Conversando amabilmente con Rita, insegnante e vicepreside di origine italiana ma ormai operativa in Inghilterra da molti anni, dopo una panoramica sul sistema-scuola britannico, ci siamo concentrati sui discenti con disabilità e bisogni educativi speciali (SEND), più o meno corrispondenti ai nostri DSA, e dopo aver visto che nelle loro casistiche più gravi essi hanno diritto a un’assistenza fino ai 25 anni e a delle scuole speciali, abbiamo appreso che esiste un percorso alternativo (anche etimologicamente): la Alternative Provisions.
Cosa sono le Alternative Provisions Rita?
Le A.P. nascono sotto John Major nel 1993 e vengono inizialmente chiamate «Pupil Referral Units». Si tratta di scuole minute con aule di 4-6 alunni massimo, create come soluzioni temporanee per ragazzi impossibilitati a frequentare la scuola secondaria «normale» per motivi di salute, perché in attesa di essere collocati in altre scuole, o perché espulsi dalla loro per comportamenti non idonei. Nel 2011 l’Ofsted (l’Ente del Ministero che si occupa di ispezionare la qualità delle scuole) fa notare che in questa tipologia di istituti i ragazzi non raggiungono gli obiettivi educativi prefissati e ne cambia lo statuto affinché nelle Alternative Provisions: «[gli studenti] raggiungano tutto quello di cui sono capaci».
Si, ma come funzionano in concreto?
Oltre ai ragazzi con SEND che non finiscono alle Scuole Speciali, la Alternative Provisions ospitano, e stiamo parlando dell’80% del totale, ragazzi provenienti da famiglie svantaggiate, con problemi di droga o sussistenza, oppure discriminati per razza, e non mi sto riferendo agli indiani che sono in Inghilterra da molte generazioni e che oltre ad essere perfettamente integrati svolgono occupazioni più che dignitose, ma ai «Black Caribbean» (afroamericani) che soprattutto a Londra fanno parte di una classe svantaggiata con lavori malpagati e sono facili prede della malavita organizzata.
Il viatico per le A.P. funziona così: un ragazzo problematico approda alle scuole secondarie e inizia a piantare grane. Ci sono due possibilità:
- Dopo una serie di sospensioni temporanee arriva quella permanente. A quel punto se ne occupa la Regione che cerca un’altra scuola più’ idonea a garantire al ragazzo un supporto adeguato per i bisogni generati dalle patologie di SEND. Le scuole secondarie sono tenute sotto stretto controllo dal Ministero dell’Istruzione che monitora quante sospensioni sono avvenute nell’anno scolastico, assicurandosi che il loro numero non sia ingiustificatamente alto;
- La scuola secondaria che non può provvedere agli studenti che rientrano nella categoria SEND, finanziata da Stato e Regioni, paga un’Alternative Provision che li educhi fino al raggiungimento dei diplomi.
Com’è strutturato il lavoro dentro le A.P.?
Inizialmente l’offerta formativa era ridotta al 5% contro un 95% di attività rieducativa. Oggi le percentuali si sono rovesciate e si stanno istituendo delle A.P. anche per le scuole primarie. Esiste poi il «turn around» e cioè il caso di discenti che arrivano a 12-13 anni, fanno qualche mese da noi, e poi tornano alle normali scuole secondarie. Naturalmente il turn around è più difficile per chi ha 15-16 anni, in quanto ha già iniziato uno specifico percorso formativo.
Puoi raccontarci di qualche ragazzo o ragazza che ti ha particolarmente colpito?
Si, una ragazza entrata in A.P. a 12 anni, appena uscita dalla scuola primaria e proveniente da una famiglia che combatteva con problemi di droga, depressione e violenza domestica. Non parlava con nessuno, aveva episodi di collera in cui distruggeva quasi tutto quello che aveva a tiro. Voleva bene solo ai suoi animali, anche quelli che per noi sono insignificanti. Dopo 5 anni di duro lavoro a 360 gradi è uscita con cinque diplomi e ora fa la biologa marina. È uno dei tanti esempi di ragazzi respinti dalle istituzioni che avrebbero dovuto accoglierli e che finiscono col respingere chiunque, ma se il docente guadagna la loro fiducia può condurli a grandi risultati.
Le A.P. sono una risorsa o la testimonianza di un fallimento sistemico?
Le A.P. esistono perché in Inghilterra, così come in altre parti d’Europa, i fondi sono stati tagliati ma anche perché qualcuno non ha svolto correttamente il proprio lavoro, per non parlare delle classi pollaio da 30 alunni in cui è impossibile insegnare, figurarsi educare. Ma, al di là di disagi e violenze, questa tipologia di struttura esisterebbe comunque e non solo perché le normali scuole secondarie non hanno funzionato. La maggior parte dei ragazzi che frequentano le alternative provisions, non riesce ad essere seguita normalmente in ambienti troppo grandi dove non c’è tempo per ascoltare il loro punto di vista né di capire le ragioni per comportamenti così facili da etichettare come «misbehaviour» (malcomportamento).
Tu sei stata studentessa e insegnante anche in Italia. Quali sono le differenze intuitive fra i due sistemi scolastici?
Innanzitutto le risorse. In Inghilterra tutte le scuole ti passano Lim e libri, in Italia, soprattutto al Sud, non solo devi comprare i testi ma a volte anche la cancelleria. In più il sistema britannico non prevede bocciature e, soprattutto alla scuola primaria, nessuno alza la voce in quanto vige il «rinforzo del comportamento» e cioè il primato del vantaggio se fai bene sulla sanzione se sbagli.
Vogliamo lasciarci con una considerazione finale?
La domanda-chiave è: «come si fa ad insegnare agli unteachables?», agli studenti con cui la scuola normale ha fallito? La risposta è: classi più piccole, risorse differenziate (carta colorata per dislessici, attività dinamiche in classe, gestione del comportamento con approccio specifico in base alle disabilità e differenze).
Non dobbiamo dimenticare che questi ragazzi sono finiti da noi perché a un certo punto della loro vita, e percorso di studi, hanno avuto delle esperienze emotive che hanno faticato a processare. Il nostro lavoro è quello di aiutarli ad affrontare tali difficoltà e al tempo stesso educarli.
Grazie mille Rita!!
A voi!
Germano Innocenti