Dalla didattica delle competenze alla Dad, cos’è cambiato? – L’intervista con Samantha Viva, docente della scuola pubblica

da | Mar 30, 2021 | IN CATTEDRA

Laureata in lettere moderne, indirizzo storico-artistico, ricercatrice, poi dottoranda quindi insegnante universitaria, per lungo tempo giornalista, e nel dettaglio freelance in aree di crisi, Samantha Viva è da sei anni docente di un istituto secondario di primo grado del cuneese.

Buongiorno Samantha, com’è stato il tuo avvicinamento alla scuola?

Buongiorno a voi. Come molti miei colleghi pensavo di fare mille altre cose nella vita ma quando sono diventata una docente ho subito compreso che la realtà era differente sia da quello che mi aspettavo che da quello cui ero preparata. La scuola in Italia è il luogo dove si fa tutto quello che non pensavi di fare; anche oggi, che sono ancora precaria, ritengo il ruolo dell’insegnante, per l’impatto che ha sui ragazzi, quasi un proseguimento del lavoro di giornalista, a più vasto raggio, solo che adesso non mi occupo di notizie ma di persone, e questo è ben più determinante.

 

Quali sono state le differenze che hai riscontrato rispetto all’immagine che ti eri costruita?

 

Inizialmente pensavo che il ruolo dell’insegnante si articolasse nella didattica e nel curare il rapporto con gli alunni ma non si può trascurare la nuova metodologia e l’efficacia di un insegnamento che sia per tutti, nessuno escluso. In mezzo c‘è stato un passaggio fondamentale, che mira a coniugare conoscenze e abilità attraverso l’acquisizione delle competenze.

 

Puoi spiegarci la differenza?

 

La scuola delle competenze mira ad una formazione che sia significativa per gli studenti, e riesca ad incidere sulla loro cultura, i loro atteggiamenti e i comportamenti, e faccia maturare il discente trasformandolo in soggetto consapevole. In sostanza nell’ambito della didattica delle competenze la priorità è mettere al centro lo studente, formarlo in maniera consapevole, utilizzando varie metodologie, che mirino a fornire esperienze significative, non solo ad impartire nozioni.

 

Come si coniuga tutto questo coi nuovi scenari aperti dalla Dad?

 

Non si coniuga. La didattica a distanza, per morfologia ed esigenze contingenti, punta alla meta e non alla strada intrapresa per arrivarci. Si perde tutta la parte delle esperienze significative.

 

Più in generale cosa pensi della Dad?

 

Io insegno alle scuole medie e qui in Piemonte, dalla prima alla terza classe, gli studenti sono in Dad (tranne BES e DSA), quindi l’insegnante segue questi ultimi in presenza e gli altri attraverso un pc. Più specificamente la Didattica digitale era già presente nella mia scuola, insieme a quella tradizionale, ad esempio noi abbiamo una Lim in ogni classe e abbiamo già avviato la profilazione individuale dei discenti, quindi il cambiamento, per loro, è stato meno traumatico. Come piattaforma usiamo Classroom e in generale le Google App.

 

Il livello digitale è così avanzato in tutta la regione?

 

No. Esistono grosse differenze tra provincia e provincia. E il divario digitale mette molte comunità in seria difficoltà.

 

La sperequazione è solo geografica o anche anagrafica?

 

La situazione al 2017/18, ma non credo vi siano stati evidenti cambiamenti nel frattempo, vedeva su un totale di 730 000 insegnanti 300 000 unità sopra i 54 anni, quindi persone abituate ad una didattica tradizionale, in massima parte frontale. Il passaggio prima alla scuola delle competenze e poi al binomio Dad e Ddi è stato un ennesimo cambio di prospettiva, in alcuni casi anche traumatico; quindi no, direi che la sperequazione non è solo geografica ma anche e soprattutto anagrafica, sebbene tutti i colleghi a prescindere dall’età, si siano messi in gioco.

 

(continua …)                                                                                                                Germano Innocenti

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