Parlando con Samantha Viva, insegnante di un istituto secondario di primo grado del cuneese, siamo giunti alla conclusione che la sperequazione digitale evidenziata dalla Dad dall’inizio della pandemia non sia solo di natura territoriale ma anche anagrafica,e in molti casi sia interdipendente dalla logistica.
Samantha quali sono le conseguenze immediate d’un corpo docente non più giovanissimo, almeno nelle scuole primarie e secondarie?
Noi abbiamo un piano digitale fin dal 2015 con la Buona scuola ma alcuni colleghi hanno avuto ritrosie, negli anni, anche ad accettare il registro elettronico, o nell’entrare nell’aula virtuale dove si terrà il corso di formazione. Per fare un esempio, seguendo la didattica delle competenze, si potrebbero costruire dei percorsi interdisciplinari attraverso delle unità didattiche di apprendimento (UDA), ma questo in concreto non avviene quasi mai perché impieghiamo la maggior parte del nostro tempo a capire quale sia la metodologia più indicata per ogni singolo alunno, senza contare le scuole che hanno difficoltà a disporre di Device e connessioni.
Una delle più evidenti contraddizioni della Dad, ed una delle principali frecce all’arco dei suoi detrattori, è stato il passaggio dalla demonizzazione alla celebrazione della cultura digitale.
È vero. Per anni abbiamo ripetuto ai nostri figli (e studenti) che non si poteva stare cinque ore di fronte a un monitor, prima quello televisivo ed ora quello d’un pc, perché questo finiva per assolvere le funzioni d’una baby sitter, ed ora invece puntiamo tutto sull’istruzione attraverso smartphone e tablet. Capisco lo smarrimento dei ragazzi. Senza considerare che la sovraesposizione digitale contraddice di fatto l’interazione e la relazione su cui dovrebbe fondarsi la scuola oggi.
In una precedente intervista a una docente madrelingua inglese in Clil, abbiamo ragionato sull’appiattimento contenutistico e sull’impoverimento sintattico della scrittura degli studenti in questa delicata fase. Tu cosa ne pensi?
Io insegno Lettere quindi riscontro spesso problemi a spiegare ai ragazzi come la scrittura tradizionale sia molto diversa dall’immediatezza dei social. Per non parlare della comprensione dei testi.
Parliamo dell’eccessivo, e cacofonico, utilizzo delle abbreviazioni che dal parlato quotidiano si trasferiscono allo scritto?
Non solo. Mi riferisco anche alla punteggiatura, alla scansione in paragrafi e alla totale incapacità di sintesi. Per non parlare dell’equivoco largamente condiviso per cui svolgere una ricerca si riduca al copia e incolla su Wikipedia.
Ritieni si tratti di una cattiva abitudine legata alla Dad o pensi sia più un problema d’orientamento culturale comune a tutti i nativi digitali?
Io penso che ci stiamo ponendo le domande sbagliate. Qui il punto non è se funzioni la Dad ma se funziona questo tipo di scuola, senza strumenti e con risorse limitate. E la scuola è anche lo specchio della società.
(continua …)
Germano Innocenti