L’acronimo F.O.M.O. (Fear of Missing Out), letteralmente «paura di essere tagliati fuori», descrive l’ansia relativa ai social network di restare sempre connessi e non perdere le opportunità di condivisione, monitorando ossessivamente ciò che pubblicano i nostri contatti, per rimanere costantemente aggiornati e soddisfare l’intimo senso di autodeterminazione che spesso porta a una dipendenza psicologica dagli smartphone o alla depressione.
DEFINIZIONE– Il primo a dare una definizione della FOMO è stato lo scienziato sociale Andrew Przbylski, dell’Università di Oxford, che insieme ai ricercatori dell’Università della California, di Rochester e di Essex, l’ha così descritta: «la forza che guida l’uso dei social media» (2013).
In un’analisi a tutto campo lo scienziato sociale ha rilevato che la FOMO è più alta negli adolescenti di sesso maschile e in particolare in quelli che utilizzano i social media anche a scuola; tale sindrome è inversamente proporzionale alla propria considerazione sociale e direttamente proporzionale sia alla compulsività da Rete che alla distrazione.
PATOLOGIA – Secondo uno studio (Kleiner Perkins Caufield & Byer’s) del 2013 un utente medio guarda il proprio smartphone circa 150 volte al giorno, e cioè una volta ogni sei minuti, e se è vero che la FOMO esisteva già prima dell’invenzione dei social media nell’ottica della teoria dell’autodeterminazione, è altrettanto vero che questi ultimi ne hanno innalzato la pericolosità sociale trasformandola in vera e propria patologia.
Particolarmente negli Stati Uniti, i primi ad innovare in campo digitale ma anche i primi a svilupparne gli effetti patogeni, la FOMO crea problemi di stress e insonnia, si acuisce la sera e nei week end, e spesso instaura un perenne senso di insoddisfazione che porta il soggetto ad oscillare fra le mille opportunità offerte dalla Rete, finendo per scegliere quella meno allettante o non scegliendo affatto.
Una sorta di asino di Buridano 2.0. *
DA FOMO A JOMO – Stretta parente del «phubbing», termine coniato nel 2016 che intuitivamente illustra la tendenza a ignorare un interlocutore per sbirciare il proprio smartphone, la FOMO può essere invertita in JOMO (Joy of Missing Out) trasformando l’ansia di esclusione sociale in occasione di meditazione ed esercizio di autocontrollo.
Alti livelli di FOMO o di «PIU» (Problematic Internet Use) sono correlati, oltre a depressione e ansia, anche a iperattività, deficit d’attenzione, calo di rendimento nello studio o vero e proprio abbandono scolastico.
Alcune considerazioni:
- Ogni social media ha la sua peculiarità e si è rilevato, senza alcuna demonizzazione dello strumento ovviamente, che la FOMO è particolarmente elevata in chi utilizza Instagram, forse perché si tratta di una app che circoscrive un orizzonte visuale non strettamente connesso alla parola;
- L’infinita serie di opportunità, reali e virtuali, che la Rete offre può diventare, per chi soffre di FOMO (soprattutto se nativo digitale e quindi non abituato a concepire internet come supporto ma come ratio essendi) uno sterile elenco di occasioni perse che gli impedisce di godere appieno di ciò che ha scelto, sminuendo la propria capacità decisionale;
- Secondo il modello dell’autodeterminazione (SDT), teoria concernente la motivazione, la salute psicologica deve soddisfare la competenza, l’autonomia e l’affiliazione sociale: in quest’ottica la FOMO può essere definita come un deficit di autonomia che mina la competenza a causa di un (presunto) gap d’affiliazione sociale.
Trattandosi di una sindrome che riguarda in maggior misura gli adolescenti, un attento monitoraggio della famiglia e un uso regolato degli smartphone possono essere un primo passo, ma se è già subentrata una cronicizzazione allora occorre un tempestivo aiuto terapeutico.
*L’asino di Buridano (o «paradosso dell’asino») è una metafora attribuita all’omonimo filosofo del Trecento, anche se nei suoi scritti non ve n’è traccia, e racconta del povero equino che (affamato e assetato) trovandosi ad eguale distanza fra due mucchi di fieno e secchi d’acqua, morì di fame e sete per l’indecisione.
Germano Innocenti