I due lati di un’aula: la classe – Entre les murs, di Laurent Cantet

da | Giu 5, 2021 | MONDOVISIONE

Vincitore della Palma D’oro a Cannes nel 2008, La classe – Entre les murs, è un film diretto e ideato da Laurent Cantet. Soffermandosi sulla genesi della pellicola è facile comprendere come si tratti di un progetto molto più ambizioso di un semplice film: il regista si è ispirato infatti all’omonimo romanzo di François Bégaudeau, autentico insegnante di lettere e protagonista della pellicola. Gli attori, non professionisti, sono dei semplici ragazzi selezionati nel xx arrondissement di Parigi (realtà periferica) e i genitori degli studenti i veri protagonisti del film. Lo stile è improntato al realismo, come si percepisce anche dalla resa delle scene sullo schermo. L’intento dell’opera non è quello di raccontare la storia di un singolo personaggio né quello di denunciare la situazione delle scuole francesi, provando a offrire soluzioni. Si cerca piuttosto di raffigurare in maniera verosimile la realtà di una qualsiasi scuola della periferia francese. Ed è proprio dagli interpreti di tale dimensione che inizieremo la nostra analisi: la differenza tra alunni e professori.

GUARDARE LA CLASSE DAI BANCHI – Sin da subito siamo proiettati in una dicotomia, il mondo degli studenti e quello dei professori, che difficilmente riescono a dialogare e a comprendersi fino in fondo, qualora ce ne sia un’effettiva voglia. Le prime scene ci mostrano studenti di terza media (in Francia sono quattro le classi delle medie) intenti a usare il telefono durante le lezioni e ad esprimersi con un linguaggio poco consono e scurrile. La prima sensazione che la pellicola trasmette è quella di ragazzi disinteressati e non scolarizzati, al punto che nemmeno la lettura di Anna Frank sembra coinvolgerli emotivamente.  Le scene successive, però, ci invitano a un cambio di prospettiva: di fronte all’utilizzo di nomi comuni, da bianchi e ricchi, della cultura francese, le ragazze chiederanno perché il professore non utilizzi per fare degli esempi nomi (come Rashid) più vicini al carattere multietnico della classe; durante la lezione sul congiuntivo imperfetto si rimarcherà invece l’obsolescenza di una coniugazione lontana dalla vita di tutti i giorni. Si sancisce così il confine tra due mondi, che il professore di lettere sembra l’unico a voler abbattere, ma anche la stratificazione dell’universo dei ragazzi: il dibattito tra studenti originari dell’Africa, che rivendicano con orgoglio la propria appartenenza, e gli antillani francesi, dimostra come anche tra coetanei sia difficile a volte trovare dei punti d’incontro.

LA PROSPETTIVA DALLA CATTEDRA – Fatta eccezione per il professore di lettere, sul quale ci soffermeremo a breve, il corpo docente non sembra voler comprendere le istanze degli studenti né aver voglia di entrare in empatia con loro. In sala professori l’insegnante di tecnica dirà: «restate lì nei vostri quartieri di merda», oppure: «le ragazze sembrano in calore e i ragazzi fanno versi». Il tono è decisamente sanzionatorio, come l’idea partorita dal consiglio di classe di un sistema a punti che punisca ogni irregolarità. La componente genitoriale sottolineerà al contrario la validità di un sistema premiante, teso a valorizzare il merito. Lo stesso professore di lettere sottolineerà come la rigidità della sanzione sia da sostituire con delle forme più flessibili e adattabili.

UN TENTATIVO DI INCONTRO TRA I DUE MONDI: IL PROFESSORE DI LETTERE – Figura centrale del film, il professor François Bégaudeau, ben rappresenta la difficile conciliazione delle due istanze, che passa per momenti di scontro e di incomprensione, in quanto non sempre l’intenzione basta a arginare le differenze tra due mondi spesso divergenti. Non è difficile percepire come il docente cerchi con frasi del tipo: «siete incapaci di riflettere su una cosa per più di 30 secondi», oppure: «va bene lasciarvi come siete, ma così non farete mai niente», di spronare i ragazzi a dare il meglio di sé, ma non sempre gli studenti sembrano in grado di cogliere gli intenti del professore. Ad emergere prepotentemente è il cinismo della classe che, di fronte all’interesse mostrato per le idee di ognuno (da scrivere in autoritratti), denuncerà non solo la scarsa passionalità della propria esistenza, ma anche la poca fiducia verso un’intenzione di fatto solo strumentale.

IL COINVOLGIMENTO EMOTIVO – Ciò che è certo è che per la prima volta i ragazzi inizieranno a sentirsi ascoltati: scopriremo così che c’è chi soffre perché si sente differente dagli altri, chi si sente a disagio per il proprio fisico, chi non vuole mangiare al tavolo con la madre del compagno per rispetto della donna, chi (cinese) sente di non essere in grado di farsi capire, nascondendosi nel mondo dei videogiochi, chi si veste da emo per non omologarsi al resto della classe. Uno degli alunni più problematici, Souleymane, mostrerà un totale disinteresse per le attività scolari ma il professore sarà abile a valorizzarne la passione per la fotografia, permettendogli di acquisire maggiore fiducia in sé. Sarà proprio questo studente, però, il protagonista di una delle scene centrali del film. 

PROCESSO ALLE INTENZIONI – Souleymane diventa, suo malgrado, il fulcro della vicenda più emblematica del film: durante un consiglio di classe il professore di lettere, nel tentativo di dissimulare le mancanze del ragazzo, dirà ai colleghi che non si può pretendere molto da lui in quanto limitato. Quando le rappresentanti di classe riporteranno l’accaduto allo studente questi si chiuderà in un silenzio esplicativo, in quanto ferito e deluso dalle parole dello stesso educatore che aveva mostrato un’apertura verso di lui. Furioso per l’atteggiamento divisivo delle ragazze, l’insegnante di lettere le redarguirà invece durante il consiglio di classe per il loro «atteggiamento da sgallettate» suscitando l’ira di Souleymane che, in un crescendo di rabbia, sbatterà i libri per terra strattonando il professore e dando la cartella in faccia a una compagna di classe (ferendola) per poi uscire, senza permesso, dall’aula. Il conseguente consiglio disciplinare, che il professore cercherà inutilmente di evitare per paura di un’espulsione e di un suo eventuale rimpatrio dimostrerà, insieme al dialogo che il professore avrà fuori dalla classe con gli studenti, come anche le migliori intenzioni, all’interno di un edificio scolastico, possano essere disinnescate dalla dicotomia Noi/Loro.  

RIFLESSIONI FINALI – non ci sono sentenze categoriche in questo film, che punta più a osservare che a giudicare. Emblematica è in tal senso la scena finale: l’ultimo giorno di scuola alunni e professori giocano una partita di calcio mentre la telecamera indugia sui banchi vuoti della classe. Usando un gergo sportivo, sembrano essere per la prima volta una vera squadra, anche se posti l’uno contro l’altro. Forse è proprio questo spirito (presente nel professore di lettere) la fiamma che può permettere agli studenti di raggiungere il successo formativo: ricordare che si è tutti dalla stessa parte. Solo in questo modo sarà possibile sfuggire ai pregiudizi e mettere sullo stesso piano una studentessa che abbia letto La Repubblica di Platone e un’altra che confessi di non aver compreso nulla durante l’intero anno scolastico.

Giuseppe Marino

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