Risale al 1989 l’uscita di questa vera e propria pietra miliare della cinematografia anglosassone, diretta dal maestro australiano Peter Weir («The Truman Show»; «Picnic a Hanging Rock» …) e sceneggiata da Tom Schulman, che ci vinse l’Oscar; e di muri in effetti il professor Keating ne buttò giù parecchi, sia a livello didattico che meta-cinematografico, consacrando l’istrionico talento di Robin Williams e lanciando un giovanissimo Ethan Hawke, ma anche illustrando un metodo d’insegnamento che, nell’anno della caduta degli «ismi» per definizione, celebrava l’individualismo a scapito di ogni forma d’ideologia.
TRAMA – Nell’austero College maschile di Weston, situato nel Vermont del 1959, approda come un alieno il professor John Keating che rivoluzionerà la vita di sette ragazzi in particolare, invitandoli al carpe diem oraziano e infettandoli con la passione della poesia (emblematica diverrà l’«Oh Capitano! Mio Capitano!», verso d’una poesia di Whitman dedicato a Lincoln); questi rifonderanno la «Setta dei Poeti Estinti», di cui era membro lo stesso professore da giovane, immolando all’alcol e al lirismo dei veri e propri incontri clandestini.
In particolare uno di loro (Neil Perry) deciderà di dedicarsi alla recitazione, nonostante il parere negativo del padre e, dopo aver strappato la benedizione del suo mentore, si esibirà trionfalmente di fronte ai propri amici ma il genitore (presente-assente) lo ritirerà dal College per destinarlo all’Accademia Militare, mentre nel frattempo il rettore, scoperti i rendez-vous notturni della Setta, costringerà, pena l’espulsione, sei studenti su sette a firmare un documento che allontanerà il professor Keating dalla scuola, addossandogli indirettamente (e ingiustamente) la colpa del tragico epilogo attoriale di Neil.
Ma sul finale i membri della Setta dei Poeti Estinti dimostreranno al loro Capitano di aver ben appreso la lezione, e cioè che la vita è un continuo cambio di prospettiva.
UN CLASSICO – Rivedere «L’attimo Fuggente» da adulti significa fare i conti con una pellicola che è stata citata, saccheggiata e parodiata con un tale rispetto filologico da diventare un paradigma, ma significa anche confrontarsi col suicidio di Robin Williams e con una trama tutt’altro che inattaccabile, intrisa di sentimentalismi e di ingenuità davvero imbarazzanti; eppure, a dispetto di questo e nonostante la prestazione maiuscola di Williams/Keating, che salva ma anche oscura l’opera, la creatura di Weir funziona in quanto nata per diventare un classico.
Dalla parabola morale priva di chiaroscuri ai personaggi appena accennati, dalla suddivisione manichea fra Autorità Didattica e Resilienza Adolescenziale, fino al drammatico sacrificio del poeta, il simbolico divora ogni psicologismo e la storia (patinata e perfettamente condivisibile, come ogni cliché) si chiude come il lascito testamentario d’una generazione. Tutto sembra immobile in quest’affresco corale quasi vittoriano, e la fotografia romantica di John Seale (sarà Oscar nel ’97 per «Il Paziente Inglese») schiaccia con iconica chiarezza la claustrofobica verità del film: dobbiamo difendere da ogni conformismo l’inalienabile individualità che ci rende unici.
L’ATTIMO FUGGENTE (RIVISTO) – «Skippate l’introduzione», direbbe oggi il professor Keating dallo schermo d’un pc, ma in un’era fatta unicamente di cambi di prospettiva, e vertiginosi, l’invito a salire sui banchi di scuola non sembrerebbe solo anacronistico ma patetico, visto che la scuola e più in generale il mondo (ormai cubo di Rubik del marketing), vira verso l’individualismo più sfrenato. E fittizio.
«In una società in cui si può fare tutto si finisce col non fare più niente», scriveva Pasolini parlando del conformismo di massa e quindi l’urlo, il barbarico Yawp suggerito ai ragazzi da J.K. (stesse iniziali del presidente americano più amato di sempre e di John Keats, il poeta romantico per definizione, e qui la semplificazione è quasi disneyana) diviene seriale se non reazionario.
Resta la poesia, quella sì una vera resilienza alla continua aggressione (informatica e informativa) cui siamo soggetti, resta la possibilità di usare il linguaggio in modo disfunzionale e inutile, quindi bellissimo, resta la scelta di non scegliere e di non farsi colonizzare, di sottrarsi insomma anche alla facile seduzione del carpe diem, che si tradurrebbe oggi in intrattenimento e consunzione, più che consumo.
Addio professor Williams/Keating! Addio Oh mio Capitano! In questa triste epoca di capitani (poco) coraggiosi e molto popolari, anzi populisti.
Germano Innocenti