato in modo nozionistico, è che ogni credo è esperienziale e che quindi, mentre il Cattolicesimo può essere veicolato in modo dialogico e comunitario, le altre religioni possono essere trasmesse solo in modo cognitivo.

Meno ortodossa e decisamente più empirica è invece la considerazione che per abolire l’ora di religione servirebbe una legge costituzionale, e che una tale cesura toglierebbe lavoro a circa 26 000 docenti in possesso del solo titolo pontificio e non statale.

IDONEITÁ E ALTERNATIVA

Gli Irc sono stati immessi nella scuola statale a seguito di regolare concorso bandito con decreto dirigenziale del 02/02/2004 in attuazione della L. n. 186 del 18 luglio 2003 ma, mentre il 70% di essi entra per titoli, il 30% resta a disposizione della Curia, e in ogni caso nessuno può insegnare senza una certificazione d’idoneità diocesana che, per lo SNADIL e per la Chiesa in generale, sarebbe un’ulteriore qualifica e attributo di merito mentre, per i detrattori, un sigillo (ulteriore) di poca libertà, non solo didattica, che trasforma le Curie in uffici di collocamento.

Il nodo è che un insegnante estremamente preparato nello studio della religione-i, ma che abbia lo stigma di essere ateo o separato, non riceverà mai tale certificazione, al punto che esistono docenti che nascondono il proprio stato civile per poter lavorare.

L’articolo 2 del programma di religione propugna l’insegnamento del Cattolicesimo come «contributo alla formazione della coscienza morale» del discente e futuro cittadino; si tratta di proselitismo operato da suore laiche militanti che vietano la masturbazione mettendo all’indice libri giudicati sconvenienti, o la morale della nostra nazione si fonda anche sui principi-cardine dei Vangeli? La linea di confine è molto sottile e non sarà l’annosa diatriba del crocefisso in aula, battaglia di simboli che in ambito religioso riacquistano valore («gli Dei abitano il simbolo», Guenon), a tracciare la rotta, visto che tra l’altro il laicismo tricolore è ben diverso da quello d’oltralpe, e ce lo insegnano decadi di consociativismo.

Resta l’incontestabile primato culturale di ordini monastici come i Gesuiti e la storica conservazione del Sapere, miniata e serbata nei monasteri, a non liquidare grossolanamente la morale come cosa separata dalla religione, ma qui entreremmo in un dibattito fra paganesimo e tradizione giudaico-cristiana che non ci compete.

Più interessante è invece la questione dell’ora alternativa di religione, buco didattico che può essere riempito con attività di studio, libero o assistito, o che può permettere al discente di uscire due ore prima, con una notevole perdita nel monte orario complessivo annuale.

Premesso che sull’ora alternativa di religione decidono il consiglio dei docenti e il dirigente scolastico, potremmo stilare delle riflessioni finali di possibile raccordo fra le opposte posizioni (fazioni):

  1. Sull’immissione degli insegnanti di religione nella scuola pubblica, andrebbe rivista la sbilanciata proporzione fra il 70% che entrano per titoli e il 30% (troppi) a disposizione della Curia;
  2. Il problema del precariato esiste anche per l’Irc e va assolutamente, e tempestivamente, affrontato;
  3. Se è vero che la formazione cattolica può (e forse deve) contribuire alla costruzione morale di un futuro cittadino, essa non può essere uno sbarramento all’assunzione di un docente preparato, ma ateo o separato;
  4. I testi che parlano anche di altre religioni possono conservare l’imprimatur pontificio ma vanno rivisti e passati al vaglio di autorità competenti, al fine di soddisfare quel requisito di terzietà che è garanzia di pluralismo e dialogo.

Germano Innocenti

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