Promossa dal MIUR insieme ad altri strumenti digitali nell’ottica del Piano Nazionale Scuola Digitale, la “gamification” è una tecnologia immersiva che tramite specifiche piattaforme (ad esempio «Kahoots») sviluppa l’apprendimento attraverso il gioco, nelle sue mille declinazioni: living rooms, quiz a risposta multipla, learning game come metro di un’unità didattica o come verifica finale, a volte costruita da uno studente per un altro studente.
La «gamification» non va confusa con il «game based learning» poiché quest’ultimo sviluppa l’apprendimento attraverso i videogiochi in senso stretto, mentre la gamification riproduce le dinamiche dei videogiochi ma non deve necessariamente servirsene; un altro errore molto comune è quello di pensare che tale pratica trasformi la didattica in un gioco, laddove si limita ad usare gli strumenti del gioco nella didattica.
Siamo quindi di fronte a un problema morfologico e non ontologico.
GENESI E SVILUPPO – Il termine «gamification» fu coniato per la prima volta nel 2002 dallo sviluppatore Nick Pelling nell’ottica di una start up di pubblicità in game, mentre nel 2008 Bret Terrill (Senior Director Corporate di una società di gaming company, la Zynga) la definì: «prendere le meccaniche dei giochi ed applicarle ad altre proprietà del web per aumentare l’engagement».
Dal 2010 la gamification è una metodologia didattica accolta e apprezzata in tutto il mondo e si fonda sull’uso del «game design» in contesti non strettamente ludici come l’educazione, il marketing, la salute, la politica e via dicendo; trasferire gli obiettivi educativi in sfide sul modello dei videogiochi, quindi con visibilità dei grafici delle prestazioni, conferimenti di badge di crescita, escape room e ricompense, può aumentare (lo dicono autorevoli studi), attraverso la competitività, la percezione dell’importanza e della significatività del compito.
In uno di questi studi si è dimostrato che fra i militari di ritorno dall’Afghanistan quelli che giocavano tra le tre e le quattro ore al giorno alla Playstation, avevano meno probabilità di soffrire di nevrosi post-traumatiche, di commettere violenze domestiche o di tentare il suicidio.
APPROFONDIMENTO – L’utilizzo del gioco come chiave d’accesso all’apprendimento fu teorizzata anche dallo psicologo Csikszentmihaly che parlava di «flow experience» nel senso di rapimento o totale assorbimento quando:
- L’obiettivo da raggiungere è chiaro, possibile da completare e controllabile;
- Ha un feedback immediato;
- Ha un climax ascendente che seduce gli studenti;
- Non registra un gape troppo elevato fra lo scopo e le reali possibilità degli partecipanti.
Riprodurre analogicamente le meccaniche del gioco per supportare l’apprendimento senza ricorrere al digitale è il mantra della ludo-didattica il cui padre ispiratore è di sicuro il grande umanista Piaget, ma anche nel modello 70:20:10, elaborato nella seconda metà degli anni Ottanta e definito nei Novanta, la parte esperienziale, o di apprendimento informale, totalizza il 70% della conoscenza acquisita rispetto al 20% dell’interazione e al 10% dell’apprendimento formale (che in chiave didattica è la lezione frontale).
La gamification è dunque un modello costruttivista in cui l’alunno, al centro del processo formativo, costruisce il proprio apprendimento auto-motivandosi attraverso l’esperienza diretta che gli consente di memorizzare le nozioni più a lungo termine rispetto al booster del voto.
Fondata sulla padronanza e sulla «customizzazione» (personalizzazione) del percorso, è un processo di apprendimento suddiviso in fasi consecutive che, eliminando il dualismo fra teoria e pratica, dà particolare risalto alla socializzazione.
Sul piano docimologico, nella gamification si usano dei sistemi di punteggio/valutazione tipici dei videogame in quanto basati sulle ricompense e sull’effettiva progressione dell’alunno, e non sulla valutazione sottrattiva imperniata sull’errore: l’errore nella ludo-didattica, come l’esplorazione nella pedagogia, è uno stimolo a riprovare in una cornice fondata sul mistero, l’azione, il rischio e una trama emozionale.
CRITICITÀ – Le maggiori obiezioni alla gamification sono:
- Si fonda su premi estrinseci che valgono solo a breve termine, mentre sono le motivazioni intrinseche quelle più adatte all’apprendimento;
- La visibilità del punteggio più che motivare potrebbe creare in alcuni discenti ansia da prestazione;
- Può trattarsi solo di un training complementare che non può sostituire l’insegnante, in quanto non copre l’intero arco didattico.
Germano Innocenti