La Scuola è aperta a tutti!
Così comincia l’articolo 34 della Costituzione.
E, se ci pensiamo, è un concetto bellissimo.
Aperta a tutti, non importa il reddito, lo status sociale, la nazionalità.
Tutti, nessuno escluso.
Però, non basta che un luogo sia aperto… le persone devono anche essere nelle condizioni di poter entrare.
Molti di noi (almeno molti della mia generazione) avranno sicuramente negli occhi l’immagine di Nino Manfredi, nei panni di Geppetto, che vende la sua unica casacca per comprare l’abbecedario a Pinocchio.
Nel 1948, quando è entrata in vigore la Costituzione, questo concetto era ben chiaro, tanto è vero che l’articolo 34 non si accontenta di “tenere le porte aperte” della scuola, ma si affretta a dire (al secondo comma) che “l’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita”.
In quegli anni esisteva un “social divide” costituito dal reddito e, conseguentemente, si è intervenuto sul fronte dei costi da sostenere.
Basti pensare che quasi il 50% dei nati nel 1940 si fermava alla quinta elementare, quasi il 10% non raggiungeva neanche quel titolo.
Appena 12 anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, i dati sono totalmente diversi: solo il 7% si ferma alle elementari e solo lo 0,8% non ha neanche quel titolo.
Non è stato un “miracolo”, ma il risultato di una precisa scelta del Paese: oltre a “tenere la porta aperta” la Costituzione ha accompagnato le persone “dentro” la scuola, assicurandone la gratuità e imponendone l’obbligatorietà.
A 72 anni di distanza ci si trova davanti a un nuovo “divide”.
E questa volta non è più (solo) “social” ma (anche) “digital”.
L’emergenza sanitaria sta imponendo a tutto il pianeta la necessità di ripensare, in tempi rapidissimi, al proprio modello, non solo della produzione, ma anche della socialità e di tutti i fenomeni ad essa connessi, scuola compresa.
L’allontanamento sociale “fisico” implica uno avvicinamento sociale “virtuale”.
Le modalità di vicinanza sociale “virtuali”, fino a pochi mesi fa stigmatizzate come “vizio”, sono diventate improvvisamente “virtuose”; un capovolgimento della percezione così repentino da non avere esempi analoghi nella storia.
Il problema è che la società “virtuale/virtuosa” necessita di due “mediazioni”: una tecnologico/strutturale e una di abilità e competenze.
Chi non ha accesso alla rete, chi non ha le risorse per accedervi, chi non sa usare gli strumenti informatici, viene tagliato fuori.
Nulla di nuovo, si dirà… è da tanto che si parla di questo digital divide.
E invece no.
La situazione attuale è diversa.
Internet non è più il luogo dove “si fanno cose” che si possono fare anche in altro modo, ma diventa anche il luogo dove “s’imparano cose” che poi saranno necessarie per “fare cose”.
Se prima il problema era “solo” che la persona priva della possibilità di accedere alla rete, per fare un bonifico poteva solo andare in banca, per fare acquisti poteva solo entrare in un negozio, per sentire persone lontane poteva solo usare il telefono, ecc.; adesso il solco diventa più profondo.
L’assenza di una rete efficiente, l’assenza di risorse per potersi connettere alla rete costituiscono ostacoli analoghi a quelli che ha dovuto affrontare Geppetto.
Occorre che nuovamente il Paese intervenga come nel 1948, le sfide apparentemente non sono poi così diverse: allora servivano strade, aule e risorse da dare alle famiglie; oggi pure, solo che al posto delle strade e delle aule servono rete e strutture tecnologiche.
Purtroppo però non è così semplice; non basta dare a tutti un computer.
La didattica a distanza non necessita solo di risorse infrastrutturali e tecniche, ma anche di docenti in grado di usare i nuovi strumenti in modo efficace.
Nel 1948 si sapeva cosa insegnare e come insegnare, il problema era solo permettere al maggior numero possibile di persone di accedere alla formazione.
La sfida odierna, da questo punto di vista, è assai più complessa: non è sufficiente mettere in aula virtuale gli studenti, occorre che il docente in aula virtuale sia in grado di veicolare le nozioni.
Questo è il secondo grande tema: la formazione degli insegnanti.
La didattica a distanza è sempre stata relegata a una dimensione residuale, al massimo integrativa e di supporto a quella frontale.
Siamo abituati a pensare (soprattutto in Italia) che la tecnologia possa soltanto agevolare quello che già si fa, nel modo in cui già si fa.
Non a caso il simbolo della “nuova didattica” è la LIM (lavagna interattiva multimediale): si fanno le stesse cose, negli stessi luoghi, con le stesse modalità ma con strumenti diversi.
Tutto questo con la didattica a distanza non c’entra nulla.
Riprendendo la suggestione di Seymour Papert (informatico e pedagogista) immaginiamo di prelevare, con una macchina del tempo, una equipe medica e un collegio docenti di 100 anni fa (diceva lui… ma basta una cinquantina di anni) per farli apparire, rispettivamente, in una sala operatoria e in un’aula scolastica dei giorni d’oggi.
I primi (i medici) non capirebbero né dove si trovano né quello che si sta svolgendo in quel luogo, i secondi (gli insegnanti), dopo i primi momenti di stupore (dovuti al diverso vestiario e materiali) si troverebbero perfettamente a loro agio: cattedra, lavagna e banchi sono sempre nella medesima posizione.
Non solo, per la maggior parte delle materie di base, non dovrebbero imparare nulla e potrebbero tranquillamente sostituire i docenti attuali.
Dunque le criticità sono due: una che riguarda il fronte della fruizione (barriere infrastrutturali, sociali ed economiche) l’altra il fronte dell’erogazione.
Forse si potrà dare a tutti un tablet, forse si potrà consentire a tutti gli studenti di collegarsi a internet, forse si potrà migliorare la rete in tutto il territorio, ma in assenza di un corpo docente formato tali sforzi risulterebbero in gran parte vani.
Non esistono soluzioni semplici a problemi complessi … ma l’urgenza incombe.
La scuola aperta a tutti non è più sufficiente.
Prof. Roberto Russo
Docente di Diritto Costituzionale, Università eCampus