Varianti e vaccini – le ultime dall’ISS

da | Mar 20, 2021 | IN PRIMO PIANO

L’ultimo rapporto dell’ISS (Istituto Superiore di Sanità) numero 4/2021, in data 13/03/2021, ha fornito delle «indicazioni ad interim sulle misure di prevenzione e controllo delle infezioni da Sars-Cov-2 in tema di varianti e vaccinazioni anti-Covid-19»; il gruppo di lavoro che se n’è occupato, costituito da membri dell’ISS stesso, da docenti universitari, componenti del Ministero della Salute e del World Health Organization (WHO), iscritti alla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri e alle Agenzie sanitarie e socio-sanitarie, ha provato a fare il punto della situazione e noi tenteremo di sintetizzare:

 

  • Rafforzamento delle misure: In base alla diffusione delle nuove varianti, o Voc (Variant of concern), in particolare la variante inglese (denominata B.1.1.7), quella sudafricana (B.1.351) e la P1 brasiliana, che verosimilmente a breve non verranno più geo-localizzate vista la velocità di diffusione e le difficoltà di contenimento, si è deciso di non modificare ma di rafforzare le misure di prevenzione e protezione non farmacologiche (mascherine, igiene delle mani) e di portare a due metri il distanziamento fisico «nonostante non vi siano evidenze scientifiche che dimostrino la necessità di un incremento della distanza di sicurezza a seguito della comparsa di nuove varianti virali»;

 

  • Anche i vaccinati possono veicolare un’infezione: L’affermazione più importante del rapporto: «non è possibile al momento escludere un rischio di contagio anche in coloro che sono stati vaccinati», conferma uno scenario in cui tutti i lavoratori, inclusi e soprattutto gli operatori sanitari e il personale della scuola, debbano continuare a utilizzare rigorosamente i Dpi, i dispositivi medici prescritti, l’igiene delle mani, il distanziamento fisico e le altre precauzioni, indipendentemente dallo stato di vaccinazione. In sostanza, anche un soggetto vaccinato potrebbe veicolare un’infezione asintomatica. Si consiglia inoltre, laddove sia possibile, di isolare i pazienti affetti da una variante in stanza singola o di ricorrere al «cohorting» di degenti affetti dalla medesima variante. Più in generale ogni soggetto vaccinato deve continuare ad osservare le normali misure preventive in atto, anche al di fuori del lavoro;

 

  • Contatti stretti: In caso di «contatto stretto» (distanza di meno di due metri e per almeno quindici minuti o contatto diretto, come vivere sotto lo stesso tetto o permanenza in un ambiente chiuso, ad esempio una sala d’attesa) con un caso probabile o confermato, anche una persona vaccinata, con una o due dosi, deve continuare ad adottare le misure previste per i contatti stretti, con una deroga alla quarantena per il personale sanitario. Quarantena che vale la pena ricordare è di dieci giorni dall’ultima esposizione (con un test) o di quattordici giorni;

 

  • Fallimenti vaccinali: L’ISS definisce il «fallimento vaccinale» come l’incapacità di sviluppare una risposta immunitaria protettiva dopo la vaccinazione, ma bisogna considerare che:
  1. La risposta immunitaria varia da soggetto a soggetto (età, comorbosità eventuali);
  2. Gli attuali vaccini si occupano della prevenzione dell’infezione sintomatica e non asintomatica (positività al tampone);
  3. Non si può parlare di fallimento vaccinale in due casi: una persona può infettarsi nei giorni immediatamente successivi al tampone; una persona, al momento della vaccinazione, potrebbe essersi già infettata senza saperlo;

 

  • I contatti stretti di un caso di Covid 19 dovrebbero terminare la quarantena di 10-14 giorni prima di essere sottoposti a vaccinazione;

 

  • Vaccinare anche i guariti? La vaccinazione anti-Covid si è dimostrata sicura anche in soggetti con precedente infezione da Sars-Cov-2 e pertanto può essere offerta indipendentemente da una pregressa infezione, sintomatica o asintomatica. Non è necessario (e la WHO lo definisce persino «non raccomandabile») effettuare dei test per verificare tale storicità e si può somministrare un’unica dose purché l’operazione venga eseguita ad almeno tre mesi di distanza dalla documentata infezione e, preferibilmente, entro sei mesi dalla stessa. Ovviamente fanno eccezione i soggetti che presentino condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria, a trattamenti farmacologici, i quali devono essere vaccinati quanto prima e con un ciclo a due dosi.

 

Due ultime considerazioni:

  1. Nei soggetti con infezione pregressa la prima dose di vaccino è più efficace rispetto ai sieronegativi ma produce più reazioni avverse; la seconda dose è invece meno efficace, se non addirittura controproducente. Ne consegue che sarebbe consigliabile una sola dose che funzioni da «booster»(richiamo);
  2. Nei soggetti vaccinati con pregressa infezione il rischio di reinfezione (sintomatica o asintomatica) è ridotto dell’83%.

 

Germano Innocenti

 

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