Parada: la clownerie della disperazione

da | Lug 23, 2021 | MONDOVISIONE

Abile direttore della fotografia e figlio d’arte dell’indimenticato Gillo (cui il film è dedicato), Marco Pontecorvo firma la regia d’una pellicola necessaria e straziante la cui sceneggiatura ha scritto insieme a Roberta Tiraboschi e il cui soggetto è la Bucarest post-comunista del 1992.

Frettolosamente etichettato come didascalico (o ideologico) dalla stessa critica che definisce nostalgico il cinema di Ken Loach, Parada è un’associazione, oltre che un film, che opera tra la Romania e l’Italia (dal ’96 in Romania, dal 2006 in Italia) salvando bambini dalle strade e dalle fogne della capitale rumena, fornendo loro assistenza sanitaria primaria, scolarizzazione, e una famiglia, ma soprattutto una speranza attraverso l’arte sociale più umile di sempre: il circo.

TRAMA – Il clown franco-algerino Miloud Oukili lascia la ragazza e la famiglia parigina per passare due mesi a Bucarest e lì, grazie all’appoggio di un’associazione umanitaria e di una donna, di cui si innamorerà, verrà a contatto con una realtà talmente estrema da convincerlo a fermarsi ben oltre il margine temporale previsto.

Nelle fogne della città, bambini e adolescenti, orfani reali o metaforici del regime di Ceausescu (1919-1989), che dopo aver favorito, anche finanziariamente, la demografia nazionale, anche a causa della difficoltà di adozioni interne e del blocco d’adozioni estere, ha (in)volontariamente partorito un’ipogea corte dei miracoli che vive tra furti e prostituzione, invecchiando precocemente e «soffiando» bronze e diluente in sacchetti di carta che ne consumano i polmoni, ninnandoli in un costante stato allucinatorio.

Miloud, interpretato da un intenso Jalil Lespert, cercherà di sedurli attraverso l’arte circense (in particolar modo il piccolo Cristi, che diverrà il simbolo di Parada) e, dopo aver passato una notte in una delle oscene camerate che i bambini abitano perché riscaldate dai condotti d’acqua calda, inalando il fetore e condividendo le impossibili condizioni sanitarie dei cunicoli, proverà a donare loro una possibilità di redenzione.

RISPETTO – In una delle tante video-interviste che si possono reperire su You Tube relative ai «boskettari» (così si definiscono gli orfani sotterranei di Bucarest) l’intervistatore cerca, drammaticamente, di scoprire quali sogni abbiano questi adolescenti per concludere, esterrefatto, che la parola «sogno» per loro denota solo l’esperienza del dormire. Quella che invece userà Miloud per strapparli alla droga e alla rassegnazione è «rispetto», per sé stessi e per gli altri, ma anche consapevolezza dell’ambiente malsano in cui vivono.

La pellicola è frenetica, i movimenti di macchina nervosi, il faticoso tentativo di preservare l’immaginazione dei bambini dall’incubo di sopraffazione continua che è diventata la loro esistenza, fanno dell’impegno del protagonista qualcosa di sacro al di là delle imperfezioni e persino della critica sociopolitica.

Le autorità sono conniventi, la popolazione spaventata, persino le associazioni umanitarie guardano con sospetto il fragile e immenso progetto del clown che vuole realizzare spettacoli di strada coi piccoli criminali di Ceausescu, poiché egli non vuole che la loro elemosina si evolva in assistenzialismo di Stato, ma che una dignità istintiva si risvegli creando una coscienza civile attraverso la possibilità della gioia.

Naso rosso e trampoli contro abusi e aborti, un parco ripulito e perimetrato per imparare a diventare acrobati contro quelli, fra loro, che per interesse o cinismo scelgono l’immobilismo: quando il piccolo Cristi, dopo essersi perso, vince le vertigini e issandosi sulla piramide umana di fratelli si erige a puntale di quest’impossibile abete di fronte a uno sparuto gruppo di spettatori plaudenti, l’opera da tre soldi di Miloud si compirà al di là di ogni retorica.

PARADA – Coagulata attorno alla carismatica figura d’un clown che forse, in quanto artista di strada, condivide qualcosa del loro spirito erratico, la Parada di Miloud-Pontecorvo è un’associazione tutt’ora funzionante (e operante) grazie al lavoro di volontari e alle donazioni di privati e Enti, poiché le macerie (non solo ideologiche) del Comunismo non sono state rimosse e si riproducono (basta guardare la disperazione ricorsiva del popolo cubano) mentre gli «amori tossici», parafrasando Caligari, continuano a sorgere sopra e sotto le città, sempre più indifferenti alle proprie periferie neorealiste o province meccaniche.

Degli ultimi non se ne occupa più nessuno, a meno che non flirtino con la patinatissima Gomorra criminale, ed è per questo che l’opera vivente di Miloud Oukili si edifica come uno sgargiante carnevale su un’angoscia che si rinnova insieme all’idiozia burocratica e all’indifferenza civile che si interessa alle politiche giovanili e mai ai giovani.

Qualche anno fa il Pennywise di «It» ritornava cinematograficamente nelle fogne di Derry per terrorizzare il mondo ma nel 2008 quello di Pontecorvo ha compiuto l’operazione contraria, salvando il club dei perdenti di Bucarest da un Male più che tangibile.
E senza palloncini.

Germano Innocenti

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