Tony Kaye, il regista inglese incensato per «American History X», conduce il kafkiano Adrien Brody all’interno di un liceo di provincia cucendogli addosso i panni d’un controverso supplente di letteratura che migra di scuola in scuola cercando di salvare quel che resta dell’istruzione americana dalle logiche di mercato, dal crimine che ne permea i corridoi fino all’indifferenza di ragazzi sempre più privi di prospettive.
Al suo fianco un coro di docenti che declina l’inevitabile caduta in differenti modi: un falstaffiano James Caan che disarma con ironia la volgarità dei bulli (in una memorabile scena ricostruirà un passo del Cyrano de Bergerac sull’offesa di uno studente); la psicologa Lucy Liu che tenta di combattere l’indifferenza con l’empatia; un uomo con un matrimonio fallito alle spalle che pensa di essere diventato invisibile e una preside (Marcia Gay Harden) che sarà destituita perché incapace di arruolare il giusto numero di nuovi studenti.
IL DISTACCO – Il film inizia con una citazione di Albert Camus e finisce con la lettura de «Il crollo della casa Usher» di Edgar Allan Poe poiché, come sostiene il professor Barthes, la lettura è l’unico scudo contro l’omologazione e l’orwelliano dominio delle menti che lavora alacremente per distruggere il principio di identificazione dei ragazzi.
Brody-Barthes ha subìto un tremendo trauma infantile e non ha mai avuto una guida nella complessità della vita così ha eretto un muro fra sé e il mondo, che è diventato un muro fra sé e il libero fluire dei propri sentimenti. È attraverso questo distacco che riesce a istituire un rapporto di fiducia coi suoi studenti che non si limiti alla semplice complicità ma che permetta loro di proiettare in lui quell’autorità che non trovano nei genitori, e che sono abituati a deridere ormai ovunque.
«Il Distacco» è un film giocato sull’ambivalenza semantica: la trasparenza del protagonista gli permette di mostrare sé stesso senza filtri ma anche di lasciarsi attraversare senza farsi prendere. Il suo distacco diviene un’ancora di salvezza ma anche l’unità di misura di una distanza incolmabile. L’ambivalenza si estende al corpo docente, inerme come e forse più dei ragazzi che dovrebbe orientare, al punto che questi ultimi non sono più dei «gladiatori disperati» affamati di consenso, come li definiva Pasolini, ma semplici ombre.
MEREDITH E ERICA – L’incontro con una prostituta bambina che cercherà di salvare fino a consegnarla ai servizi sociali e l’attenzione data a una studentessa bullizzata ma dotata d’un enorme talento artistico sembreranno aprire una falla nel muro edificato da Barthes, ma il mese di supplenza è ormai finito e la salvezza un obiettivo al di sopra delle sue forze. Resta la scuola, mai così vuota e impregnata di tenerezza, come un santuario destituito della funzione primaria i cui simboli decaduti inducono al pianto o al ricordo d’un passato ormai cancellato.
(D)ISTRUZIONE – I disegni infantili che accompagnano lo svolgersi della trama e lo stile mocumentary con la finta intervista e la voce fuoricampo trasformano questa pellicola in un’indagine esistenzialista sul ruolo dell’educatore nel nuovo millennio, sull’enormità del compito che gli compete; Brody non è il supplente di un professore ordinario ma di intere categorie dimissionarie: i genitori che disertano le aule se non per inveire contro gli incolpevoli insegnanti, i servizi sociali, e soprattutto lo Stato che vuole gestire l’istruzione pubblica come un’azienda incubando, volontariamente o involontariamente, focolai di rabbia sociale destinati a deflagrare nelle strade.
Restano gli eroi e i praticati del nichilismo attivo che vanno avanti nonostante l’assenza di futuro ma la crepa sistemica si divarica ogni giorno di più come quella della casa Usher: la solitudine dietro la cattedra riflette quella di fronte ad essa e non restano che le parole per arginare la caduta.
Germano Innocenti