Mondovisione-Anna, il palindromo distopico di Niccolò Ammaniti

da | Mag 22, 2021 | MONDOVISIONE

Dopo la miniserie «Il Miracolo» (sempre targata Sky) «Anna» è la seconda volta di Niccolò Ammaniti in cabina di regia, solo che stavolta non è coadiuvato da nessuno nel trasporre il suo omonimo libro del 2015; in fase di scrittura si avvale della collaborazione di Francesca Manieri ma per il resto, soggetto e coproduzione sono suoi e la creatura che ne fuoriesce, per chi conosce l’immaginario ipertrofico e disturbante dello scrittore, è perfettamente coerente col suo stile.

PANDEMIA E PREVEGGENZA«La mamma alla fine odiava Palermo perché i palermitani non volevano restare in quarantena», si legge sul romanzo che ha ispirato la serie e l’inquietante capacità divinatoria di queste parole si riflette anche nelle immagini di una Sicilia devastata da un morbo che ne decima gli adulti lasciando in vita i bambini fino alla pubertà. La scelta dei minori (che ha una lunga tradizione, da «Il Signore delle Mosche» a «Grano rosso Sangue») consente ad Ammaniti di inscenare una sorta di giocattolo distopico che segue una strada diversa rispetto all’originale, unendo a un accurato lavoro scenografico delle prove recitative davvero efficaci.
Anna vive col fratellino Astor nel podere del gelso, un villino di campagna dove custodisce i resti di sua madre e da cui si allontana solo per fare provviste; per proteggere Astor ha perimetrato la casa raccontandogli di fantomatici mostri di fumo che vivono al di fuori del confine ma un giorno un evento inatteso strapperà il bambino alla sua seconda madre e Anna dovrà affrontare un viaggio delirante per riunirsi a lui.
Tutto in «Anna» è il racconto di formazione di un limite: quello inventato per tutelare Astor, che ricorda il tabù del colore rosso in «The Village», quello della pubertà che equivale alla morte, quello dell’isola che dovrà essere abbandonata per vedere se «sul continente» alberghi la speranza di un antidoto.

 

IL QUADERNO DELLE COSE IMPORTANTIPoco prima di morire la madre di Anna (una bravissima Elena Lietti) scriverà «Il Quaderno delle cose importanti» cercando, mentre la febbre monta, di trasmettere ai propri figli l’essenziale per rimanere in vita, e intimando alla bambina d’insegnare a leggere al fratellino. Dettaglio non banale visto che, col passare degli anni e la fine globale del mondo degli adulti, la parola scritta e l’intero patrimonio culturale dell’umanità potrebbero andare persi.
In un passaggio illuminante del romanzo Anna capirà di dover proseguire il lavoro materno in modo da arricchire il bagaglio di informazioni da tramandare ad Astor, dalla salvifica etichetta farmaceutica allo schiudersi della letteratura.

 

IL MONDO ALLA FINE DEL MONDO Ammaniti si è ispirato al libro di uno scienziato che ha immaginato cosa accadrebbe alle nostre città se scomparissimo di colpo e se questo da un lato accentua il lato decadente della narrazione, sul piano registico diviene una vera e propria sfida: la seicentesca villa di Bagheria decorata d’ossa su cui aleggia un enorme fantoccio, le strade infestate d’erba e i tunnel con le carcasse d’auto, ma soprattutto l’Etna divenuto una sorta di feudo su cui regna l’allucinata e ambigua figura del pirata Nucci.
E poi ancora il teatro dei pupi e i riti di passaggio dei «Blu» che inaugurano una sorta di primitivo infantile, un po’ «Apocalypto» un po’ «Il Villaggio dei Dannati»; abbandonati a sé stessi i bambini rientrano nel crudele immaginario dei fratelli Grimm dove la paura è mitopoiesi e non sublimazione disneyana. Ma il Male, perfettamente incarnato da Angelica (una folgorante Clara Tramontano in pizzo matrimoniale e scheletrite teste d’uccello), non risiede nella pandemia ma la precede perché insito in ognuno di noi, specialmente nei bambini la cui morale rozzamente intagliata nel feticcio bifronte dello stupore e dell’orrore, non si pone il problema di ricreare una società illuminata (o il suo contrario) come ne «L’Ombra dello Scorpione» di Stephen King, ma solo di sopravvivere.

 

LA LETTERATURA MINORE E IL PULP A rendere eccellente la miniserie di Ammaniti sono i gregari e le invenzioni visive, testimonianze di un talento di genere che a differenza del già citato e indiscusso maestro dell’horror contemporaneo, riesce perfettamente ad esprimersi anche con la macchina da presa, al punto che l’Anna-film si scinde dall’Anna-romanzo trovando una sua coerente via parallela.
Pietro, che ama Anna e l’accompagna fin quando può, convinto dallo zio acquisito che con un paio di buste si possano filtrare le anime dei morti fino al punto in cui, riunite sull’Etna, ascenderanno in cielo; la «Picciridduna», unica adulta rimasta in vita grazie al proprio ermafroditismo diventando una sorta di sacerdotessa da venerare e che forse solo morendo potrà salvare i bambini; i macabri riti di conservazione del corpo materno, a metà fra i teschi decorati della Santa Muerte messicana e l’(in)volontaria parodia di quello tempestato di diamanti di Damien Hirst, l’immaginario pulp di Ammaniti si distende come un arazzo insanguinato consegnandoci alcune delle scene più perturbanti mai girate con dei minorenni, come l’amputazione d’un arto, la progressiva decomposizione d’un corpo (eccellenza nostrana del make-up) e la prigionia della protagonista nel seminterrato d’un supermercato, appesa a un gancio come carne da frollare o chiusa in gabbia come un cane.

IL MONDO SALVATO DAI RAGAZZINI Fra lampi di tenerezza e atrocità sarà la speranza a guidare i passi della tenace Giulia Dragotto, lesta ad accorciare il countdown della pubertà verso il canale di Messina da coprire con un iconico pedalò (stracult!), la stessa speranza cui la esorta sua madre nel quaderno delle cose importanti e che la spingerà a insegnare a leggere ad Astor, mentre tutto intorno la morte estende il suo dominio sulle menti devastate dei bambini.
In un capitolo del libro ci si riunisce quasi meccanicamente in una scuola, allo stesso modo il piccolo Astor indossa gli abiti di sua madre per sentire ancora addosso il calore di un mondo ormai estinto: la parola è la chiave per un possibile futuro perché recupera il passato e ipnotizza la crudeltà inaugurando un nuovo inizio: in principio era il Verbo …

 

Germano Innocenti

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